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5 Ottobre 2015Da quando, al principio del XVII secolo, è scomparso dalle foreste europee l’Uro (Bos taurus primigenius), che raggiungeva in media i 175 cm. d’altezza al garrese, l’ultimo grande mammifero sopravvissuto nel nostro continente, oltre all’Orso bruno (Ursus arctos arctos), è il Bisonte europeo (Bison bonasus), lungo circa 3 metri e alto, alla spalla, da 1 metro e 80 cm. a 2 metri e 20 e pesante da un minimo di 300 kg. nella femmina ad un massimo che, nei maschi adulti più grossi, può arrivare a poco meno di una tonnellata e, comunque, a 900 kg. e oltre.
Nel 1921, in una foresta della Polonia orientale, un cacciatore di frodo ebbe la ventura di abbattere un esemplare di bisonte che, senza dubbio, rappresentò, per lui, un autentico colpo di fortuna. Era appena finita la guerra Prima guerra mondiale, con la sua appendice della guerra russo-polacca, che aveva visto l’avanzata e la ritirata di eserciti animati da un furore belluino (esistono le fotografie che documentano le atrocità più abiette, come l’impalamento di un ufficiale polacco di cavalleria da parte di alcuni fanti dell’Armata Rossa); infuriavano sia la carestia, sia l’influenza spagnola, che mietevano decine di migliaia di vittime. In quei tempi, poter disporre di buona carne fresca in quantità, sia da consumare, sia, quasi certamente, da esportare sul mercato nero, anche oltre frontiera (era, quello, il famoso confine dei contrabbandieri, immortalato dallo scrittore Sergius Piasecki nel romanzo «L’amante dell’Orsa Maggiore») rappresentava un insperato capitale.
Pure, non sapeva, quell’ignoto cacciatore di frodo, di aver posto fine alla vita dell’ultimo esemplare vivente in libertà del Bisonte europeo, una specie che, da tempo immemorabile, si spostava attraverso i boschi e le paludi dell’Europa centro-orientale, senza temere alcun nemico naturale, tranne i grossi branchi di lupi in inverno e, talvolta, l’orso: almeno fino alla comparsa dell’uomo e alla crescente antropizzazione del territorio, al sorgere di città e alla messa a coltura di sempre nuove terre in quelle che sarebbero diventate la Germania, la Polonia, la Cecoslovacchia, la Lituania, la Lettonia, la Bielorussia, l’Ucraina, la Russia, fino ai Monti Urali ed oltre, fino alla taiga sterminata del Bassopiano Siberiano, nell’Asia settentrionale.
Il danno pareva irreparabile: per fortuna, però, esistevano, sparsi nei giardini zoologici d’Europa e di altre parti del mondo, alcune decine di esemplari di Bisonte europeo, viventi in cattività: e fu dopo aver ottenuto la consegna di molti di essi che, nel giro di alcuni anni, fu possibile ricostituire una piccola, ma stabile popolazione, proprio nella foresta polacca di Bialowieza, situata a circa 70 km. a nord della città di Brest-Litowsk (resa famosa dalla firma dell’armistizio fra la Russia e le Potenze centrali il 3 marzo 1918) e oggi estesa su una superficie di ben 876 kmq.: una delle poche foreste vergini sopravvissute in Europa dai tempi più remoti, se non addirittura l’unica: vale a dire una foresta che non è mai stata modificata dalla mano dell’uomo e i cui alberi secolari si sono sempre avvicendati secondo un ciclo di nascita e morte completamente spontaneo.
In un certo senso, la rinascita del Bisonte europeo ricorda la vicenda similare che ha avuto per protagonista il suo cugino d’oltre oceano, il Bisonte americano (Bison bison), più piccolo — arriva al massimo a 1,90 m. di altezza al garrese, negli esemplari più massicci — ma più numeroso, un tempo, dato che viveva nella Prateria fra il Mississippi-Missouri e le Montagne Rocciose, in mandrie formate da molte migliaia di capi. Si calcola che, al momento in cui si affacciarono gli Europei, la popolazione di Bisonti americani si aggirasse sui 70 milioni di individui: ne restavano appena 600 in tutto allorché, ai primi del XX secolo, le autorità corsero ai ripari e riuscirono a salvarlo dall’estinzione, letteralmente in extremis.
Scrivono Massimo Di Felice e Luisa Pavesi (in: «La natura d’Italia», a cura di Laura Magni, Novara, De Agostini, 1992, pp. 98-99 e, poi, Milli Tanara Ubertazzi ( in: «La natura d’Europa», Novara, De Agostini, 1993, pp. 74-76):
«Quando in Europa la presenza dell’uomo non era così massiccia e determinante come oggi e l’agricoltura e l’industria non esistevano ancora, il territorio era quasi completamente coperto da una sterminata, fitta, impenetrabile foresta. Nelle regioni più nordiche prevalevano le conifere, mentre nelle regioni più meridionali erano diffuse le latifoglie. Il passaggio da una foresta all’altra era impercettibile, avveniva in una larga fascia di bosco misto. Era abitata da una fauna ricchissima e varia: svariati tipi di uccelli, daini, caprioli, alci, cervi, castori, lupi, volpi, orsi, tassi, ghiottoni, donne, martore, linci, gatti selvatici e bisonti. Anche se può sembrare strano, abitavano le foreste europee numerose mandrie del bisonte europeo. Possente, più grande del cugino americano, dal vello scuro e lucido, le corna larghe, era temuto da tutti gli abitanti dei boschi, uomini compresi. Oggi le cose sono cambiate drasticamente. Come sai, le foreste originarie sono introvabili e molti dei loro animali sono sull’orlo dell’estinzione. Eppure un angolino, un semplice ritaglio dell’antico ambiente è rimasto. Si trova in Polonia, in una valle isolata, e si chiama Foresta di Bialowiesa. È, come un temo, fitta di querce rugose, altissimi tigli, carpini, olmi, frassini, betulle dal tronco bianco e le foglie argentate. Il sottobosco è rado nei punti più scuri, mentre nelle piccole radure erbose crescono ciuffi di renella e asperella. Polle d’acqua sgorgano spontanee in luoghi riparati, tra felci e muschi. E qui, proprio nel loro ambiente, vivono ancora gli ultimi bisonti europei. Sembra incredibile vedere il gruppo delle femmine brucare tranquillo, con i piccoli alle calcagna, mentre il grosso maschio di oltre una tonnellata sta all’erta, discosto, pronto a intervenire appena fiutato un pericolo. La foresta è la loro casa; si cibano di erbe, ghiande, germogli, licheni. Sanno muoversi veloci e agili tra i tronchi e i rami bassi; all’occorrenza possono sfondare il sottobosco più intricato contando semplicemente sulla loro mole. Qui non ci sono più i grandi carnivori che un tempo li insidiavano; ora i maschi usano la fora solo per contendersi il dominio sul branco. Si affrontano in duello in duelli, a cornate; i tonfi sordi dei colpi che si scambiano danno un’idea della violenza dello scontro. In genere non ci sono vittime: lo sconfitto si ritira e resta isolato, aspettando un’altra occasione.
A Bialowiesa i bisonti vivono indisturbati, protetti e con pochissimi contatti con gli uomini. Si riproducono regolarmente, e la popolazione è in crescita. Quando il loro numero aumenta troppo e mette in pericolo l’equilibrio del bosco, vengono presi alcuni capi e mandati in altre riserve, dove saranno capostipiti di nuove mandrie. Sembra perciò che il pericolo di estinzione per ora sia scongiurato, ma si è arrivati ad un soffio dalla fine. L’ultimo selvaggio, infatti, è stato abbattuto proprio qui, a Bialowiesa, da un cacciatore di frodo, nel 1921. Restavano soltanto poche decine di esemplari in cattività, sparsi negli zoo di mezzo mondo. L’impegno e la passione di alcuni esperti ha permesso di radunarli e fondare un nuovo gruppo, curato assiduamente, da cui discendono tutti i bisonti europei di oggi. Essere riusciti a conservare questa specie è un successo; ha anche il significato di aver salvato parte della nostra storia.» […]
«Tra i più grandi abitatori delle foreste temperate vi soni gli orsi bruni. Un tempo molto diffusi, oggi sopravvivono solo nei boschi più selvaggi della Scandinavia, della Spagna, dell’Italia e dei Balcani.
Il gigante dei giganti è il bisonte europeo che misurando 1,80 m alla spalla, è sicuramente il più grosso animale del continente. I bisonti selvaggi europei si sono estinti verso il 1920, quando gli ultimi esemplari furono uccisi in Lituania e nel Caucaso. Tuttavia, la razza è riuscita a sopravvivere in cattività, tant’è vero che individui provenienti da mandrie d’allevamento sono stati immessi nella foresta di Bialowieza, ai confini della Russia con la Polonia. In questa zona, sotto protezione, essi hanno potuto moltiplicarsi e ritornare a uno stato semi-selvaggio: d’estate brucano le foglie di quercia, di olmo, di salice e di altri alberi; d’inverno si cibano di ghiande e di erica. Anche i predatori sono molto meno numerosi a causa della distruzione delle foreste a opera dell’uomo. Sono rimaste intoccate le volpi e qualche donnola; i lupi e le linci o sono scomparsi o sono divenuti rari.»
Oltre che quelle del Bisonte americano, le drammatiche vicende della sfiorata estinzione della miracolosa rinascita del Bisonte europeo ricordano quelle di un altro grande mammifero che pascolava liberamente nelle pianure e nelle steppe euro-asiatiche, il Cavallo selvaggio (Equus ferus przewalskii) – noto anche come pony della Mongolia per la sua taglia piuttosto piccola, ma assai robusta -, che non era affatto un cavallo rinselvatichito, ma un autentico cavallo brado, mai addomesticato dall’uomo. Esso era stato decritto per la prima volta, nel 1881, dal naturalista russo Przewalski; all’alba del Novecento un altro viaggiatore, Carl Hagenbeck, ne catturò alcune decine di esemplari e li cedette a un certo numero di zoo. L’ultimo branco allo stato libero fu avvistato in Mongolia nel 1967 e l’ultimo esemplare brado, sempre in Mongolia, nel 1969. L’ultima ora sembrava scoccata per questa specie; ma, con la collaborazione di diversi zoo, il cavallo di Przewalski venne reintrodotto in Mongolia al principio degli anni Novanta, e oggi si contano oltre 300 cavalli viventi in libertà, tutti discendenti dai 16 esemplari liberati nel 1992. Pure in questo caso, si è trattato quasi di un miracolo, strappato letteralmente alla tredicesima ora.
In realtà, esistevano due specie di cavalli selvaggi: oltre a quello di Przewalski, c’era anche il Cavallo selvatico eurasiatico denominato Tarpan (Equus ferus ferus), che si è estinto, in cattività, alla fine della Prima guerra mondiale, in Ucraina, nel 1918 o nel 1919. Una particolarità del Cavallo selvatico è che possiede 66 cromosomi, contro i 64 del cavallo domestico; e che gli ibridi originati dall’incrocio fra le due specie, dotati di 65 cromosomi, sono fertili — un caso unico, dato che, come tutti sanno, gli ibridi dell’Asino (62 cromosomi) e del Cavallo, cioè i Muli, sono sterili, e si pensava che ciò dipendesse dal patrimonio cromosomico dispari. Alcuni genetisti del Museo di Storia Naturale dell’Università di Copenaghen sono riusciti a ottenere il genoma più antico al mondo, estraendo la sequenza genetica del genere Equus dall’osso di una zampa di cavallo risalente a 700 mila anni fa (la sequenza più antica finora conosciuta era quella ottenuta dallo scheletro di un orso polare, risalente a 110.000 anni fa).
Tornando al Bisonte europeo, era inevitabile che questo grande Mammifero ruminante fosse condannato a sparire, allorché fosse sparito il suo habitat naturale: l’immensa foresta primeva, mista di conifere e latifoglie, che, migliaia d’anni or sono, ammantava pressoché ininterrottamente la fascia centrale del nostro continente (Inghilterra compresa), dall’Atlantico ai Monti Urali ed oltre, diramandosi sia verso la Penisola Italiana che verso quella Balcanica a sud, e verso la Penisola Scandinava al nord. Nella Svezia settentrionale pare sia scomparso verso il 1.000, in Inghilterra un secolo dopo, in Francia, nella foresta delle Ardenne e sui Vosgi, verso il 1300. Restavano ancora delle popolazioni abbastanza numerose in Europa orientale, anche qui, però, seriamente minacciate, nonostante alcuni provvedimenti presi in loro difesa dalle pubbliche autorità.
Benché Sigismondo I Jagellone, re di Polonia e granduca di Lituania, ai primi del 1500 avesse comminato la pena di morte per chiunque cacciasse di frodo il Bisonte europeo, segno che l’animale era già minacciato di estinzione, le uccisioni continuarono ininterrottamente nei quattro secoli successivi. L’ultimo Bisonte della Transilvania cadde sotto le armi dell’uomo nel 1790. Eppure, incredibile a dirsi, esisteva ancora una discreta popolazione di questi animali, fra Polonia e Russia, ai primi del Novecento: fu la Prima guerra mondiale a dare loro il colpo di grazia, portando le trincee col filo spinato e il fuoco dei moderni eserciti nelle foreste primeve della Polonia orientale e della Bielorussia.
Quando le truppe tedesche conquistarono la Polonia e parte della Lituania, nel settembre del 1915, alcuni reparti si insediarono proprio nella foresta di Bialowieza e si abbandonarono, con teutonica e insensata precisione, al massacro dei Bisonti colà stanziati, soprattutto per nutrirsi della loro carne, nonostante le proteste di uno scienziato, che aveva fatto presente l’immediato pericolo di estinzione. Si calcola che ne vennero abbattuti non meno di 600 capi; e, quando, infine, le truppe si ritirarono, non restavano che 9 individui ancora in vita. Poco dopo vennero uccisi anch’essi dai bracconieri; e infine, prima del 1930, caddero gli ultimi esemplari sopravvissuti, miracolosamente, nel Caucaso…
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