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Da dove nasce la brama di potere della donna?

La donna è posseduta da una cieca brama di potere; molto più dell’uomo. Lo si vede dal tentativo continuo, incessante, spesso patologico, di manipolare non solo il maschio — marito, fidanzato, padre, figlio, amante – ma anche le altre donne — madri, figlie, parenti, amiche, colleghe — e, in genere, tutto ciò che si muove, vicino e lontano, ivi compresi gli animali domestici; e senza dimenticare la memoria dei cari estinti. Conosciamo un’anziana signora che tutti i giorni si recava al cimitero a render visita al marito morto – tutti i giorni, infallibilmente, sole o pioggia, estate o inverno: scena commovente di amore coniugale che va oltre la morte stessa; c’era solo una piccola nota stonata, cioè che quella donna era stata una moglie semplicemente terribile, e, forse, il pover’uomo se n’era andato al Creatore anche a causa sua. Pure, ella si era investita della parte della moglie devota e perfetta, e assolveva rigorosamente i suoi doveri di vedova inconsolabile: dopo aver manipolato il marito per cinquant’anni, da vivo, ora pretendeva di manipolarne la memoria, interpretando ed ostentando una parte che non le spettava.

Si dirà che anche l’uomo brama il potere; e si citeranno numerosi esempi al riguardo, anche di tipo storico. Potremmo ribattere che quanto più tale brama è patologica, tanto più essa corrisponde a un tipo maschile tendenzialmente poco virile o addirittura invertito: e, a nostra volta, potremmo citare numerosi esempi di ciò (da Federico il Grande a Hitler); ma il punto non è questo. Non vogliamo affatto sostenere che l’uomo sia esente da una tale brama; sosteniamo, invece, che, mentre essa è caratterizzante della donna, e sono pochissime le donne che ne sono esenti, essa non è affatto caratterizzante dell’uomo, e sono moltissimi gli uomini che non ne sono posseduti. Anche nelle famiglie, senza andare troppo lontano, si può osservare facilmente quanto abbiamo ora affermato: al di là delle apparenze esteriori (e superficiali), l’uomo, spesso, parla tanto e alza la voce, ma non comanda affatto; la donna, invece, ha quasi sempre in pugno la situazione; e non solo il marito, ma anche i figli, si trovano tutti sotto il controllo della donna, anche se possono non accorgersene — e se, di fatto, molti non se ne accorgono, fino all’ultimo dei loro giorni. Dall’esterno, però, la cosa si vede: e si vede talmente bene, che tutto il vicinato sa e comprende quello che i membri di quella famiglia, forse, non sanno, né vedono: che tutta la loro casa si muove, come un meccanismo ben regolato, sotto la stretta sorveglianza del despota femminile.

Sorge, ovviamente, l’interrogativo su quale sia l’origine della brama di dominio che è propria dell’anima femminile. Esistono diverse scuole di pensiero al riguarda; ma due sono le principali. L’una che potremmo definire progressista, o femminista, sostiene che essa nasce dalla repressione e dalla sottomissione del genere femminile da parte di quello maschile: si tratterebbe, insomma, di una sorta di rivincita, sotterranea e cieca, quasi delirante, del genere oppresso nei confronti di quello che l’opprime; l’altra, invece, sostiene che, anche senza tale oppressione — la quale, del resto, è venuta meno da un pezzo, ammesso che sia mai esistita, almeno così come la rappresenta generalmente la cultura femminista — la brama di potere delle donne ci sarebbe egualmente, perché essa è connaturata loro, indipendentemente dal contesto sociale e culturale. Ci sembra che valga la pena di spendere qualche riflessione per tentar di capire quale delle due abbia maggiore verosimiglianza, o si avvicini maggiormente alla verità: il che, in materie di tal genere, è davvero il massimo cui ci si possa ripromettere di giungere, visto che non si tratta né di appurare una questione di fatto, né di studiare un fenomeno puramente naturale, come fanno le scienze positive, ma di gettare uno sguardo nella densa penombra che regna negli anfratti dell’anima umana.

La prima posizione è stata bene espressa dal personaggio di Vasja Pozdnyšev, che sta al centro del romanzo di Lev Tolstoj «La sonata a Kreutzer» («Krejcerova Sonata», 1889; traduzione dal russo di Giuseppe Donnini, Roma, Gherardo Casini Editore, 1965, cap. IX):

«"Sì, voi lo sapere" riprese a dire, dopo aver riposto nel suo sacco da viaggio il tè e lo zucchero "è il potere dispotico delle donne, di cui soffre il mondo, tutto dipende a quello."

"Quale potere delle donne?" domandai. "A dire il vero gli uomini sembran goder molti più diritti delle donne."

"Sì, sì, è anche giusto quello che dite" m’interruppe. " Proprio quello che voglio dir anch’io; e ciò sta a spiegare questo straordinario fenomeno, che mentre da una parte è perfettamente vero che la donna è ridotta al più basso stato d’umiliazione, da un’altra pare va tiranneggiando. Proprio come fanno gli ebrei: dominano col denaro, e così largamente si rifanno d’esser tenuti in oppressione, come oppresse sono le donne. "Voi ci volete soltanto mercanti? E va bene, e noi come mercanti vi governeremo a nostro talento" dicono gli ebrei. "Voi volete far di noi soltanto l’oggetto del vostro piacere? E va bene, noi ridotte a strumento dei vostri sensi, vi faremo schiavi" dicono le donne. La donna non è priva di diritti soltanto per il fato che non può votare o far parte della giuria nei tribunali- occuparsi di tali cose non costituisce alcun diritto — è priva di diritti perché nelle questioni sessuali non si trova a parità di condizioni dell’uomo, non può godere a suo piacimento delle relazioni con un uomo, o cessarle quando ne ha voglia, o scegliersi lei l’uomo invece d’essere scelta. Mi vorrete dire che tutto ciò è un’indecenza; e va bene. Ma anche l’uomo non dovrebbe aver tali diritti. La donna è priva d’ogni diritto, e l’uomo può far quel che vuole. Ed ecco perché ella, per rivalersi della mancanza di diritti, attraverso i sensi fa quel che le pare dell’uomo, tanto che soltanto formalmente è lui che sceglie, ma in realtà poi è la donna. E una volta che le sia concessa tale facoltà, va a finir che ne abusa, e può disporre di un tremendo potere sugli uomini."

"Ma dov’è il potere che voi dite?" domandai.

"Dov’è questo potere? Ma dovunque e in tutto. Entrate in qualunque grande città in un negozio. Là ci sono dei milioni, non riuscirete a valutare quanto lavoro umano sia andato a finir là dentro; e osservate bene: nel novanta per cento di quanto quei negozi contengono c’è qualcosa che possa servire alle necessità degli uomini? Tutto il lusso della vita sono le donne a richiederlo e a mantenerlo. Visitate poi le fabbriche: una parte enorme di esse producono inutili ornamenti, carrozze, mobili di lusso, aggeggi per le donne. Milioni di operai, generazioni di schiavi, piegan la schiena in questo lavoro da forzati nelle fabbriche, soltanto per soddisfare i capricci delle donne. Le donne, come regine, tengono schiavi alle più dure fatiche il novanta per cento dell’umanità. Ed ecco come fanno a vendicarsi di non esser loro a parità di diritti con gli uomini. Ed ecco che, mediante la loro azione sui nostri sensi, si vendicano e ci fanno cadere nei loro lacci. Proprio così. Le donne tale arma hanno fatto di sé per eccitare i nostri sensi, che l’uomo non può con calma rivolgersi a loro. Appena s’accosta a una donna, ne diventa come alloppiato, rimbecillisce. Anche prima, quando vedevo una signora, elegantissima in abito da sera, mi sentivo a disagio; ma ora, ora poi ne prova addirittura terrore, mi par di vedere qualcosa di pericoloso per gli uomini e di contrario alle legge,e vorrei chiamare in aiuto le guardie, per premunirmi contro un pericolo, che prendessero quella donna togliessero di mezzo quell’oggetto che può recar danno a qualcuno.

"Eh, voi ridete" mi si rivolse gridando"c’è poco da scherzare. Sono certo che verrà tempo, e forse presto, che gli uomini si renderanno conto do ciò e proveranno meraviglia che si sia potuto permettere che la loro tranquillità debba essere insidiata dal concedere alla donna, come oggi le si concede, di ornare una persona in modo tale che serva a eccitare i nostri sensi. È precisamente la stessa cosa che permetterle di metter trappole lungo i viali dei pubblici passeggi. Anzi, peggio! Perché vengon proibiti i giuochi d’azzardo, e non si proibisce alle donne d’andare in giro con abiti da prostitute, tali da risvegliare licenziosi appetiti? Esse son mille volte più pericolose del giuoco!"»

Come si vede, l’analisi di Tolstoj — ammesso e non concesso interamene che sia quella dello scrittore, e non soltanto quella del personaggio di Vasja Pozdnyšev – piacerà alle femministe quanto alla premessa generale, ossia che le donne sono oppresse dagli uomini; ma non certo nella conseguenza, ossia che esse se ne vendicano, sottoponendo gli uomini alla più feroce delle tirannie, quella dei sensi. Tuttavia, a parte ciò, abbiamo definito "femminista" questo punto di vista, perché individua la causa della brama di potere delle donne nello stato di soggezione in cui il loro sesso è tenuto dagli uomini; cosa che, se poteva esser vera nella Russia di centocinquant’anni fa, oggi, specialmente nell’Europa occidentale, e ancor più negli Stati Uniti d’America, è ben lontano dall’essere vera, anzi, è vero ormai il contrario: che il genere maschile si trova in uno stato di soggezione nei confronti del sesso femminile.

Potremmo fare cento esempi di questa affermazione; uno per tutti: che altro sono le proposte di legge per introdurre, nel codice penale, il reato di "femminicidio", che prevede delle severe aggravanti rispetto al reato di "omicidio" puro e semplice, se non la pretesa di far valere, contro gli uomini, un criterio di giustizia più duro e punitivo, di quanto non lo sia verso le donne? Forse che non vi sono donne, e anche ragazze giovani, che uccidono i loro genitori, i loro fidanzati, i loro mariti, i loro amanti, e persino i loro figli? O di donne che sfregiano con l’acido, per vendetta, il volto dei loro ex compagno? O di ragazzine che, dopo aver finto di fornire una prestazione sessuale a un anziano pensionato, poi lo aggrediscono, lo uccidono con sadica violenza e lo derubano? O di giovanissime sataniste che attirano una suora inerme in un luogo isolato, simulando una richiesta di soccorso, e poi l’assassinano a sangue freddo, con barbarica crudeltà? O di liceali che ammazzano la madre con decine di coltellate, istigando anche il fidanzatino a dar loro una mano — e, già che ci sono, uccidono anche, con pari violenza, il proprio fratellino? Forse che non ne abbiano numerosi esempi, anche nelle cronache recenti? Senza contare che le donne, solitamente, hanno un sistema assai più sottile e raffinato per eliminare i loro uomini: quello di logorarne lentamente la salute, di minare il loro organo cardiaco, di provocarne la morte per infarto, non sempre innocentemente – se "innocente" si può dire una persecuzione tenace, incessante, pluridecennale, un sadico gusto nell’infliggere sofferenza a un compagno che, sovente, è del tutto privo di difese, perché neanche si rende conto della malizia diabolica di cui è vittima?

Ma torniamo alla domanda iniziale. A nostro parere, Tolstoj aveva torto: era un ingenuo (e il suo rapporto con la propria moglie starebbe a dimostrarlo), come lo sono quasi sempre gli uomini, quando si parla delle donne, condizionati come sono dalla suggestione della figura materna. Anche quelli che simulano il più alto grado di cinismo, non arrivano a concepire nemmeno la decima parte della raffinatezza con cui le donne, nella maggior parte dei casi, portano a buon fine la loro strategia di potere: che è connaturata al loro sesso, e che solo una società nella quale vi sia consapevolezza di ciò, riesce a tenere a freno. Anche Dante aveva chiaro questo concetto, come si vede nel canto XV del «Paradiso» (vv. 100-108): « Non avea catenella, non corona, / non gonne contigiate, non cintura / che fosse a veder più che la persona. / Non faceva, nascendo, ancor paura / la figlia al padre, ché ‘l tempo e la dote / non fuggien quinci e quindi la misura. / Non avea case di famiglia vòte; / non v’era giunto ancor Sardanapalo / a mostrar ciò che ‘n camera si puote». È sana una società nella quale la naturale vanità della donna, il suo desiderio di piacere per conquistare un ascendente e per esercitare un sottile, ma implacabile dominio sull’uomo, è tenuta a freno: dove il bel vestito (o il vestito indecente, che mostra quasi tutto ciò che dovrebbe coprire) non diventa più importante della persona, con le sue qualità morali; e dove il rapporto sessuale fra uomo e donna non si trasforma in una esasperata ricerca del piacere fine a se stesso, con totale esclusione della procreazione.

Esprimere simili idee, al giorno d’oggi, sarebbe talmente impopolare, per non dire pericoloso, che praticamente nessuno osa farlo; anche perché aleggia nell’aria il solito ricatto del politically correct: se non si crede alla assoluta parità di diritti fra uomo e donna, allora si è dei biechi maschilisti, cioè degli implacabili nemici della donna. Niente affatto: noi respingiamo sia il ricatto, sia la sequenza logica. Ritenere che, nell’anima femminile, vi sia la tendenza al dominio, mediante la strategia della seduzione sessuale, non equivale né a essere maschilisti, né, tanto meno, a essere dei nemici delle donne. Il nemico della donna è un povero essere malato, perché la misoginia è una forma di paura mascherata da disprezzo, cioè una patologia. Al contrario: molte donne, e le migliori, con le quali ci è accaduto di confrontarci su questo argomento, si sono mostrate sostanzialmente d’accordo con l’analisi che abbiamo fatto. Essere amici delle donne non significa dare loro ragione, sempre e comunque: questo non è essere amici, ma servi, o, peggio, spregiatori mascherati da ammiratori…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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