Natura e storia, necessità e destino nel pensiero di Oswald Spengler
17 Ottobre 2015
Cupidigia, maledizione biblica
18 Ottobre 2015
Natura e storia, necessità e destino nel pensiero di Oswald Spengler
17 Ottobre 2015
Cupidigia, maledizione biblica
18 Ottobre 2015
Mostra tutto

Flussi e correnti formano un disegno cosmico nella filosofia di Theodor Schwenk

Goethe rimproverava ai fisici del suo tempo il fatto che essi studiavano i fenomeni terrestri come qualcosa di statico, e non, come avrebbero dovuto, come espressioni di un continuo fluire, di un dinamismo universale che opera incessantemente, trasformando le cose davanti al nostro sguardo distratto, che non riconosce la natura profonda ciò che vede, ed alla nostra mente, che non coglie la dimensione cosmica dei grandi processori di attrazione e repulsione ovunque operanti, e soggiacenti ad una logica che non può essere compresa, né spiegata da una scienza materialista, puramente descrittiva e quantitativa.

Alcune delle idee scientifiche di Goethe, delle quali abbiamo già avuto modo di occuparci (cfr. il nostro articolo: «Contro l’ottica newtoniana: la teoria dei colori di Goethe, tra scienza e mistero», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 29/11/2010), vennero poi riprese da filosofi come Rudolf Steiner e Theodor Schwenk, che le svilupparono nel senso dell’antroposofia. Schwenk (nato nel 1910 a Schwäbisch-Gmünd, nel Baden-Württemberg, e morto nel 1986), che era un ingegnere, si interessò in modo particolare ai fenomeni relativi all’acqua, ai flussi, alle correnti, ai meandri dei fiumi, ai mulinelli, alle correnti marine e oceaniche: a tutte le forme che assume il movimento delle particelle dell’acqua corrente, ossia dell’acqua libera di muoversi nel suo movimento naturale: il flusso. Il suo libro «Sensitive Chaos» non è passato inosservato e le sue idee, riprese e meditate da alcuni scienziati statunitensi, hanno contribuito alla nascita della Teoria del caos, che, nel campo della fisica, offre una sintesi elegantissima di fattori casuali e di fattori deterministici nei modelli matematici dei sistemi fisici.

Prima di Schwenk, le intuizioni di Goethe riguardo alla natura e le sue convinzioni su come la ricerca scientifica dovrebbe accostarsi al suo mistero, cioè non solo — come voleva Galilei — con il Logos strumentale e calcolante, ma con tutta l’intelligenza della persona, che è fatta anche di intuizione, empatia, stupore, gratitudine, creatività ed apertura coscienziale, sono rimaste, sostanzialmente, un caput mortuum nello sviluppo del pensiero moderno, e le loro potenzialità feconde non sono mai state seriamente considerate e sviluppate, per una sorta di diffidenza preconcetta e per un atteggiamento mentale di sprezzante superiorità, quasi che non fossero state ritenute degne di approfondimento, ma le si debba considerare, tutt’al più, come l’espressione di incerte e dilettantesche velleità speculative da parte di Goethe, che un pensiero scientifico "maturo" può guardare, al massimo, come curiosità intellettuali, prive di valore in se stesse.

Eppure…

Prendiamo il caso di Theodor Schwenk e delle sue speculazioni circa il fluire dell’acqua in natura. Egli le ha sviluppate e organizzate in una vera e propria teoria complessiva riguardante il moto dei corpi fluidi in tutti gli stati della materia: liquido come l’acqua, solido come la sabbia, aereo come le correnti atmosferiche. La visione d’insieme dei fenomeni terrestri possiede qualche cosa di suggestivo e di grandioso e ci introduce ad una nuova visione della natura, nella quale la materia "inerte", "inorganica", "statica", acquista, invece, caratteristiche nuove e insospettate: diviene qualcosa di intimamente dinamico, di vivo, di "intelligente": qualcosa che cerca il proprio posto nel mondo, non secondo le leggi del caos, ma secondo quelle di un ordine che sfugge ad un osservatore la cui mente sia inibita dai pregiudizi del razionalismo scientista.

In altre parole: bisogna allontanarsi un po’ di più dai fenomeni della natura, per arrivare a coglierne la reciproca connessione, così come la vastità e la bellezza del disegno complessivo, della trama ulteriore: tutto ciò non si vede restando con gli occhi vicinissimi ai fenomeni osservati, ma solo arretrando e cercando di coglierne le voci segrete, il linguaggio particolare: che non è solo e unicamente, come affermava Galilei, il linguaggio della matematica.

Così riassumeva la concezione di Theodor Schwenk, relativa al flusso d’acqua, il saggista e giornalista scientifico James Gleick nel suo libro «Caos» (titolo originale: «Chaos», New York, Viking Penguin Inc., 1987; traduzione dall’americano di Libero Sosio, Milano, Rizzoli, 1989, pp. 196-198):

«"Caos sensibile — Das sensible Chaos — fu la formula adoperata da Shwenk per designare il rapporta tra forza e forma. Egli la usò per la prima volta come titolo per un curioso libriccino pubblicato per la prima volta nel 1965, che conobbe alterna fortuna ed ebbe qualche sporadica riedizione in seguito. Era un libro che si occupava prima di tutto dell’acqua. L’edizione inglese ebbe il viatico di una prefazione colma di ammirazione del comandante Jacques-Yves Cousteau, e recava in copertina gli apprezzamenti del "Water Resources Bulletin" e del "Journal of the Institute of Waters Eniginerers". L’esposizione di Schwenk non si fregiava di alcuna pretesa di scienza, e neppure di matematica. Eppure conteneva osservazioni accuratissime. L’autore presentava una moltitudine di forme di flusso naturali guardate con occhio d’artista. Egli raccolse fotografie d eseguì decine di disegni precisi come gli schizzi di un biologo cellulare mentre compie osservazioni col suo primo microscopio. Aveva un’apertura mentale e una naturalezza che avrebbero reso orgoglioso Goethe.

Il flusso riempie le pagine di questo libro. Grandi fiumi come il Mississppi e il Leyre nel bacino di Arcachon in Francia compiono grandi meandri nel loro cammino verso il mare. Nel mare stesso, anche la Corrente del Golfo compie meandri, descrivendo anse che oscillano verso est e verso ovest. È un fiume gigantesco di acqua calda in mezzo ad acqua fredda, come scrisse Schwenk, un fiume che "costruisce le sue sponde con la stessa acqua fredda". Quando il flusso stesso è passato o invisibile rimangono tracce del flusso.» I fiumi d’aria lasciano il loro marchio sulla sabbia del deserto, sotto forma di onde. Il flusso dell’alta e bassa marea iscrive una rete di vene su una spiaggia, Schwenk non credeva nella coincidenza. Credeva in principi universali e, più che nell’universalità, credeva in un certo spirito in natura che rese la sua prosa sgradevolmente antropomorfica. Il suo "principio archetipo" era questo: che il flusso "desidera realizzare se stesso, senza riguardo al materiale circostante".

All’interno delle correnti, Schwenk sapeva che c’erano delle correnti secondarie. L’acqua che scorre in un fiume a meandri scorre, secondariamente, attorno all’asse del fiume, dirigendosi prima in profondità verso una riva per riattraversare il fiume, questa volta però in prossimità della superficie, in direzione contraria, verso l’altra riva, come una particella che si muova a spirale attorno a una ciambella. La traiettoria di ogni particella d’acqua forma una corda che si attorce attorno ad altre corde. Schwenk aveva l’immaginazione di un topologo per tali modelli. "Questa immagine di trefoli attorti insieme in una spirale è esatta solo in relazione alle modalità del movimento. Si parla spesso di "trefoli" d’acqua; in realtà, essi non sono singoli trefoli bensì intere superfici, le quali si intrecciano spazialmente e fluiscono l’una accanto all’altra". Schwenk vide ritmi in competizione in onde, onde che si sopraffacevano fra loro, superfici di divisione e strati di confine. Vide mulinelli e vortici e sequenze di vortici, interpretandoli come il "rotolamento" di una superficie su un’altra. Qui si avvicinò, per quanto era possibile a un filosofo, alla concezione della dinamica dell’approssimarsi della turbolenza propria del fisico. La sua convinzione artistica assunse universalità. Per Schwenk i vortici significavano instabilità, e l’instabilità significava che un flusso stava lottando con una diseguaglianza in se stesso, e la diseguaglianza era "archetipa". Il rotolamento dei mulinelli, lo sviluppo finemente articolato delle felci, il corrugamento delle catene di montagne, l’invaginamento di organi di animali: nella sua visione tutte queste cose seguivano un’unica via. Questa non aveva nulla a che fare con un qualsiasi mezzo particolare, o con un particolare tipo di differenza. Le diseguaglianza potevano essere lente e rapide, calde e fredde, dense e tenui, salate e dolci, viscose e fluide, acide e alcaline. Al loro confine, fiorisce la vita.»

Una intuizione notevole di Theodor Schwenk fu che le correnti dei flussi acquatici naturali, complicati da moti secondari, non corrispondono, in realtà, a dei filamenti isolati, che si possano considerare in sé e per sé, ossia staticamente, ma che, al contrario — e secondo la lezione dinamica di Goethe — si tratta di intere superfici che si intrecciano spazialmente. In altre parole, come in certi disegni utilizzati dagli psicologi per individuare le caratteristiche rispettive di una figura e di uno sfondo, ai fini della percezione dell’osservatore, Schwenk, osservando la fotografia aerea o lo schizzo di un grande fiume a meandri, non "vedeva" soltanto il fiume, ma tutta l’area da esso attraversato: e ciò gli permetteva di interpretare e collocare il movimento serpentiforme o spiraliforme dei flussi come un qualcosa di più vasto di ciò che potrebbe sembrare; qualcosa che non riguarda semplicemente il fiume, ma tutta la regione da esso attraversata, e il suo intersecarsi con altri fiumi e con altre superfici, in un disegno gigantesco, che si estende a interi continenti e, in ultima istanza, all’intero pianeta terrestre.

A meno che — aggiungiamo noi — non si voglia allargare lo sguardo ulteriormente, e considerare sia i flussi magnetici che si estendono al di sopra della superficie terrestre e si proiettano oltre l’atmosfera, nello spazio cosmico, sia i flussi delle macchie solari e dei venti solari, che caratterizzano la vita delle stelle e le loro relazioni, tuttora non completamene chiarite, con i pianeti che orbitano intorno ad esse; per non parlare dei flussi di materia a doppia spirale che si formano nelle galassie nascenti (sul quale ultimo argomento, cfr. il nostro precedente articolo: «Come mai la spirale doppia ricorre nella simbologia di tante culture diverse?», pubblicato su «Il Corriere delle Regioni» in data 03/10/2015).

Nello stesso tempo, come aveva insegnato Arthur Schopenhauer ne «Il mondo come volontà e come rappresentazione», esiste una forza cosmica potentissima e inconscia, la volontà di vivere, che lotta per affermarsi contro tutto e contro tutti, ciecamente, tenacemente, incurante di ogni ostacolo ed anche del dolore che ne deriva agli esseri viventi; e l’idea di Schwenk – anch’egli tedesco e profondamente influenzato dalla filosofia tedesca del XIX secolo, d’indirizzo anti-idealista e anti-positivista -, che il flusso «desidera realizzare se stesso, senza riguardo al materiale circostante», sembra una diretta applicazione della concezione schopenhaueriana sulla volontà di vivere. Non importa se nell’acqua, nella sabbia, nell’aria, nei fiumi, nei mari, col caldo o col freddo: tutto ciò che il flusso "vuole", brama, persegue, è realizzare se stesso, portare a compimento la propria trama incessante, sempre uguale e sempre nuova.

L’acqua, del resto — altra intuizione notevolissima di Schwenk — già da tempo ha smesso di apparirci come un semplice composto inorganico, fatto di idrogeno e ossigeno, per rivelarci una sua vita segreta, una sua misteriosa "intelligenza", che si esprime non solo nelle modalità del suo muoversi, del suo fluire, ma anche in una sorta d’inesplicabile, e tuttavia indubitabile, "memoria", che gli esperimenti del ricercatore giapponese Masaru Emoto, negli anni Novanta del XX secolo, hanno evidenziato, fra lo stupore della comunità scientifica (cfr. il nostro precedente articolo: «I cristalli dell’acqua sono parte di un dialogo che la natura ci invita ad instaurare con lei», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 11/08/2008).

Stiamo dunque assistendo ad una lenta, silenziosa, prudente ma inarrestabile "rivincita" delle idee scientifiche di Goethe, che, quand’egli le formulò, erano — forse — troppo in anticipo rispetto al suo tempo, mente oggi vi sarebbero le condizioni per una loro riscoperta ed una loro feconda valorizzazione? È ancora presto per dirlo; tuttavia il caso di Theodor Schwenk, del suo libro rivoluzionario e del suo influsso sulla Teoria del Caos, non è isolato; vi sono casi analoghi, in altri settori della ricerca e del pensiero scientifico: l’edificio del meccanicismo galileiano non è più immobile, qualcosa si sta muovendo.

Si tratta, in fondo, non già di avanzare allo sbaraglio in una terra ignota, ma, sovente, di recuperare antiche forme di saggezza. Si pensi, per esempio, alla "sorella acqua" di san Francesco d’Assisi…

Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.