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La “filosofia” di William Blake anticipa quelle di Nietzsche e di Freud?

Strano destino, quello del poeta, pittore e incisore inglese William Blake, nato a Londra nel 1757 ed ivi deceduto nel 1827: pochissimo conosciuto e apprezzato in vita, ha conosciuto poi una crescente rivalutazione da pare della critica, al punto che, oggi, è da alcuni considerato come uno dei massimi poeti della letteratura inglese moderna e uno degli artisti più originali, profondi e significativi, in senso assoluto, nonché geniale precursore di molte idee e tendenze odierne.

Su quest’ultimo punto vorremmo fermare la nostra attenzione: perché l’autore di raccolte poetiche come «Songs of Innocence» («Canti dell’innocenza», 1789); «The Marriage of Heaven and Hell» («Il matrimonio del Cielo e dell’Inferno», 1790-93); «Visions of the Daughters of Albion» («Visioni delle figlie di Albione», 1793); «The First Book of Urizen» («Il primo libro di Urizen», 1794); e «Songs of Experience» («Canti dell’esperienza», sempre del 1794) non si limita a fare della poesia, corredando le sue opere con delle incisioni originali; egli si presenta come un vero e proprio profeta, sul tipo di quelli dell’Antico Testamento, tanto è vero che la Bibbia gli fornisce sia lo stile, sia l’impostazione generale e il modello culturale al quale ispirarsi, e sia pure per creare una "filosofia" originalissima — e, come fra poco diremo, tremendamente pasticciata, caotica, vero e proprio matrimonio impossibile tra le potenze celesti e quelle infernali.

William Blake, dunque, poeta-profeta, che rivendica il primato dell’immaginazione, "vendica" il sentimento e la fantasia contro la prepotenza di una ragione astratta e puramente normativa; ma anche un William Blake scatenato, anarchico, rivoluzionario, femminista, libertario, faustiano, quasi delirante, smanioso di novità, di sovvertimento, anzi, di autentico capovolgimento dei valori, a cominciare dai due poli del bene e del male; un Blake nemico delle istituzioni, di tutto ciò che è fermo e retrivo, di tutto ciò che è "ragionevole" e ponderato, ma che reprime, per ciò stesso, il fluire gioioso e incessante della vita, che è, prima di tutto, istinto e immaginazione.

Blake ce l’ha col cristianesimo, o quanto meno, col cristianesimo "tradizionale" (in effetti, egli sostiene che tutte le religioni sono una, e il "suo" cristianesimo è un pasticcio incomprensibile di immanenza e trascendenza), perché, a suo giudizio, ha represso gli istinti naturali dell’uomo. Questo ne fa, per certi aspetti, un precursore di Nietzsche, altro grande "trans-valutatore" di tutti i valori, e specialmente del Bene e del Male; ma ne fa, più ancora, un anticipatore della psicanalisi, specialmente di quella freudiana, data l’enfasi che egli pone sulla dimensione sessuale dell’istinto naturale, al punto che si potrebbe vedere nel suo vitalismo, e specialmente nella sua concezione di una Energia cosmica che tutto pervade e ovunque fluisce vittoriosa, una sorta di Libido, nel senso dei freudiani, se non, addirittura, un qualcosa di abbastanza simile all’energia orgonica di cui parlava, e farneticava alquanto, il povero Wilhelm Reich.

Con simili diadochi e prosecutori, non c’è da meravigliarsi che, nei confronti di William Blake, nel corso del Novecento vi sia stato un processo crescente di recupero, di ripresa, di ammirazione nei confronti delle sue idee e della sua opera; sarebbe stato strano il contrario. Blake ha visto, e ha annunziato, quella confusione suprema dello spirito europeo contemporaneo, che sarebbe culminata nell’anarchismo, nel relativismo e nel nichilismo radicali, nella dissoluzione dell’io, nella negazione del principio di verità, nell’edonismo eretto a sistema, nel rifiuto della ragione (dietro le apparenze di concederle la signoria: ma quella dei mezzi e non dei fini) e, infine, nella pretesa che qualunque "io" possa ergersi a norma autosufficiente di sé, eventualmente contro il mondo intero.

Trattandosi di opere nelle quali la componente iconografica è inseparabile dal testo, ci rendiamo conto di compiere, in un certo senso, una forzatura nel voler limitare la nostra riflessione al solo "pensiero" di Blake; e, nondimeno, crediamo che anche per questo autore, come per qualsiasi altro, valga la buona norma di non limitarsi a prendere atto di ciò che ha scritto, ma di voler comprendere quale fosse il suo progetto, il suo disegno, se lo aveva; e, se non lo aveva, di vedere fino a che punto il cortocircuito fra le sue intenzioni e le sue realizzazioni abbia influito sull’esito della sua produzione e del suo "messaggio".

Ha scritto il saggista e critico d’arte Roberto Sanesi nel suo commento alla raccolta dei «Libri profetici» di William Blake, ma con particolare riferimento a «Il matrimonio del Cielo e dell’Inferno» («The Marriage of Heaven and Hell»; Milano, CDE, 1997, pp. 159-161):

«"The Marriage", fortemente satirico nella sua polemica di rovesciamento dei valori del bene e del male»e di affermazione della loro interdipendenza ("Senza contrari non c’è progresso"), è da considerare una sorta di manifesto "apocalittico". L’apocalisse è una rivelazione, "contropartita oggettiva della resurrezione dell’uomo" (Frye). Il tema è lo sviluppo di quanto già annunciato nei due trattatelli precedenti, "There Is No Natural Religion" e "All Religions are One", del 1788, primi esempi di libri "illuminati", e procede secondo un susseguirsi di esposizioni teoretiche in forma fortemente immaginativa, o "visionaria", seguite da ancor più esplicite "fantasticherie memorabili", parodie delle "memorabili relazioni" di Swedenborg. Ciò che Blake propone, fra le diverse cose, e articolatamente, attraverso un passaggio per il corpo (o i sensi, per quanto mezzo inadeguato), è una totale riconquista della natura. Delle autentiche, istintive propensioni della natura umana, al di là della norma morale corrente. Il punto di riferimento, sebbene aspramente confutato, è ancora Swedenborg, il quale aveva previsto per il 1757 un Giudizio Universale che avrebbe restaurato "lo spirituale equilibrio fra bene e male, o fra cielo e inferno". Blake e la moglie erano stati ufficialmente swedenborghiani, e nel 1789 avevano firmato una serie di "resolutions" alla New Church di Londra. Quanti alla data prevista per il Giudizio, Blake non sottovalutava il fatto d’esser nato proprio nel 1757. è da questa concezione apocalittica che dipende, rendendosi necessario, il rovesciamento di significato di bene e male, evitando tuttavia ogni intenzione morale (il rovesciamento, si vedrà, è apparente, "dimostrativo", didattico, e il percorso seguito da Blake e dall’Angelo è tutto ironico). Non si potrà ignorare, infatti, che Blake attribuiva al termine "inferno" significati diversi: e "vi è un inferno reale nella mente umana… un take inferno consolida una virtù morale fondata sul terrore con un male morale fondato sulla crudeltà", annota il Frye. Non è questo l’Inferno al quale Blake si riferisce privilegiandolo sul concetto di Cielo. Tale Inferno non sarebbe che "una fantasia dell’uomo malvagio". Non a caso Blake lotta polemicamente contro la legge morale del "tu devi" e contro ogni forma di religione organizzata. Dopo l’apocalisse questo tipo di inferno non può che essere annientato, così come non si può più reggere neppure la concezione di un Paradiso che gli sia contrapposta. Non so fino a che punto sia stata discussa qualche anticipazione delle posizioni di Nietzsche (le sue "tra svalutazioni"; la metafisica, la morale, la religione, la scienza, quali menzogne; scienza e filosofia ancillae della falsificante religione, ecc.), ma certamente è stata notata un’intuizione non dissimile da quella di Freud: il tipo di Energia di cui parla Blake potrebbe intendersi come Libido, Id, e la Ragione (il personaggio che apparirà in seguito, Urizen: "Your Reason") come censore, o Superego. Anche per questo sarebbe errato dare a Bene e Male così come sono intesi da Blake (puri termini "tecnici") una qualunque connotazione morale. Senza dubbio in "The Marriage" il "bene" coincide con il Cielo, che è però il regno dell’ortodossia, del dogma, così come gli angeli rappresentano la cieca accettazione della morale comune, dei codici religiosi, e il "male" coincide con l’Inferno, che è però il luogo della vita, dell’immaginazione, della rivoluzione, tanto che i suoi diavoli appaiono come gli unici pensatori originali e liberi. Il passaggio attraverso le vie infernali, che consente di superare la condizione di stallo fra i due opposti, della legge e dell’istinto, del sovrasensibile non esperito e del sensibile non interiorizzato, avvia con accentuazione anarchica verso l’accettazione necessaria, anzi indispensabile, dei naturali impulsi umani come guida della coscienza al compimento: "Colui che desidera ma non agisce nutre la Pestilenza". Il disegno proposto in vista del superamento (un matrimonio: non un equilibrio come aveva invece suggerito Swedenborg nel suo "Heaven and Hell" del 1784) potrà attuarsi solo con l’insurrezione degli istinti. Non stupisce che in coda a "The Marriage" sia stato apposto "A Song of Liberty", anello di congiunzione con "The French Revolution": dall’universale al sociale. Come qualsiasi religione che separi bene e male è fondata su una ragione astratta, una qualsiasi concezione morale che ne derivi e sia fondata sul "tu devi", su categorie normative negative, non può che finire col sostenere e fissare le istituzioni e col generare un’azione politica di distruzione e oppressione. L’arte, l’immaginazione, contrariamente alle istituzioni è centrifuga. Quando Blake, in uno dei suoi proverbi, afferma che "Esuberanza è bellezza", nel rafforzare la sua richiesta di espansione della percezione sensoriale (del desiderio) mentre suggerisce una sorta di azione politica di tipo anarchico implica una superiorità dell’immaginativo sul razionale ("Le prigioni sono costruite con le pietre della Legge, i bordelli con i mattoni della Religione"), e sposta il suo discorso anche verso la precisazione di una concezione estetica, se non di una poetica. Che è quella apocalittico-visionaria, il cui modello è la Bibbia, che diviene la "Bibbia dell’Inferno". Per Blake, "la forma d’arte più completa è la visione ciclica, la quale, come la Bibbia, vede il mondo tra i due poi della caduta e della redenzione" (Frye), ed è questa la vera epica, da cui l’interesse di Blake per Dante e Milton. Quantoalla Conoscenza, compresa quella di Dio, essa è ottenuta attraverso il Genio — si onora Dio onorando il genio personale di ogni esse umano: arte e conoscenza coincidono, facendosi atto religioso. Ma in una nuova, diversa accezione del religioso. Anche il concetto di Libertà cade sotto lo stesso principio: libertà è apprendere a esercitare il proprio genio contro ogni normativa restrittiva, lasciando che l’Energia trionfi sulla Ragione.»

Strano destino, dicevamo: ma non solo per la riscoperta postuma di Blake da parte della critica (un po’ meno da parte del pubblico, vista la notevole oscurità della sua scrittura), bensì per l’esito paradossale cui è giunto nel suo furore contro la tradizione e contro il cristianesimo repressivo e sessuofobico: perché questo Prometeo che si ribella, con un misto di "innocente" e proterva malizia, contro le Tavole della Legge, non può fare a meno di prendere i toni e le pose di un profeta dell’Antico Testamento; e, con ciò stesso, riconoscere implicitamente la vanità, per non dire l’assurdità, della sua luciferina ribellione. E anche in questo somiglia a Nietzsche, che fa parlare il suo Zarathustra più come un prete, o un asceta, o un profeta biblico, che come un vero e moderno annunziatore della morte di Dio; e che finisce per identificarsi con l’Anticristo, riconoscendo, implicitamente, il suo immenso debito nei confronti di Cristo stesso.

Poiché credeva che solo la gioia fosse la degna maniera di proclamare la gloria di Dio, Blake era convinto che tutte le religioni praticate nel mondo altro non fossero, in definitiva, che un unico culto blasfemo, il culto di Satana; e anche qui non si accorgeva, per difetto di cultura o – quel che è più grave – di logica, di ripercorrere le orme del feroce dualismo manicheo, perché la demonizzazione della Chiesa e del cristianesimo, così, in blocco, rimandava ad una purezza del "vero" culto divino che nessuno, evidentemente, era mai stato in grado di raggiunger. Il che è quanto dire che l’uomo non riuscirà mai a liberarsi dalla propria doppia natura, e vivrà sempre scisso e diviso in se stesso: cosa gravissima, da parte del profeta della "liberazione" universale. Eppure, è sempre così, e la storia lo insegna: chi vorrebbe fare dell’uomo un angelo (o un "diavolo", come Blake: ma i suoi diavoli sono le creature libere e felici che dovrebbero fornire il modello all’umanità futura), finisce per condannarlo ad una infelicità assai peggiore di quella da cui vorrebbe liberarlo. Per Blake, i seguaci di tutte le religioni sono altrettanti "morti": dunque, il suo massimalismo rivoluzionario — che anticipa, per certi aspetti, anche quello, del pari velleitario e confuso, di un altro scrittore inglese contemporaneo: David Herbert Lawrence — lo sospinge inesorabilmente verso un pessimismo radicale circa la storia e verso la stessa natura umana.

Non si capisce davvero, partendo da simili premesse, dove e come gli esseri umani troveranno in se stessi le forze per spezzare le loro catene e tornare alla vera "vita". Secondo lui, bisognava sopprimere l’idea di peccato: logico, visto che negava il bene e il male e auspicava il loro "superamento". E anche questo ci ricorda qualcosa; e ci ricorda anche cosa è accaduto allorché qualcuno ha voluto prendere questi concetti — semplicemente balzani a livello teorico, ma pericolosissimi a livello pratico — e calarli, di forza, nel tessuto vivo della storia. O meglio, si capisce anche troppo bene dove trovare le forze per questa trasformazione antropologica: perché, per Blake — e, anche in questo, la sua "modernità" appare, in effetti, sconvolgente — non c’è una vera distinzione fra Dio e l’uomo: l’uomo è già una creatura divina, deve soltanto rendersene conto, perché divina è l’energia che lo pervade, così come pervade tutte le cose.

Blake panteista, dunque: come è giusto che finisca per riconoscersi qualunque rigoroso e coerente naturalismo.

Una sola domanda, arrivati a questo punto: per farsi banditore di questo immanentismo radicale, c’era davvero bisogno di scomodare l’Antico Testamento ed i profeti; di scimmiottare lo stile biblico; di assumere le pose di un moderno san Giovanni che, dall’isola di Patmos, annuncia al mondo l’apocalisse imminente? Non è forse, questo, un voler versare del vino sin troppo nuovo entro degli otri che sono, invece, ormai terribilmente vecchi?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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