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La taglia delle specie animali è proporzionale alle dimensioni dei continenti?

La taglia di una specie animale è direttamente proporzionale alla superficie della massa continentale, o delle isole, nelle quali essa si trova a vivere? Per dirla in termini più chiari: i continenti più grandi ospitano le specie animali più grandi, mentre i continenti più piccoli ospitano le specie animali di taglia minore?

Questa curiosa teoria si è affacciata più di una volta, nel corso della storia della biogeografia, alla mente degli studiosi; ed è un’idea fortemente intuitiva: tutti sanno che il più grande animale terrestre, l’elefante, vive in Africa; tutti sanno che il più grande animale terrestre dell’Australia è il canguro, che è assai più piccolo; e tutti sanno — più o meno: ma basta gettare uno sguardo al mappamondo – che l’Africa è grande circa quattro volte l’Australia (per l’esattezza, 30 milioni e 200 kmq. contro 7 milioni e 610.000 kmq., in cifra tonda).

Anche Darwin era stato colpito da una intuizione del genere, nel corso del suo viaggio intorno al mondo a bordo del «Beagle» (non che bisogni prendere per vera e geniale ogni minima osservazione di Darwin, e specialmente del giovane Darwin, come vorrebbero certi suoi discepoli ultra-devoti; non più di quanto bisognerebbe giudicare un capolavoro qualunque schizzo, qualunque sgorbio di Picasso, o qualunque verso di Éluard). Egli aveva osservato che, nelle isole, le dimensioni delle specie animali tendono a diminuire, mentre sono di taglia assai più grande le creature che vivono nei vicini continenti.

Una formulazione molto netta, e pressoché apodittica, di questa teoria — perché, non dimentichiamolo, è solo e unicamente una teoria — è stata formulata, guarda caso, da un darwiniano di ferro: il saggista e divulgatore scientifico statunitense Gene Bylinsky, già membro New York Academy of Sciences, scomparso nel 2008, all’età di settantasette anni, per un tumore, nel Colorado (da: Gene Bylinsky, «La vita nell’universo di Darwin. L’evoluzione e il cosmo» (titolo originale: «Life in Darwin’s Universe», Wayne McLoughlin, 1981; traduzione dall’americano di Annalisa Baldassarrini Rancati, Milano, Mondadori, 1983, pp. 56-58):

«Una volta scomparsi i dinosauri, i mammiferi e quei discendenti dei dinosauri che sono gli uccelli si precipitarono nelle nicchie ecologiche lasciate vacanti dai rettili giganti. Fu un esempio impressionante di radiazione da adattamento. Il cielo prima solcato da quei sinistri rettili volanti chiamati pterosauri, ora era pieno di uccelli. Nel mare dive rima gli ittiosauri si tuffavano per catturare i pesci, ora ruzzavano i delfini, mammiferi che erano ritornati al mate. Sull’erba prima calpestata dai tirannosauri, ora pascolavano animali simili al rinoceronte. […] Gli eventi su più ampia scala si verificarono sull’area costituita da Africa, Asia, Europa e Nord America. Il gruppo di placentati primitivi si differenziò nel regno dei mammiferi che conosciamo attraverso un’evoluzione che infine da un sottogruppo di creature simili al toporagno produsse esseri come la balena, il pipistrello e l’uomo.

Generalmente,su queste grandi masse terrestri si svilupparono gli animali più grandi e più intelligenti. Sulle masse terrestri di piccole dimensioni, invece, si svilupparono animali più piccoli, o, perlomeno, gli esseri più piccoli sopravvissero più a lungo. In effetti, vi è una relazione che salta subito all’occhio tra l’area di un’isola e il numero di specie animali che vi si possono trovare, numero che aumenta con l’aumentare delle dimensioni dell’isola. Non solo, ma […] gli animali più grandi sembrano essersi sviluppati sulle masse terrestri più estese.

L’Australia, d’altro canto, offre un esempio di evoluzione un po’ ridotto, ma non per questo meno affascinante.

Il primitivo opossum marsupiale che raggiunse l’Australia ha dimostrato come una specie unica che disponga di un periodo di tempo sufficientemente lungo e di un teatro abbastanza grande per la propria rappresentazione, possa dare vita a un vero e proprio zoo. Quello dell’opossum è un esempio dell’estrema diversificazione messa in atto attraverso l’evoluzione di un unico animale, per effetto del suo potenziale genetico e dell’ambiente circostante.

Da quell’unico antenato marsupiale nacque il canguro, il koala, il falangeride (che assomiglia a uno scoiattolo gigante), un topo indigeno, un tipo di gatto, di talpa, di bradipo, il vombato (animale che rassomiglia al nostro tasso), il lupo dotato di marsupio e persino un tipo di formichiere. Queste creature si arrampicavano sugli alberi come le scimmie, planavano da un albero all’altro, scavano sotto terra. Alcuni diventarono carnivori, altri vegetariani; alcuni erano minuscoli, altri grandi. La loro evoluzione esplorò tutte le variazioni possibili. Però, sebbene tutti questi animali (a parte il canguro e il koala) rassomiglino ai loro corrispettivi placentati, che vivono sugli altri continenti, in realtà hanno con loro un legame molto remoto.»

A parte la lunga tirata sulle meraviglie dell’evoluzionismo (che l’opossum marsupiale sia il capostipite di tutti o quasi tutti i mammiferi australiani, è cosa che risulta "dimostrata" solo nella testa di Bylinsky), la teoria — ripetiamo, la teoria — della corrispondenza fra la taglia degli animali e la dimensione delle terre in cui vivono, è, anch’essa, tutta da dimostrare.

L’Autore, peraltro, non si limita alle dimensioni: parla anche dell’intelligenza; e sostiene che non solo gli animali più grandi, ma anche i più intelligenti, vivono nei continenti più grandi. Ora, non vi è alcun dubbio sul fatto che l’elefante, maestoso abitante dell’Africa, sia un animale di notevole intelligenza (cfr. il nostro precedente articolo: «Perché gli elefanti vegliano i loro compagni morti e perché seppelliscono i cadaveri?», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 26/01/2010); ma da qui ad affermare di aver chiaramente compreso cosa sia l’intelligenza animale, e a sostenere, per esempio, che il tilacino, o tigre marsupiale della Tasmania, sia meno intelligente di altri mammiferi e di altri carnivori, che vivono nel continente africano, ce ne corre.

Non solo. Bylisnki, con perfetto candore, mescola insieme due cose diversissime: la statura degli animali e il numero delle specie. Egli afferma, giustamente, che esiste un rapporto fra la superficie di un continente e di un’isola, e il numero delle specie animali che vi hanno trovato il loro habitat. Eppure, si tratta di una cosa completamente diversa dalle dimensioni di quelle specie animali; ed è una cosa che non ha niente a che fare con l’estensione dei continenti e delle isole.

Primo, un animale può essere di grandi o medie dimensioni, ma rappresentato da una sola, o da poche specie, entro quel determinato territorio: valga per tutti il caso del lupo delle Falkland — oggi estinto -, Canis antarcticus, del quale ci siamo già occupati (cfr, il nostro articolo: «Come è arrivato il lupo delle Falkland in quelle isole così lontane dalla terraferma?», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 21/07/2010). Il rapporto fra specie animali e ambiente è sempre un rapporto dinamico: vi sono specie, immigrate da poco, che si adattano rapidamente e si moltiplicano, e altre che sono immigrate da tempi antichi, ma che a stento riescono a riprodursi in misura sufficiente a bilanciare le morti; e viceversa. Vi sono specie che sono riuscite a raggiungere una certa isola, o un certo territorio, grazie a condizioni geografiche che sono mutate nel corso del tempo, e che oggi non esistono più: in tal caso, quelle specie rimangono come intrappolate nel nuovo territorio, e la loro possibilità di sopravvivenza dipende unicamente dalle loro capacità adattative.

Secondo, l’habitat di una specie animale non va confuso con il territorio geografico: l’habitat designa solo quella porzione di territorio che è necessaria affinché una determinata specie animale possa vivere, nutrirsi e riprodursi; e ciò indipendentemente dalla vastità dell’isola o del continente in cui si trova. Una certa specie animale può avere bisogno di tanto o poco spazio, a seconda delle sue abitudini, della sua alimentazione, della sua riproduzione: spazio che può trovarsi sia in un’isola piccola, che in una grande; sia in un continente piccolo, che in uno grande. Le condizioni di vita di un’isola o di un continente non sono uniformi; un’isola può essere grande, come la Nuova Guinea o il Madagascar, ma offrire solo un habitat ristretto a una determinata specie animale, la quale abbisogni di condizioni ecologiche assai particolari. Un habitat montano non è, evidentemente, la stessa cosa di uno pianeggiante; uno paludoso, o umido, rispetto ad uno asciutto, o arido; uno rivierasco, rispetto ad uno interno.

Confondere il numero degli animali presenti in un ceto territorio, con il numero delle specie, è un errore da dilettanti; ma confondere la taglia e l’intelligenza degli animali con l’ampiezza geografica dell’isola o del continente in cui vivono, è cosa addirittura assurda. E c’è dell’altro. Perché Gene Bylinsky parla solo degli animali, e non anche delle piante? Se la sua "teoria" fosse giusta, non si capisce perché dovrebbe limitarsi al mondo animale; al contrario, ci sembra intuitivo che essa dovrebbe estendersi anche al mondo vegetale. Dobbiamo quindi aspettarci che in Asia e in Africa vivano gli alberi più grandi, e in Australia o in Sud America (rimasta a lungo isolata dal Nord America) quelli più piccoli? Purtroppo per lui, non è così.

In Australia vive l’albero più alto del mondo, l’eucalipto (che arriva fino a un’altezza di 100 metri); e nell’America Settentrionale il più imponente e, forse, il più longevo, la sequoia gigante (cfr. i nostri articoli: «Anche dalla cima di un albero si può amare senza riserve il mondo intero» e «Il fascino arcano e l’incantevole mistero dei grandi alberi centenari e millenari», pubblicati sul sito di Arianna Editrice, rispettivamente in data 26/09/2007 e 26/11/2014). Un’isola relativamente piccola, come l’isola di Mas a Fuera, nell’arcipelago Juan Fernandez (85 kmq.), ospita una pianta, la Gunnera (Gunnera mas-a-fuerae), dalle foglie più grandi al mondo: da 1 metro e mezzo a 2 metri di diametro (cfr. i nostri articoli: «Un santuario della natura unico al mondo: le isole Juan Fernandez», pubblicato su «Il Corriere delle Regioni» in data 01/08/2015; e «La flora sub-antartica di Mas a Fuera», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 23/05/2007).

Eppure, se l’intuizione di Bylinsky fosse giusta, le isole piccole dovrebbero avere solo, o almeno prevalentemente, piante piccole, mentre quelle più grandi dovrebbero trovarsi nei continenti più estesi. Ma, come nel caso degli animali, i fattori che hanno condotto al popolamento vegetale di una certa regione terrestre sono vari e complessi; hanno a che fare non solo con la distribuzione attuale, ma con la tettonica a zolle, le eruzioni sottomarine (nel caso delle isole vulcaniche), la formazione delle isole coralline, le glaciazioni, e così via. Istituire un rapporto meccanico e statico fra la taglia delle specie viventi e il territorio in cui abitano attualmente è, perciò, nel migliore dei casi, una grossolana semplificazione, che ignora tutta una serie di dati poco appariscenti, ma ugualmente necessari, anzi, indispensabili, per comprendere come le diverse specie siano entrate a far parte della fauna o della flora di quella certa regione terrestre.

Un’altra osservazione. Bylisnky, da buon darwiniano senza "se" e senza "ma", ritiene che sia sufficiente una certa quantità di tempo e di spazio, affinché, da una specie originaria, si sviluppi un intero zoo (o un intero giardino botanico, aggiungeremmo noi), secondo la teoria classica dell’evoluzionismo biologico. Dateci un po’ di brodo primordiale, qualche fulmine carico di elettricità, e noi vi cucineremo tutti i piatti della vita oggi esistenti: questa è la sostanza del suo discorso. Ma le cose non sono affatto così semplici. Dateci abbastanza tempo e uno spazio sufficientemente vasto, e comparirà un antenato dell’uomo: questa è un’altra straordinaria affermazione di Bylinsky, che non esita a delineare come potrebbe essere un uomo-pipistrello del futuro, capace di fare tutto quel che fa l’uomo, e, in più, anche di volare.

Ed ecco che le due idee di questo evoluzionista di ferro, il rapporto fra massa corporea e superficie di un’isola o di un continente, da una parte, e fra intelligenza e superficie geografica, dall’altra, miracolosamente si saldano: ed egli arriva ad affermare (op. cit., p. 70) che, dei tre mini-continenti esistenti quando avvenne il processo di ominazione, due, il Sud America e l’Australia, andavano scartati per la loro modesta estensione, per cui era fatale che l’antenato dell’uomo comparisse in Africa (il koala viene preso in esame come possibile candidato, ma poi scartato, per ragioni non troppo chiare al lettore).

Evidentemente, una volta adottato il partito preso dell’evoluzionismo classico, non bisogna più arretrare davanti a nulla, né vergognarsi delle teorie più balzane. Tutte le specie viventi evolvono lentamente, ma continuamente, dice Bylinski. Peccato che i fossili viventi dimostrino il contrario…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Vidar Nordli-Mathisen su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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