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22 Ottobre 2015L’Europa conobbe per due volte il peso dell’invasione e della conquista islamica: la prima volta nell’VIII e nel IX secolo, quando la Penisola Iberica e la Sicilia caddero in potere dei musulmani, i sobborghi di Roma vennero saccheggiati (comprese le basiliche di San Pietro e di San Paolo), il Mediterraneo divenne sostanzialmente un lago arabo, e ad Ovest la Francia, a Est la città di Costantinopoli, vennero ripetutamente minacciate dall’avanzata saracena, mettendo in pericolo sia il Regno franco che l’Impero bizantino.
La seconda volta fu tra il XIV e il XVII secolo, quando i Turchi presero il posto degli Arabi, conquistarono tutta la Penisola Balcanica, estinsero l’Impero bizantino, spazzarono via i regni cristiani di Bulgaria, Serbia, Ungheria, marciarono nel cuore dell’Europa, assediarono Vienna per due volte (1529 e 1683), minacciarono la Russia e la Polonia, sbarcarono in Italia meridionale, sterminarono gli abitanti di Otranto, effettuarono scorrerie nel Friuli, dominarono su gran parte del Mediterraneo, dal delta del Nilo allo Stretto di Gibilterra, e penetrarono a Nord del Mar Nero, stanziandosi in Crimea e occupando lo strategico porto di Azov.
La seconda ondata musulmana, quella dei Turchi ottomani, fu la peggiore: a differenza degli Arabi, portatori di una raffinata civiltà (che ebbe, fra l’altro, il merito di restituire al’Europa i tesori semi-dimenticati della filosofia greca), essi erano solo dei rozzi guerrieri di origine nomade, provenienti dalle steppe dell’Asia centrale; si erano bensì islamizzati, ma conservando la loro indole selvaggia e senza minimamente subire il fascino della civiltà e della cultura. Il loro impero era basato sulla forza bruta, sullo sfruttamento spietato dei territori conquistati, sulla subordinazione giuridica e fiscale dei cristiani rispetto ai musulmani, sopra una economia di rapina (e ciò fu vero alla lettera per i potentati barbareschi del Nord Africa, legati direttamente al sultano turco, e ciò per tutti i secoli della loro esistenza, se è vero che, ancora nel XIX secolo, delle flotte da guerra europee e statunitensi dovettero fare rotta, più volte, contro Algeri e contro Tripoli, per punire l’ardimento mostrato da quei covi di pirati ai danni delle navi cristiane.
Si può discutere — e, di fatto, da sempre si discute — se la dominazione spagnola in Italia, nei Paesi Bassi e nelle colonie d’oltre Oceano sia stata proprio così negativa per le forze produttive, così pazzamente esosa, così culturalmente arretrata e così intollerante sul piano religioso, come la "leggenda nera" (di matrice protestante) sostiene; ma vi è un sostanziale accordo, fra gli storici, circa la valutazione pesantemente negativa circa il dominio ottomano sull’Europa sud-orientale, che, dopo circa sei secoli di sfruttamento, ridusse in uno stato di grave arretratezza, morale e materiale, quella regione, senza apportarvi alcun beneficio, tranne quello di appartenere a una compagine statale forte e relativamente disciplinata, però votata a un dispotismo e ad un regime di terrore che inibiva i commerci, mortificava l’agricoltura, impediva o rallentava lo sviluppo delle forze produttive, trascurava le professioni e le arti liberali, disprezzava la cultura e la libertà di pensiero, non rispettava che la forza e colpiva con cieca, irragionevole durezza quei sudditi-contribuenti che avrebbero potuto essere la sua vera fonte di ricchezza.
Insomma, la dominazione turca sui Balcani rappresenta, per la storia dei popoli europei, una delle pagine più nere: al punto che vi è una notevole concordia nel giudizio che le ragioni della povertà, del basso livello d’istruzione e di cultura, della inefficienza dei sistemi produttivi e della scarsa stima per i benefici dell’arte, della cultura e della scienza, che ancora oggi caratterizzano parte di quell’area, sono riconducibili ai secoli della dominazione turca, che fu il regno del terrore e della scimitarra, quando i bambini cristiani venivano rapiti impunemente, alla luce del sole, per farne soldati scelti e fedelissimi al servizio del sultano, e quando imperava un fiscalismo che era un puro e semplice parassitismo statale a danno dei sudditi, e infine (come si è visto ancora negli anni ’90 del Novecento, con la guerra civile in Bosnia-Erzegovina) quando venivano insinuate le radici della mala pianta costituita dall’odio inter-etnico e interreligioso, sotto la superficie di una pace sociale imposta solo esteriormente.
Ha scritto al riguardo il grande storico francese Henri Pirenne, – che non può essere considerato pregiudizialmente ostile all’Islam -, nella sua magistrale «Storia d’Europa dalle invasioni barbariche al XVI secolo» (titolo originale: «Histoire de l’Europe des invasions au XVIe siècle»; Firenze, Sansoni, 1956):
«L’invasione turca fu senza dubbio la disgrazia maggiore che, dopo la fine dell’Impero Romano, abbia afflitto l’Europa. Dovunque passò, portò la rovina economica e la decadenza morale. Tutti i popoli sottomessi a quel giogo, Bulgari, Serbi, Rumeni, Albanesi, Greci, ricaddero in uno stato prossimo alla barbarie, da cui non dovevano uscire che all’inizio del XIX secolo. I Germani, che avevano invaso l’Occidente nel V secolo, non erano meno brutali dei Turchi. Ma si assimilarono subito alla sua civiltà superiore convertendosi al cristianesimo, e furono ben presto assorbiti dalle popolazioni conquistate. Tra l’islamismo dei Turchi, al contrario, ed il cristianesimo dei loro sudditi non era possibile nessuna conciliazione. La differenza delle religioni doveva renderli impenetrabili a vicenda e perpetuare tra di loro il regime abominevole di uno Stato che si basava solo sulla forza, che si manteneva solo con lo sfruttamento ed esisteva solo a condizione di mantenere incessantemente nei conquistatori il disprezzo del vinto e nel vinto l’odio del vincitore. Tranne una parte del popolo albanese, nessuna delle nazioni sottomesse al sultano si è convertita all’islamismo, ed i Turchi non fecero d’altronde nessuno sforzo per convertirli. Dal punto di vista religioso bastava alla gloria di Allah che i suoi fedeli regnassero sui "giaurri" [cioè i cristiani sottomessi]; dal punto di vista politico, per mantenere questo Stato che non si sollevò mai al di sopra della concezione primitiva di un regime puramente militare, occorreva soltanto ridurre i cristiani al ruolo di contribuenti. Così la loro religione, privandoli di ogni specie di diritti, si assicurava meglio la loro servitù. Dopo Selim I (1512-1520) anche il loro sangue stesso fu sottomesso all’imposta. Periodicamente i più bei fanciulli erano strappati ai loro genitori, le fanciulle per servire ai piaceri degli uomini, i ragazzi per essere addestrati nel corpo dei giannizzeri, dopo essere stati iniziati all’islamismo.
L’Europa, che non aveva potuto impedire la conquista di Costantinopoli, non poté più impedire che la potenza turca avanzasse sul continente e nel bacino del Mediterraneo. I papi cercarono invano di risuscitare lo spirito delle Crociate […]. Il solo mezzo di resistere con successo all’offensiva turca sarebbe stato una lega generale di tutta l’Europa, che unisse in un solo sforzo le risorse finanziarie e militari per un periodo di molti anni […]. Ma gli Stati del XV secolo ne erano materialmente incapaci. Il pericolo appariva tuttavia ai più potenti di loro solo come una minaccia troppo lontana per esigere il loro intervento. Abbandonarono il peso della lotta a coloro che ne venivano direttamente colpiti.
Ma i vicini più immediati dei Turchi non si trovavano sfortunatamente in condizioni di tener loro testa. Niente è più pietoso dell’incapacità di cui dettero prova e che resero inutili tanti eroici atti di devozione. Unendo le loro forze, la Repubblica di Venezia, gli Asburgo d’Austria, i re di Boemia, di Ungheria e di Polonia avrebbero opposto al nemico una potente barriera. Invece di ciò ognuno si lasciò guidare solo dalle sue ambizioni o dai suoi interessi, e mai agirono di comune accordo. Venezia non iniziò che tentativi disorganici, imprese senza slancio, terminate con le paci disastrose del 1479 e del 1502, che del suo magnifico dominio su isole e porti levantini, le lasciarono solo Candia. Quanto agli Asburgo, che con un po’ di grandezza d’animo avrebbero potuto divenire i salvatori, o per lo meno i campioni d’Europa, non giunsero ad elevarsi al di sopra di una politica avida ed incerta. Federico III (1440-1493) e Massimiliano (1493-1519) rimasero prudentemente lontani dalle battaglie e non considerarono gli avvenimenti, di cui erano incapaci di comprendere la portata, che dal punto di vista dinastico, spiando l’occasione di appropriarsi delle corone di Boemia e di Ungheria, fine supremo dei loschi intrighi dei loro antenati.»
Ora, è ben vero che lo storico deve cercare di comprendere, non giudicare, né distribuire pagelle; ma è altrettanto vero che è impossibile non tirare le somme di certe situazioni storiche, non giungere a determinate conclusioni. I popoli balcanici, dopo secoli di dominazione turca, dalla quale si sono interamente liberati appena un secolo fa, sono tuttora i più instabili, i più arretrati, i meno atti alla convivenza pacifica e al rispetto delle minoranze. Laddove lo storico, dopo aver descritto i fatti, e averne analizzato le cause e gli effetti, si ferma, ed è giusto che si fermi, la persona comune, dotata di pensiero e di sensibilità, fa le sue deduzioni e valuta le cose secondo la propria prospettiva, la propria scala di valori, il proprio senso morale.
Ai nostri giorni, lo sappiamo, sono in corso — e da anni — intense trattative per consentire l’ingresso della Turchia nell’Unione europea. Turchia che, fra parentesi, dopo aver perpetrato il primo, rande genocidio della storia contemporanea — quello contro gli Armeni — continua caparbiamente a negarlo, e commina le pene più severe a chiunque osi anche solo farne menzione; che tuttora tiene in piedi un muro divisorio — altro che il "muro" del presidente ungherese Orban -, tagliando in due l’isola di Cipro, illegalmente invasa nel luglio del 1974, e mai evacuata; discrimina e nega ogni autonomia ai Curdi che vivono nel suo territorio; non rispetta i diritti umani; aiuta sottobanco lo Stato terrorista dell’I.S.I.S.; fomenta la guerra civile in Siria; adopera le masse dei migranti, provenienti da tutta l’Asia occidentale, per fare pressione sulla Grecia e, attraverso di essa, su Bruxelles; chiede denaro per accogliere i profughi, ma gioca sporco con gi Stati Uniti in funzione anti-russa, e intanto tiene sul piede di guerra l’esercito più grande che esista nell’arco che va dalla Spagna all’India.
Insomma, se la Turchia venisse accolta nell’Unione europea, l’effetto sarebbe devastante: coi suoi quasi 80 milioni di abitanti, ne diverrebbe il membro più popoloso, insieme alla Germania, togliendo peso politico ed economico perfino alla Gran Bretagna, alla Francia e all’Italia; esporterebbe legalmente milioni di lavoratori a basso costo, distruggendo i sistemi sociali delle altre nazioni, specialmente le più ricche, e alterandone definitivamente la composizione etnica e culturale; inserirebbe una grossissima comunità islamica in un continente dalla tradizione cristiana; vedrebbe legalizzato il proprio governo, che di democratico ha poco più della facciata, a danno delle opposizioni e delle minoranze. Ci pensino bene, i parlamentari europei, così sensibili e attenti ai diritti, veri o presunti, di tutte le opposizioni e di ogni possibile minoranza; così legati ai valori della libertà, della tolleranza e del pluralismo. Ci pensino bene i parlamentari che hanno così a cuore, per esempio, i diritti degli omosessuali: in Turchia, il Gay Pride viene represso dalla polizia usando contro i manifestanti gli idranti e i proiettili di gomma; e la stragrande maggioranza della popolazione (come, del resto, accadeva anche da noi, non più tardi di una o due generazioni fa: ma ora non più) pensa che l’omosessualità sia una malattia da curare.
Dell’Italia, della Francia, della Germania, della Gran Bretagna, della Spagna, del Portogallo, della Danimarca, della Svezia, della Polonia, della Grecia, si sa quel che hanno dato al progresso e allo sviluppo della civiltà europea: alla sua storia e alla sua filosofia, alla sua arte e alla sua musica, alla sua scienza e alla sua legislazione. Ma la Turchia, che cosa ha dato all’Europa? E una Europa con dentro la Turchia, e fuori la Russia, anzi, con la Russia quale antagonista principale (come desiderano i nostri poco disinteressati "amici" statunitensi), che razza di Europa mai sarebbe? Cosa vorrebbero dire 80 milioni di nuovi europei di religione e di cultura islamica (oltre a quelli già da tempo residenti nei singoli Paesi, come immigrati recenti), mentre resterebbero fuori i quasi 150 milioni di cristiani russi, che sono tali da secoli e secoli (senza contare i 43 milioni di ucraini e i circa 10 milioni di bielorussi, fuori anch’essi)?
Gli antichi romani pensavano che la storia sia maestra di vita (historia magistra vitae); ma probabilmente si sbagliavano. La storia, come ogni altro ambito della conoscenza umana, insegna qualcosa solo a chi abbia voglia di imparare; solo a chi si ponga in posizione di ascolto. E tutti sanno che non c’è peggior sordo di chi non voglia udire, né peggior cieco di chi non voglia vedere…
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