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Il pensiero di Giuseppe Toniolo sul rapporto tra fede, ragione e storia

Giuseppe Toniolo (nato a Treviso il 7 marzo 1845 e morto a Pisa il 7 ottobre 1918) non è stato solo un eminente economista e sociologo ed uno dei protagonisti del giovane movimento sociale cattolico, manifestatosi con forza negli anni del pontificato di Leone XIII e della sua enciclica "Rerum novarum", del 1891, base ideologica della dottrina sociale della Chiesa; e non fu nemmeno soltanto un uomo dalla santa vita, docente illuminato ed esemplare, padre di una numerosa famiglia (si era sposato con Maria Schiratti, da Pieve di Soligo, nel 1878, e la coppia ebbe sette figli), proclamato venerabile da Paolo VI, nel 1971, e beato dal cardinale De Giorgio, durante il pontificato di Bendetto XVI, nel 2012. Egli è stato anche un pensatore impegnato nella ricerca, o piuttosto nel ristabilimento, di un rapporto armonioso fra ragione e fede, così come era accaduto durante i lunghi secoli dell’Europa cristiana, della filosofia scolastica e tomista, della fioritura civile e culturale che diede all’Italia dei geni universali come San Francesco, Santa Chiara, Dante, Giotto, Santa Caterina da Siena.

Tutto l’itinerario scientifico e culturale di Giuseppe Toniolo si svolge sotto il segno della ricerca inesausta, fiduciosa, incrollabile, che, riconciliando la ragione e la fede, riporta a unità i problemi umani e riconduce tutte le manifestazioni della vita individuale e sociale – a cominciare da quelli economici e lavorativi – entro la prospettiva d’una soluzione costruttiva dei problemi, rifiutando tanto le scorciatoie rivoluzionarie, quanto l’identificazione della società cristiana con il "mondo", il che, in quel contesto storico-politico, avrebbe significato (come lo significherebbe ancora oggi) una adesione prona e passiva al modello di un capitalismo senza regole e senza freni, inesorabilmente proiettato verso la ricerca del massimo profitto individuale, ma a scapito della giustizia e della dignità della persona umana, ridotta a merce e a soggetto di mero consumo.

Laureato in Giurisprudenza, a Padova, nel 1867; libero docente di Economia politica nel 1873; professore straordinario di Economia politica presso l’Università di Modena e Reggio, nel 1878; docente della stessa disciplina a Pisa, nel 1879; professore ordinario nella stessa Università dal 1882 fino alla morte, nel 1918: queste le tappe della sua carriera accademica. Gli anni decisivi della sua formazione furono quelli dell’insegnamento a Pisa, durante i quali approfondì lo studio degli statuti comunali della Firenze medievale e si convinse che il modello corporativo aveva ancora una sua validità e poteva essere riproposto, come soluzione dei problemi sociali posti dal conflitto tra capitale e lavoro, nonché come risposta efficace al modello marxista della lotta di classe, al quale egli opponeva il modello di una collaborazione e di una solidarietà fra le classi.

Nel 1889 Toniolo aveva fondato a Padova (due anni prima della "Rerum novarum") l’Unione cattolica per gli studi sociali, la quale, nel 1893, aveva fondato la «Rivista internazionale di scienze sociali», la cui vitalità è testimoniata dal fatto che esiste ancora oggi, dopo essere passata sotto la guida dell’Università cattolica di Milano; e non è senza interesse sapere che padre Gemelli fondò quest’ultima dietro suggerimento e forte istanza dello stesso Toniolo, giunto alla fine della sua esistenza, fondazione che avvenne appena due anni dopo, nel 1920.

Toniolo non svolse mai attività politica in senso stretto; e, del resto, ligio com’era al Magistero ecclesiastico, non avrebbe neanche potuto farlo, poiché i suoi tempi erano quelli del "Non expedit" di Pio X, proclamato nel 1868, e abrogato solo nel 1919, da Benedetto XV; ma fu tra i fondatori della Federazione universitaria cattolica italiana, nel 1896; e, quando venne sciolta l’Opera dei Congressi, nel 1904, ricevette da Pio X l’incarico di organizzare l’Unione popolare.

Se, sul piano filosofico — e in linea con il Magistero di Leone XIII — Toniolo si orientò decisamente per un ritorno al pensiero tomista, sul piano economico si fece promotore di un corporativismo cristiano, sempre nella prospettiva interclassista della collaborazione civile e con lo scopo ultimo, e dichiarato, di una restaurazione della civiltà cristiana: "instaurare omnia in Christo", il motto di Pio X, salito al soglio pontificio nel 1903. E se questo programma dovesse apparire, oggi, anacronistico, si tenga presente che un programma non troppo diverso, almeno dal punto di vista strettamente economico, sarebbe stato tentato, appena pochi decenni più tardi, dal fascismo, sempre nella prospettiva di un superamento delle fatali contraddizioni sia del socialismo che del capitalismo.

A proposito di quest’ultimo, Toniolo ebbe il merito di vedere, in anni ancora non sospetti, la fatale deriva speculativa cui il capitalismo moderno era trascinato dalla sua stessa dinamica interna; al punto da esprimersi a favore della libertà di commercio, ma contro la libertà di circolazione dei capitali, essendo persuaso che questa avrebbe portato ad una crescente accumulazione del capitale da parte dei percettori della rendita finanziaria. La finanza, secondo lui, doveva essere al servizio dell’economia reale, ossia della produzione di beni e servizi reali, e non viceversa: e la tremenda crisi finanziaria del 1929, e poi quella incominciata nel 2007-2008, e dalla quale l’Italia e gran parte del mondo non sono, a tutt’oggi, effettivamente uscite, sta a mostrare quanto avesse ragione e come avesse saputo vedere lontano l’economista trevigiano: certo assai più lontano sia degli economisti della scuola marxista, sia di quelli della scuola liberista.

In Toniolo, peraltro, non vi era frattura, né discontinuità, fra il pensiero economico, quello sociale, quello filosofico, etico e religioso: per lui tutte le strade portano a Dio, quella della ragione e quella della fede, quella della scienza e quella della santità; perché l’uomo è uno, la società è una, e sia quella che questo non trovano il loro significato ultimo, il loro scopo, la loro realizzazione, se non in un rinnovato patto di alleanza con Dio, punto di partenza e punto d’arrivo logico e necessario di ogni discorso dell’uomo, sull’uomo e per l’uomo.

Affermava, dunque, il Toniolo, nel Discorso di apertura della Società cattolica italiana per gli studi scientifici, tenuto il 13 settembre 1899 (da: Domenico Amato, «Cercate prima il Regno di Dio. In preghiera con Giuseppe Toniolo, Roma, Editrice A. V. E., 2007, pp. 49-50)»:

«Le verità di fede per loro natura superano la ragione; ma, essendo coordinate ed armonizzate ad unità, indirizzano la ragione nel suo proprio campo a ricercare la verità naturale scientifica su quella linea stessa, che conduca superiormente alla verità soprannaturale dogmatica, con armonica continuità. Prezioso riesce così il sussidio della fede nelle laboriose indagini della ragione, evitando incertezze, deviazioni, disperdimenti di forze. Ma ci sono poi altre verità per loro natura razionali, cioè di competenza della scienza, che sono ancora suggellate dalla fede. L’esistenza di Dio, la spiritualità e l’immortalità dell’anima, una quantità di principi etici, una serie di veri storici sull’origine e sulle grandi vicende dell’umanità e del cosmo rimangono pur sempre di loro natura di competenza scientifica; eppure sono ancora per noi credenti verità di fede. Simili veri, che sono insieme di ragione e di fede, potranno lascia qualche tempo dubbioso l’indagatore intorno al vero senso e all’interpretazione o della formola scientifica o della sentenza dogmatica, ma egli, sapendo pure che que’ veri nella mente sua devono presto o tardi rigorosamente coincidere, ne riceve frattanto gran luce, come a fari posti sulla via delle sue peregrinazioni per conquistare un giorno con pienezza la verità.»

Concetto, quello della concordanza dei risultati della scienza con le verità della fede, che il Toniolo aveva sempre sostenuto, anche per l’interpretazione della storia umana, intesa soprattutto come storia della civiltà; ad esempio, due anni prima, nel Discorso al Congresso eucaristico di Venezia, il quale ultimo si era svolto dal 3 al 12 agosto 189 ( ibidem, pp. 24-25):

«Senza Dio, senza la sua rivelazione, senza l’opera pietosa e recondita della sua grazia, la storia dell’incivilimento è muta. Non si spiegano gli splendori di una remotissima cultura indiana sulle rive del Gange, o la possanza, la magnificenza, la ricchezza dei grandi imperi di Assiria e di Babilonia sulle sponde dell’Eufrate e del Tigri, che trasmisero i propri fulgori alla Grecia e Roma, talvolta ne fecero impallidire l’astro e ne compromisero l’esistenza, i tempi primitivi in cui le società e gli Stati naturalmente sarebbero appena usciti dalla vita selvaggia dell’ora, senza ricorrere ad una rivelazione primitiva, ancor recente e non del tutto abbuiata, per la quale colla cognizione di Dio e delle verità soprannaturali fossero stati dischiusi ancora i segreti degli ordini sociali e della vita intellettuale dei popoli […].

Ma v’ha di più, o signori, al di sopra di tutti questi avvenimenti che nel seno del sovrannaturale trovano ciascuno la propria speciale ragione, ci ha un fatto supremo ed una corrispondente idea suprema, che si presenta e rifulge come la spiegazione di tutti insieme gli avvenimenti della storia.

Questa idea nel pensiero del creatore, questo fatto nella storia delle sue creature, è "l’unione del divino con l’umano". Tale unione si attuava originariamente nell’uomo allo stato di innocenza mediante la grazia che ne compiva e ne perfezionava le doti naturali. Tale unione sublime fu spezzata dal peccato; e seguì scissura e conflitto fra la natura e la grazia, fra l’uomo e Dio; e si apersero lunghe e lacrimevoli pagine della storia, di cui questo fatto primo è il segreto e la chiave di volta. Ma tale unione sublime fu restaurata dalla redenzione; e seguì un riavvicinamento della natura alla grazia, dell’uomo a Dio; e con questo fatto si inaugurano ben altre e gloriose pagine della storia, che racchiudono il responso delle leggi della civiltà […].

Soltanto il cristianesimo riconduce l’unione senza diminuzione o assorbimento; mediante il congiungimento delle due nature divina ed umana, le quali senza confondersi ed alterarsi si collegano nell’unità della persona del Verbo.»

Vi sono, nel pensiero di Giuseppe Toniolo, una chiarezza, una linearità, una concisione, che appaiono veramente ammirevoli, specialmente se le si colloca sullo sfondo del suo tempo: un tempo attraversato, e, in un certo senso, sedotto e sconvolto, da correnti ultra-razionaliste, come il positivismo e lo scientismo, e ultra irrazionaliste, come il vitalismo e il superomismo, che avevano in comune, il più delle volte, l’oscurità del pensiero, l’involuzione del ragionamento, la forzatura del buon senso, l’infrazione o il disprezzo del limite, e, insomma, la pretesa, implicita o esplicita, di fare dell’uomo il Dio di se stesso, e, della storia umana, il palcoscenico di una immensa e faustiana operazione tendente ad instaurare il paradiso sulla Terra. E tutto questo con le sole forze umane, non mediante la ricerca dell’armonia e della conciliazione, bensì mediante la lotta spietata di tutti contro ciascuno e di ciascuno contro tutti (darwinismo sociale, se non, addirittura, mediante l’eliminazione fisica del "nemico": nemico di classe, di razza, di credo religioso, evocando forze diaboliche che avrebbero condotto ai grandi genocidi del XX secolo (il primo dei quali, quello degli Armeni, ebbe luogo mentre Toniolo era ancora in vita).

È strano, ma neppure oggi, a un secolo di distanza, chi ha sbagliato è disposto ad ammettere i propri errori e a riconoscere i meriti altrui. La cultura moderna è tuttora tenuta in ostaggio dagli idoli del diabolico consumismo, manovrato da oscuri e spietati poteri finanziari, che si servono della democrazia come di un utile paravento per nascondere i loro veri disegni; e questo dopo essere stata tenuta in ostaggio, per molti decenni, dall’errore uguale e contrario dell’idolatria statalista e totalitaria del comunismo, che ha sedotto centinaia di milioni di persone e ha seminato ovunque, nel mondo, ingiustizia, crudeltà, violenza e morte. Nondimeno, la cultura ufficiale dei nostri giorni, l’intellighenzia insediata nelle università, nelle case editrici, nella stampa periodica, è tuttora nelle mani degli eredi di quelle due tradizioni fallimentari, senza che vi sia stata ombra di autocritica, o, tutt’al più, dopo un’autocritica sommaria e puramente formale, seguita da una pronta auto-assoluzione e da un altrettanto veloce reinserimento, o, piuttosto, da una tranquilla permanenza sulle poltrone del potere culturale, beninteso sempre al servizio del potere finanziario imperante. Invece di andarsi a ristudiare le opere di uomini come Toniolo, i quali hanno cerato, tempestivamente e saggiamente, una alternativa al vicolo cieco in cui si stava cacciando la civiltà moderna, si continua a dissertare su quanto hanno detto e scritto, fin nei minimi particolari, pensatori come Gramsci, o economisti come quelli che ci hanno condotti, ripetutamente, sull’orlo del disastro, e che mantengono tuttora, per forza d’inerzia, le loro poltrone e le loro posizioni di potere e di prestigio…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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