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L’intellettuale “moderno”, figlio dell’Illuminismo, odia il cristianesimo e vorrebbe estirparlo

L’intellettuale occidentale moderno, figlio della filosofia illuminista, odia il cristianesimo e vorrebbe vederlo estirpato, cancellato, dimenticato.

La sua stessa qualifica di "moderno", da lui orgogliosamente rivendicata, è un grido di battaglia nei confronti della religione e della tradizione: perché egli la interpreta nel duplice significato di "ciò che è contemporaneo, e quindi proiettato verso il futuro", e di "ciò che scaturisce dall’ideologia del Progresso illimitato", che è costitutiva della Weltanschauung illuminista; laddove è abbastanza chiaro — per costoro, s’intende, ma non necessariamente in senso assoluto — che, fra il Progresso e la tradizione, non può esservi alcuna possibile forma di coesistenza, di transazione pacifica: l’uno deve battersi per spazzare via l’altra, senza quartiere, senza alcuna indulgenza, se vuol rimanere fedele alla propria missione, se vuole essere realmente se stesso.

«Écrasez l’infâme!», ossia: «Schiacciate l’infame!», incitava il buon Voltaire, il padre della tolleranza (quello che avrebbe coniato la frase stucchevole, che ancora oggi qualunque studente si sente ripetere dal suo bravo professore di filosofia politicamente corretto: «Non sono d’accordo con te; ma sarei pronto a dare la mia vita affinché tu possa esprimere la tua opinione», anche se quella frase, probabilmente, lui non l’ha mai detta): laddove "l’infame" era, chiaramente, la religione cristiana, o, meglio ancora, la Chiesa cattolica, con la sua dottrina ed il suo retaggio culturale e morale. E non lo diceva affatto per scherzo. Al contrario: lui, e tutti i massoni come lui (che si era affiliato al Tempio massonico per interessamento di Benjamin Frankin, allora ambasciatore americano a Parigi, e del conte de Gobelin), facevano estremamente sul serio. Il loro obiettivo finale, infatti, non era di colpire questa o quella credenza religiosa, di far espellere questo o quell’ordine religioso (ad esempio, quei rompiscatole dei Gesuiti), bensì quello di spazzare via tutta la tradizione, a cominciare da quella che essi odiavano maggiormente, perché la ritenevano la principale causa dell’oscurantismo e della superstizione che avevano sinora ritardato l’avvento della felicità universale: la Tradizione cristiana (che qui mettiamo con la maiuscola, per indicare la sua origine soprannaturale). Al suo posto, essi erano disposti a tollerare solo un generico ed innocuo deismo: un surrogato della religione, che, per il fatto di essere "naturale" e "razionale" al tempo stesso (le due cose, per gli illuministi, come del resto per i giusnaturalisti del secolo precedente, andavano di pari passo), non faceva alcuna ombra al loro progetto finale: la deificazione dell’Uomo mediante la sua ragione.

Locke, Rousseau, Robespierre, Kant, erano tutti deisti: adoravano, formalmente, un Dio quanto mai discreto, innocuo e quasi timido; un Dio talmente vago e impalpabile, talmente lontano dalle vicende umane (e al quale era assolutamente impossibile sia manifestarsi mediante una Rivelazione, sia intervenire attraverso una qualche forma di Provvidenza, avendo Egli creato la natura con la precisione inarrivabile di un orologiaio svizzero, con le sue leggi immutabili), che mai e poi mai avrebbe potuto dare ombra a colui che non voleva essere secondo a nessuno: l’Uomo, uscito buono dalle mani del suo (evanescente) Creatore, e, pertanto, non bisognoso di alcuna Redenzione, perché già perfetto, e, semmai, desideroso egli stesso di perfezionare l’opera della natura, come del resto avevano insegnato alcuni filosofi della Rivoluzione scientifica del XVII secolo, primo fra tutti Sir Francis Bacon. Ha osservato a questo proposito Lorenzo Grosso nel suo saggio «Tracce di fede sulla strada dell’Illuminismo» (sulla rivista mensile «Dimensioni nuove»Torino, ottobre 2013):

«"Quando andai per la prima volta a Ginevra notai ovunque iscrizioni del tipo "’post tenebras lux’, dopo le tenebre la luce", racconta papa Ratzinger. Una scritta che appariva in ogni angolo. Incisa nella pietra dei grandi palazzi ottocenteschi, dipinta sulle pareti di muri meno aristocratici. In bella grafia gotica, che fa tanto paesi nordici.

"Dopo le tenebre, la luce". Che senso aveva quella scritta? Il motivo è storico. La scritta riflette gli ideali dell’Illuminismo […]. Dopo le tenebre dell’oscurantismo cattolico con i suoi dogmi che incatenano la Ragione, dopo l’Inquisizione, i tribunali, le streghe, i roghi e via discorrendo, ecco finalmente la ‘luce’ che fuga le tenebre. La Ragione, solo la Ragione è la grande realtà dell’uomo che si è finalmente svegliato dai suoi sogni oscuri. "L’uomo è libero, conquistatore, è il vero padrone e gestore dell’universo dopo aver esorcizzato le forze dell’ombra e del passato". È una espressione di Michèle Vovelle, autore de "l’uomo dell’Illuminismo". Per Vovelle, l’Illuminismo rappresenta "una nuova visione del mondo attraverso una nuova visione dell’uomo. Questo uomo, posto al centro dell’universo,in un mare di luce che fuga le vecchie tenebre". […] L’uomo [dice Vovelle] non è più visto all’interno del pensiero di Dio, l’aldilà scompare, si rimanda il problema dell’anima a un’altra voce dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert. La colpa e il peccato entrano nella sfera delle speculazioni metafisiche che potrebbero essere nocive, sotto la voce Fanatismo". E questo spiega la reazione degli storici, cattolici e no, al Proemio della Costituzione europea che, tra le radici dell’Europa, cita in prima istanza la democrazia greca, salta il cristianesimo di pari passo, e viene subito all’Illuminismo. […] L’Illuminismo sembra essere, sotto le sue varie forme, la nuova grande sfida con cui deve confrontarsi il cristianesimo di questo secolo. Si pensa a "un mondo senza Dio, a una storia senza Cristo, a una società senza Chiesa". È il nuovo programma morale e politico.

Qualcuno ha parlato, alla caduta del muro di Berlino nel 1989, di un secondo ’89. Il primo era avvenuto nel 1789 con la Rivoluzione francese e la svolta che ne era derivata. […] Il crollo del muro di Berlino nel cosiddetto ‘secondo ’89’ — osserva Bruno Forte — ha segnato clamorosamente la fine di quei blocchi ideologici che avevano dominato nel secolo passato. E questo ha provocato nella coscienza europea una crisi non meno grave di quella seguita al 1789". Infatti, prosegue il teologo napoletano, "non è forse il continente europeo che ha esportato in tutto il mondo l’ideologia della rivoluzione, borghese o rivoluzionaria [sic], e in generale il modello illuministico di una ragione umana presuntuosamente sicura di poter cambiare con le proprie forze il mondo intero e la vita? Non è forse l’antica ‘casa europea’ la fucina di tutte le aspirazioni emancipatorie dell’età moderna, come anche tragicamente di tutti i totalitarismi ispirati a Est come a Ovest alla pretesa di un ordine razionale compiuto e possibile da esportare nella realtà?" Non sono questi i frutti maturati su una radice che si chiama storicamente ‘Illuminismo’? Ogni assolutismo, e l’Illuminismo è l’assolutismo della ragione, rischia di sfociare nel totalitarismo. L’Illuminismo, afferma Bruno Forte, è una forma di totalitarismo, speculare al totalitarismo rivoluzionario. "Il destino dell’epoca moderna — osserva Forte — accomuna l’ideologia rivoluzionaria all’ideologia borghese: se il totalitarismo della prima è sfacciato, repressivo e violento quello della seconda è sottile e penetrante, diffuso dai ‘persuasori occulti’ della società del benessere, esigenti e presuntuosi non meno dei ‘signori’ della Rivoluzione" ("Aggiornamenti sociali", 7-8, 1993). F. Monge parla non a caso di ‘neo-dispotismo illuminista’. E in effetti vediamo benissimo come, svanito il pericolo del totalitarismo sovietico stalinista, stampa, giornali, riviste cinema, radio, televisione, siamo oggi al servizio di una concezione neo-illuminista della vita, che venga sbandierata da sinistra o da destra non importa. Si tratta sempre di una’gestione intramondana’ della esistenza, con la eliminazione di ogni Trascendenza. Le stesse grandi istituzioni europee, dal Parlamento di Strasburgo agli organismi di Bruxelles alle conferenze internazionali dell’ONU, vedi quella del Cairo sul problema demografico, sono sottoposte all’influsso di potenti lobby di tipo laicista illuministico. […]

Tagliati gli ancoraggi con il Trascendente, uno dei punti chiave con l’Illuminismo, si finisce per naufragare nella "palude infinita dell’immanenza in cui collassano, come stelle cadenti, tutti i valori tradizionali" afferma Emanuele Severino ("I valori sono stelle cadenti", Corriere della Sera, 10 marzo 1994). Questo ‘collasso del cielo sulla terra’ comporta soprattutto ‘la caduta del senso’. Dove si aggancia l’Uomo? Dove si aggancia la Ragione? In se stessi? Qual è il ‘chiodo’, per usare ancora una espressione di Severino in un dibattito televisivo, a cui appendere questo straccio di Uomo e di Ragione a cui l’ha ridotto l’Illuminismo con le sue promesse di grandezza e di autosufficienza?

La crisi della Ragione adulta, in Oriente come in Occidente — riprende Bruno Forte — si profila come crollo degli orizzonti di senso. Si riscopre il ceppo doloroso della solitudine e della morte.". Abbandonato ogni fondamento e ogni ancoraggio si naviga verso l’ignoto. Il ‘senza senso’ o ‘il senso me lo decido io’ non libera dalla caduta del senso, non dà all’uomo una sconfinata libertà e dignità di cui lui solo è responsabile, ma si risolve in un ‘permanente precipitare nel nulla’ del non senso. La perdita del senso diventa sempre più, sull’onda lunga del rifiuto, perdita di gusto a porsi la stessa domanda di senso per vivere nella disperante banalità quotidiana….»

Le frequenti citazioni di Emanuele Severino, un filosofo che non ci ha mai convinto, e di Bruno Forte, un vescovo che — a nostro parere — strizza un po’ troppo l’occhio a una certa pseudo-teologia "modernista", non inficiano la linearità e la chiarezza del ragionamento. Si ha un bel magnificare, da parte di certi cattolici "progressisti", la fruttuosità del dialogo con il mondo moderno: i cristiani possono davvero dialogare con chi desidera e persegue, puramente e semplicemente, la distruzione sistematica non soltanto della presenza attuale, ma persino della memoria storica dello spirito cristiano, nella società contemporanea?

Ma torniamo al nostro assunto. L’intellettuale modero, così come si configura a partire dal XVII secolo, e soprattutto dal XVIII, è un seguace della Ragione assoluta, dunque un agente del totalitarismo scientista, progressista e illuminista; e gli intellettuali dei nostri giorni sono quasi tutti, diciamo al 90% e oltre (o, almeno, quelli che godono della maggiore visibilità sui media, nella cultura accademica e nei salotti buoni delle classi dirigenti), gli eredi diretti e convinti di quella tradizione di pensiero; che è anche, e soprattutto, una tradizione militante. L’intellettuale progressista non è particolarmente interessato a comprendere il reale, quanto a trasformarlo: è talmente convinto di possedere il talismano per trasformare il mondo da una valle di lacrime (di cristiana memoria) a un Paradiso in terra, che non si dà la pena di studiarlo con umiltà e rispetto: vuole agire senz’altro, manipolando le cose, modificando la natura, lo stesso Dna, puntando le sue carte migliori sull’intelligenza artificiale, insomma investendo tutte le sue energie in una crociata per "rifare" il mondo, trasformandolo da cima a fondo, così da realizzare nuovi cieli e una nuova terra. Dal che si vede come il marxismo sia sopravissuto alla propria disfatta e abbia infitto il proprio pungiglione velenoso nel sangue delle generazioni successive: come per il buon vecchio Marx, i filosofi devono smetterla di perdere il loro tempo nell’inutile sforzo di capire il mondo; è ora che lo cambino, puramente e semplicemente.

Ecco perché l’intellettuale moderno non può che essere un nemico della tradizione, e dunque un nemico del cristianesimo. Le vignette blasfeme di «Charlie Hebdo», nelle quali si svillaneggiano i credenti, i preti, le suore, il papa, i santi, Gesù e la Madonna, li si raffigura in pose pornografiche, li si copre di disprezzo e derisione, sono il segno visibile di questo atteggiamento. Ma c’è anche una ragione, diciamo così, di tipo pratico: il fatto che quel 90% e passa di intellettuali "progressisti" sono, letteralmente, sul libro paga dei poteri occulti, massonici e finanziari, che da più di tre secoli stanno conducendo la loro battaglia anticristiana e che ormai si sentono arrivati quasi a un passo dalla realizzazione finale del loro supremo obiettivo: sradicare quel poco di cristiano che ancora esiste, e resiste, nella odierna civiltà consumista.

Sorge, però, una domanda. È possibile che un intellettuale sia estraneo e nemico della tradizione radicata nella storia e nell’anima del proprio popolo? In una civiltà storicamente cristiana, un intellettuale anticristiano non è forse un corpo estraneo e malato? Non si vuol dire, con ciò, che un intellettuale deve essere cristiano: ci mancherebbe; ma può svolgere una funzione utile nella società, fra i propri concittadini, se ignora, disprezza e rifiuta il suo retaggio spirituale più vero e profondo?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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