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21 Dicembre 2015Secondo l’antropologo americano Richard H. Robbins, professore alla State University di New York, l’amore romantico è una costruzione culturale e, più in generale, esso è indissolubilmente legato alla struttura classista della nostra società.
Ciò, a suo giudizio, avviene in tre modi: perché l’amore romantico è influenzato dalla disponibilità economica dei soggetti; perché, in pratica (anche se non in teoria), ci indirizza verso un soggetto che gode di una posizione economica compatibile con la nostra; infine, perché il rituale del corteggiamento segue uno schema ben preciso, che è determinato dalla capacità di far risaltare gli aspetti romantici.
Vogliamo soffermare la nostra attenzione su quest’ultimo aspetto, che il Robbins chiama "capitale culturale", intendendo quell’insieme di conoscenze, esperienze e abilità nel seguire un certo schema di corteggiamento, che metta a suo agio il partner, lo colpisca favorevolmente e che, al tempo stesso, rispetti i tempi e i modi in cui egli decide — se, beninteso, lo decide – di "rispondere" all’approccio.
Per fare un esempio banale: un uomo che potrebbe piacere a una donna, verso la quale è fortemente interessato, rischia di rovinare tutto e di precludersi ogni possibilità di successo, qualora non rispetti una certa sequenza nel corteggiamento, passando subito alla fase avanzata di esso, oppure mostrandosi goffo e rozzo nei momenti e nelle situazioni che lei percepisce, o vorrebbe percepire (il percepito è sempre più importante dell’agito, specialmente in quel genere di situazioni), come romantici.
Una fenomenologia di questo tipo è descritta nella prima parte del film di Martin Scorsese «Taxi driver», del 1976, dove l’ex marine Travis Bickle (alias Robert De Niro), divenuto tassista notturno per sfuggire alla depressione e all’insonnia, s’invaghisce dell’avvenente Betsy (Cybill Shepherd), che fa parte dello staff di un certo senatore Palatine, e riesce a combinare un appuntamento serale con lei.
La ragazza, in un primo momento, sembra abbastanza interessata a quell’uomo solitario e malinconico, ma lui compie una gaffe di quelle imperdonabili, portandola in uno dei luridi cinema a luci rosse che costituiscono il suo unico svago, facendola inorridire e provocando una rottura irreparabile.
Dopo questa amara delusione, Travis sposterà il suo interesse verso una prostituta tredicenne e si metterà in testa di redimerla, concependo, al tempo stesso, il progetto di denunciare l’ipocrisia della società "democratica", mediante un attentato alla vita dello stesso Palantine, da lui considerato il classico politico cialtrone, che promette la palingenesi sociale, mentre persegue cinicamente solo i propri interessi (anche se non si può escludere, freudianamente, un inconsocio risentimento sessuale verso il capo della donna di cui era innamorato). È questa la parte più nota del film, quella che maggiormente è rimasta impresa nell’immaginario del pubblico: l’improbabile love story, avvolta in un alone stilnovista che non nasconde del tutto la pedofilia di fondo, fra un taxista fallito e una bambina che dovrebbe andare a scuola e, invece, batte i marciapiedi come una consumata professionista dell’amore.
Ma che cosa sarebbe successo se Travis avesse portato Betsy in un cinema decente, magari a vedere un film romantico, tipo «L’amore è una cosa meravigliosa»? Se avesse trovato le parole giuste, se le avesse permesso di andare oltre le apparenze, mostrando la propria parte migliore? D’accordo; Travis è stato di una goffaggine quasi inverosimile; ma lei, se ne era incuriosita e forse un poco attratta, non avrebbe potuto compiere un minimo sforzo per conoscerlo meglio? Respingendolo con impazienza, non ha forse mostrato la propria natura di ragazza bella e viziata, oltre che di donna in carriera che "non ha tempo da perdere", di ambiziosa che si ferma alle apparenze, di semi-frigida più interessata al successo che a qualunque altra cosa? Non lo ha forse illuso, per poi allontanarlo come l’ultimo dei reietti? E, così facendo, non ha mostrato di essere una perfetta incarnazione e un tipico prodotto del "sogno americano": solamente apparenza, sorrisi e bei vestiti, ma senza alcuna sostanza umana, senza il benché minimo spessore in quanto persona?
E quanti Travis Bickle ci sono al mondo, incapaci di esprimere nel modo "giusto", ossia in maniera adeguata, i propri sentimenti? Bloccati entro il cerchio stregato della propria nevrosi, della propria amarezza, della propria solitudine?
E quante Betsy, incapaci di vedere l’anima delle persone, che si limitano a giudicare secondo la parte visibile, non importa se falsa e ingannevole? Salvo poi lamentarsi che gli uomini «sono tutti superficiali» e «sanno solo guardare il corpo», ma non l’anima?
Quanto può incidere, per conquistare una persona e assicurarsene i favori, il fatto di avere una buona parlantina, un buon controllo della propria emotività, o il saper fare una scelta raffinata in fatto di abbigliamento, di acconciatura, di locali in cui portare l’altro a cena, oppure di libri e dischi da regalare? Insomma: quanto, nell’amore romantico, è mera tecnica, e quanto, invece, gioca il sentimento autentico?
Se lo chiedevano già gli antichi; e Ovidio, con la sua «Ars amandi», spezza una lancia in favore dell’amore come tecnica, fornendo istruzioni a dovizia su come sedurre lui o lei, su come far colpo, su come incantare la persona che si vuole conquistare.
Certo: per prima cosa, bisognerebbe vedere se l’amore romantico sia amore o se non sia, come appunto Robbins sostiene, una costruzione meramente culturale.
Anche noi, a suo tempo, ci eravamo posti questa interrogativo, individuando nella poesia di Francesco Petrarca il momento di "svolta" nella concezione del’amore romantico, nel senso in cui lo intendono i moderni (cfr. il nostro articolo «Amore passionale: un’invenzione della modernità?», pubblicato sul sito Esonet.org, ora ripubblicato su «Il Corriere delle Regioni»).
Ora, comunque, non vogliamo soffermarci sull’aspetto storico della genesi dell’idea romantica dell’amore passionale; bensì domandarci quanto gioca, nella fase del corteggiamento romantico (e, nella nostra società, il corteggiamento è sempre "romantico", in un modo o nell’altro), la conoscenza e il rispetto della ben precisa ritualità che ad esso è legata, e la cui ignoranza condanna inesorabilmente al fallimento anche il più sincero innamorato.
Scrive, dunque, R. H. Robbins in «Antropologia culturale. Un approccio per problemi», Novara, Utet università, 2009, pp. 57-60):
«La messa in scena dell’amore è connessa alla struttura in classi della nostra società. Questo avviene in almeno tre modi. Primo, poiché è necessario per creare momenti "romantici", la capacità di mettere in scena l’amore è limitata, in un certo senso, dalla disponibilità economica.»
La giustezza del primo punto non ha bisogno di essere sottolineata.
Se due innamorati non possono concedersi un angolino romantico, o almeno tranquillo, per godere di un minimo d’intimità, la poesia della relazione ne soffre gravemente e perfino la sua stessa sopravvivenza (ne abbiamo parlato anche a proposito di un racconto dello scrittore polacco Marek Hlasko; cfr. l’articolo «Nella prosa amara di Marek Hlasko la disperata cattiveria dell’uomo alienato da se stesso»; e, prima ancora, in termini più generali, nell’articolo: «Ma dove vanno gli innamorati?», pubblicati sul sito di Arianna Editrice, rispettivamente il 29/03/2011 e il 21/10/2010, ed entrambi recentemente ripubblicati su «Il Corriere delle Regioni»). Anche i viaggi, i bei vestiti, i buoni ristoranti e gli alberghi di un certo lusso, favoriscono, ovviamente, l’approccio romantico all’amore; pur se ciò, a ben guardare, la dice piuttosto lunga su quanto vi sia di autentico in un "romanticismo" che si misura sul peso del portafogli e sulla consistenza del conto bancario.
Il secondo punto indicato da Robbins è l’ovvia e immediata conseguenza del primo: se vogliamo corteggiare qualcuno con speranza di successo, non possiamo mettere gli occhi su una persona che appartenga ad un livello sociale molto superiore al nostro, perché non potremmo che sfigurare ai suoi occhi e collezionare figure mortificanti. Ma anche corteggiare una persona che si trova ad un livello sociale troppo inferiore al nostro porrebbe dei gravi problemi: potremmo offenderla o mortificarla, anche senza volerlo; potremmo non trovare argomenti comuni di cui parlare; potremmo sentirci delusi o spoetizzati dai suoi modi plebei.
Il terzo punto è il più interessante, perché è quello su cui si giocano la libertà e la spontaneità, o la mancanza di libertà e spontaneità, nell’incontro fra due soggetti: qui non si tratta tanto di scegliere il ristorante giusto o di indossare il vestito migliore, o di indovinare il tono della conversazione, ma di seguire un rituale abbastanza preciso, che metta completamente a suo agio l’altro, e che vada incontro alle sue aspirazioni segrete, ma senza forzare i tempi e mostrando, anzi, di rispettare pienamente la possibilità di un rifiuto. Ed è qui che viene a galla tutta la miseria del conformismo, della banalità e della superficialità umana, della inconsapevolezza che spinge certe persone a cercare e apprezzare non ciò che l’altro è o ciò che l’altro può offrire, ma la sua abilità nel seguire e rispettare un codice pseudo cavalleresco, anche se, sotto le forme brillanti, vi è il nulla: insomma, il trionfo dell’apparire sull’essere.
Vi sono persone, specialmente donne, che attribuiscono un’importanza sproporzionata al rispetto del codice romantico del corteggiamento; persone che, magari dopo aver preso l’iniziativa del primo approccio, poi, quando ci si avvicina al dunque, vorrebbero essere corteggiate secondo il protocollo delle commedie di Hollywood o dei romanzi rosa che si vendono nelle edicole delle stazioni ferroviarie: a loro non importa se hanno a che fare con un perfetto idiota, con un egoista, con un abile cialtrone; pretendono che costui faccia mostra di rispettare i rituali del corteggiamento romantico, un passettino alla volta, in modo da sentirsi padrone del gioco, ossia padrone di dire di sì o di no, fino all’ultimo momento. Insomma, vi sono persone che vogliono, anzi, pretendono, di essere ingannate, ma di essere ingannate nel rispetto di un ben preciso cerimoniale. Anche se hanno capito benissimo che l’unica cosa che l’altro vuole è di portarsele a letto, una botta e via, senza impegni né complicazioni, nondimeno sono pronte a concedersi, ma alla condizione imprescindibile che il "seduttore" di turno indossi la sua brava mascherina di paziente innamorato, e che si avvicini con gradualità, con discrezione, con savoir-faire, all’oggetto del suo desiderio.
Che sia un seduttore, e un seduttore di professione, passa in seconda linea; anzi, sotto sotto, è un elemento tutt’altro che disprezzabile, perché, se non altro, garantisce sulla maestria delle tecniche amatorie da lui possedute; però, mi raccomando!, bisogna che costui (o costei, più raramente) si mostri umile e discreto, come un barboncino o un pechinese. Che importa se è un lupo travestiti da cagnolino e se, in cuor suo, disprezza profondamente il partner, pur non lasciando trasparire affatto il suo disprezzo, anzi, dissimulandolo con tale naturalezza, da assumere il volto estatico e vagamente ebete del perfetto innamorato? Molte persone, e — lo ripetiamo — specialmente molte donne, non cercano un corteggiatore di valore, ma un corteggiatore che sembri di valore; e il suo valore non è necessario che risieda nella sua persona, basta che risplenda dalla sua bravura di spasimante, dalla sua abilità nel recitare. Sono persone che non hanno alcun rispetto di se stesse, perché sono dispostissime a concedersi a qualcuno che, in fondo, le disprezza, e da cui sanno di essere disprezzate, mentre loro si accontentano delle apparenze: e le apparenze dicono che quel qualcuno è un autentico gentiluomo (o un’autentica gentildonna), e allora come resistere al fascino di un così esperto e raffinato corteggiatore?
Giungiamo, così, a una conclusione piuttosto sconcertante. Molte persone non sanno amare, perché, intrise di narcisismo fino al midollo, amano solamente se stesse; però, nello stesso tempo, non si stimano, né si vogliono bene (amare e voler bene sono due cose diverse: lo sapeva già Catullo), tanto è vero che, per odio di se stesse, si concedono a persone di animo vile, ma di belle maniere, quasi per una forma di auto-degradazione. Una persona che segretamente si detesta, e vorrebbe solo degradarsi col primo venuto, non saprà mai nulla dell’amore: per amare, bisogna prima volersi bene e avere stima di se stessi. Tutto il resto viene dopo: con o senza belle maniere e tecniche raffinate…
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