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12 Gennaio 2016Viviamo talmente immersi in un clima culturale egemonizzato dal progressismo, dal radicalismo e dal femminismo, che non riusciamo più a percepire né le forzature che tale cultura dominante impone alla interpretazione dei singoli fatti sociali, intellettuali, morali, eccetera, né la possibilità di una diversa interpretazione, che parta da una differente prospettiva e che attinga da un quadro concettuale ideologicamente diverso e alternativo.
Per esempio: ci siamo sentiti ripetere, da parecchi decenni (a partire dagli anni intorno al 1968) che il maggior pericolo, per una società che voglia considerare se stessa come realmente "civile", è il rispetto di una serie di standard, i quali, guarda caso, sono precisamente quelli che definiscono il livello di sviluppo delle nazioni occidentali più pervase dai meccanismi del capitalismo avanzato e dal paradigma culturale della modernità: Gran Bretagna e Stati Uniti in testa. Per cui è "civile" una nazione in cui le cose si svolgono come in quei Paesi; e le "cose" portate ad esempio sono l’industrializzazione massiccia e capillare, il secolarismo e il laicismo eretti al rango di nuova religione, lo sviluppo illimitato della tecnologia e della finanza, il femminismo, il radicalismo, l’ideologia dei "diritti" per tutti, senza merito e senza sacrificio: dalla cittadinanza per qualunque straniero la richieda, e in qualsiasi quantità, all’eutanasia, all’aborto, al matrimonio omosessuale, al consumo delle sostanze stupefacenti, alla dittatura mondiale dei marchi e dei brevetti.
Del rovescio della medaglia, dei lati oscuri di quel modello sociale, si parla poco e, quando se ne parla, lo si fa in maniera estemporanea, senza suggerire il minimo collegamento con quanto detto sopra. L’alienazione di massa, la depressione cronica, il dilagare della criminalità, le conseguenze dell’uso di stupefacenti, la dissoluzione delle famiglie, il disorientamento dei bambini e degli adolescenti, la perdita progressiva della propria identità culturale a vantaggio di un improbabile melting-pot che già negli Stati Uniti ha mostrato tutti i suoi limiti, dopo oltre due secoli di sperimentazione, mentre ora lo si vorrebbe riprodurre, di punto in bianco, anche in Europa, dove pure le condizioni sono così diverse, e di tanto più sfavorevoli, di quanto lo fossero a suo tempo nell’America Settentrionale: tutte queste cose vengono ammesse, sì, ma in misura circoscritta, e presentate come se fossero inevitabili, come dei secondari inconvenienti di un sistema sociale e culturale in se stesso giusto, e che, anzi, deve essere considerato come l’unico veramente degno di esistere e dunque, alla fine, come l’unico possibile e praticabile.
«Indietro non si torna», ammoniscono invariabilmente – ogni qual volta gruppi, anche numerosi, di cittadini si permettono di avanzare dei dubbi – sia i signori intellettuali, sia i padroni della politica, dell’economia e della finanza: e, adoperando i media per criminalizzare qualunque dissenso, anzi, perfino qualunque perplessità, anche la più legittima, finiscono per avvalorare l’idea che non esiste altro Dio all’infuori di una società futura ove il femminismo, il multiculturalismo, il materialismo e il relativismo più spinti, insieme al soggettivismo etico più rigoroso, saranno definitivamente riconosciuti per legge, con tanto di sanzioni draconiane per tutti coloro i quali osino nutrire dei dubbi in proposito. Facciamo un esempio. Negli Stati Uniti, una coppia di pasticceri è stata condannata dal tribunale per essersi rifiutata di confezionare una torta di nozze, con tanto di scritta degli sposi, ordinata da due donne lesbiche: e la pena è consistita in un corso di "rieducazione civica", per insegnare a quei due signori che coi diritti altrui non si scherza, anche se ciò comporta ingoiarsi e reprimere le proprie convinzioni morali e religiose più profonde. Alla sanzione legale si è subito aggiunta la sanzione "spontanea" delle militanti lesbiche e femministe, le quali hanno cominciato a bersagliare le vetrine del negozio d’insulti, e a tempestare quella casa con minacce ed insulti telefonici. Un altro esempio, stavolta in Italia: un padre di famiglia è stato condannato perché ha voluto imprimere alla sua famiglia una netta educazione religiosa, peraltro senza ricorrere ad alcuna forma di maltrattamento. Uno dei suoi sette figli, agendo in maniera contraria al sentimento di tutti gli altri, nonché della madre, ha denunciato suo padre, perché stufo di quei "valori", di quelle preghiere, di quelle immagini sacre: e il giudice, prontamente, ha accolto l’accusa, ha processato e condannato il padre Cerbero, infliggendogli trentasei mesi di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Che cosa era successo? Che il figlio maggiore, ventottenne, non aveva digerito la richiesta paterna di contribuire alle spese familiari: cosa che lo aveva spinto a sporgere denuncia per "maltrattamenti". Insomma: un figlio ormai quasi trentenne, liberissimo di andarsene di casa, se lo avesse voluto, ha preferito rimanervi, ma non gli garbava l’assurda e spropositata richiesta paterna di contribuire al mantenimento della casa: e la legge lo ha sostenuto, al punto da condannare lo sciagurato genitore.
Potremmo continuare; l’elenco sarebbe lunghissimo, da ogni Paese del mondo occidentale (perché, nel resto del mondo, un figlio così lo avrebbero sbattuto fuori di casa a calci nel sedere, e nessuno ci avrebbe trovato alcunché da ridire). Siamo talmente immersi in questo clima "umanitario" e buonista, che nemmeno ce ne accorgiamo; nemmeno percepiamo tutta la protervia insita in un totalitarismo democratico che procede in questo modo, come un carro armato, non solo sui valori tradizionali, ma anche sulle persone fisiche di quanti non condividono la nuova ideologia femminista, omosessualista, progressista e multiculturalista. E seguitiamo a prendere per moneta buona il dileggio e l’ironia con le quali la cultura poltically correct ci parla di quei primi, e non numerosi, intellettuali, i quali, resisi conto della deriva fin dai suoi inizi, hanno levato la loro voce per mettere in guardia l’opinione pubblica, anche se lo hanno fatto, sovente – ed è giusto rilevarlo – in maniera rozza e grossolana, oppure partendo da una prospettiva sbagliata e, comunque, non condivisibile, perché effettivamente intrisa di razzismo e maschilismo.
È certo, però, che ora siamo caduti nell’estremo opposto: oggi non una minaccia ipotetica, ma la realtà dei fatti, indica che l’uomo deve aver paura della donna (per esempio, di una causa di divorzio con richiesta di danni per "crudeltà mentale", o altri reati similmente indimostrabili e, spesso, improbabili); il genitore deve aver paura del figlio, che potrebbe denunciarlo per un semplice schiaffo, e, magari, tirare in ballo anche le molestie o gli abusi sessuali (è già accaduto e continua ad accadere), tanto c’è sempre uno zelante assistente sociale o un giudice progressista che non aspettano altro per incriminare il "bruto" e fargliela pagare); l’europeo deve aver paura in casa propria, per le strade delle sue città, se incontra degli stranieri immigrati, e magari ancora in attesa di ricevere il riconoscimento dello status di rifugiati o, comunque, l’autorizzazione a risiedere (vedi gli stupri di massa nel Capodanno del 2016 a Colonia); il cittadino qualunque, ad esempio una maestra, deve aver paura di essere denunciato per comportamenti discriminatori nei confronti delle persone omosessuali, comportamenti fra i quali rientra, ad esempio, l’intollerabile reato di chiedere a un bambino chi siano il suo papà e la sua mamma.
Fra quanti misero in guardia verso questa deriva — non senza, lo ripetiamo, esagerazioni e discutibili schematismi — vi furono il filosofo tedesco Oswald Spengler (1880-1936) e il contemporaneo saggista statunitense Lothrop Stoddard (1883-1950),. Oggi le loro idee riguardo al "pericolo giallo", o alla "donna intellettuale" che, invece di aver figli, ha dei "problemi", inevitabilmente ci si presentano sotto una luce tra il patetico e l’irritante; eppure, forse vale la pena di chiedersi se, per caso, non avessero, almeno in parte, ragione; se — a parte la brutalità con cui semplificavano la prospettiva — la radice del problema del declino della nostra civiltà non stia proprio lì: nella rinuncia dell’uomo a svolgere un ruolo trainante (non diremmo dominante; e non è un semplice espediente linguistico), nel rifiuto della maternità da parte della donna "moderna" e nel disamore dell’Europa — altro discorso per gli Stati Uniti – nei confronti di se stessa, della propria tradizione e identità.
Ecco un esempio del tipico modo di procedere di un intellettuale "progressista", femminista e multiculturalista, quale mostra di essere Bram Dijskra, nel seguente brano di prosa (da: B. Dijskra, «Perfide sorelle. La minaccia della sessualità femminile e il culto della mascolinità»; titolo originale: «Evils Sisters. The Threat of Female Sexuality and the Cult of Manhood», Knopf, 1996; traduzione dall’inglese di Marina Premoli, Milano, Garzanti, 1997, pp. 460-461):
«Mentre i governanti bianchi continuavano a cianciare di comportamento "umanitario" e di "pace eterna", ammoniva Spengler [in uno dei suoi libri più importanti, "Anni decisivi", che è del 1933], gli esseri inferiori "fiutavano l’incompetenza e la irresolutezza dell’Occidente a difendersi". Invece di schiacciarli sotto il tallone di ferro, l’Occidente controbatteva alle "razze di colore" con il piumino da cipria delle preoccupazioni umanitarie. Di conseguenza, coloro che un tempo avevano temuto l’uomo bianco, ora lo disprezzavano per la sua debolezza. Il bolscevismo russo — e a scanso di equivoci Spengler sottolineava con un ben noto ritornello secondo cui la Russia domina l’Asia. La Russia È l’Asia» – stava fomentando lo sterminio della razza bianca col pretesto dell’egualitarismo marxista.
Inoltre, insisteva Spengler adducendo come prova incontrovertibile di questa teoria "The Rising Tide of Color" di Lothrop Stoddard — i giapponesi si stavano alleando con gli indiani del Messico ai quali erano affini per razza, onde fomentare una guerra razziale contro gli ariani. Stoddard sosteneva che nel 1914 i giapponesi avevano organizzato un complotto, un "piano di San Diego", per distruggere l’America.Un esercito "composto unicamente di ‘latini’, negri e giapponesi era stato sul punto d’invadere il Texas per fomentare una guerra razziale. "I risultati razziali sarebbero stati decisivi", diceva Stoddard, "perché l’intera popolazione bianca del nostro Sud e Sud-Ovest sarebbe stata massacrata senza pietà". Per fortuna il complotto "era fallito del tutto".
Spengler usò le dichiarazioni di Stoddard per segnalare che Russia e Giappone — il bolscevismo e il pericolo giallo — stavano cospirando contro la razza bianca per sterminarla. Tutto questo perché l’Occidente si era indebolito e disintegrato a causa del suo filantropismo e sentimentalismo. Spengler disapprovava "gli antisemiti d’Europa e d’America fra i quali va di moda concepire il problema razziale solo in termini darwiniani e materialistici". Secondo lui il futuro apparteneva non già a coloro che si occupavano dell’"igiene della razza". Ciò che contava, invece, era la FORZA della razza. Una forza che si manifestava soprattutto nell’indice di fertilità delle donne. Nella futura guerra razziale mondiale, solo le nazioni iperfertili potevamo aspettarsi di trionfare. Le donne più preziose per la razza non erano quelle considerate delle "compagne" o delle "fidanzate" sul piano sentimentale, ma quelle disposte a dedicarsi esclusivamente al compito della procreazione. Solo donne simili erano degne del rispetto del maschio ariano. Le pretese intellettuali delle donne delle grandi città erano un’espressione della crescente femminilizzazione della società. Il progressivo emergere di queste donne metteva in luce il calo della volontà di sopravvivenza della razza bianca.
Gli innumerevoli teorici di razza, classe e sesso dei primi vent’anni del secolo identificavano nel tradimento del Logos da parte dell’eros il fattore centrale della degenerazione fisica e orale di una nazione: il declino dell’Occidente iniziava con la perdita di autocontrollo sessuale dell’uomo bianco, il che a sua volta portava alla perdita di "potere" e di "virilità". I sintomi principali del deterioramento sociale erano "il sentimentalismo", l’importanza attribuita ai problemi umanitari riguardo al’esigenza di "costruire la nazione" e un debole per i sistemi politici egualitari. Il tallone di ferro della mascolinità evoluzionistica doveva schiacciare il ragno dell’effeminatezza o restarne schiacciato. La donna sessuale, la principale nemica della civiltà, aveva molti alleati maschili degenerati…»
D’accordo; il "Piano di San Diego" era una bufala (ma forse non del tutto; appena un anno dopo la previsione di Stoddard, dalla frontiera meridionale partì il primo e ultimo attacco via terra contro gli Stati Uniti: quello di Pancho Villa nel New Mexico: cfr. il nostro articolo: «L’attacco su Columbus di Pancho Villa nel marzo del 1916», pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 28/10/2007). Ma, invece di insistere su questo errore, non sarebbe intellettualmente più onesto domandarsi se la questione complessiva posta da Stoddard e da Spengler fosse poi così sbagliata, irreale o paranoica?
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels