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Quando i leoni si celavano nei boschi e i monti cretesi

La ricostruzione dell’antica fauna vissuta in una determinata regione geografica, ad esempio in un’isola di medie dimensioni, come Creta o le altre quattro maggiori isole del Mediterraneo (Sicilia, Sardegna, Corsica e Cipro) si basa essenzialmente sui ritrovamenti delle ossa delle diverse specie animali, ma — a partire dall’epoca storica, cioè da quando quella regione fu sicuramente abitata da esseri umani civilizzati – si arricchisce anche delle testimonianze recate dalle arti figurative, come gli affreschi dei palazzi o i sigilli incisi e altre opere di oreficeria e argenteria, nonché su quanto narrato dalle fonti letterarie, sia sotto forma di poemi scritti, sia di incisioni su tombe, iscrizioni di templi e simili. D’altra parte, sbaglierebbe chi pensasse che ciascuna di queste possibili testimonianze indirette sia di per sé probante, poiché tanto le raffigurazioni parietali, o musive, o le sculture e le incisioni, o le stesse fonti letterarie, possono citare, sì, questa o quella specie animale, ma non è detto che essa realmente fosse presente in quel territorio, poiché potrebbe trattarsi di raffigurazioni o descrizioni dovute a racconti di seconda o terza mano, oppure di raffigurazioni simboliche, che presentano questo o quell’animale sacro, come il toro o il leone, per rappresentare qualche attributo della divinità. Sigilli, fibbie, medaglioni e monete possono inoltre essere giunti in quel luogo da molto lontano, in certi casi addirittura da un altro continente, grazie ai viaggi marittimi dei mercanti che li portavano con sé e li usavano per pagare le merci acquistate sul posto; o, ancora, potrebbero essere bottino di guerra, giunti al seguito dei guerrieri vittoriosi ritornati in patria da una spedizione militare in terre più o meno lontane (vedi il nostro articolo: Quando lupi, orsi e gazzelle scorrazzavano per i boschi dell’isola di Eubea, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 20/11/17).

Ad ogni modo, ciò che desiderano capire gli studiosi di biogeografia non è solo se un certo animale visse in una certa regione, ad esempio se il leone visse nell’isola di Creta in epoca storica, oltre che — come è sicuro — nella Grecia continentale e in Macedonia; ma anche fino a quando vi sopravvisse, per poi scomparire in seguito al mutare delle condizioni ambientali e in particolare, il più delle volte, alla pressione esercitata dal fattore antropologico. Il problema nasce sia dalle incertezze della datazione dei reperti ossei, che talvolta presentano oscillazioni notevoli pur con il metodo più sicuro e moderno, quello basato sul radiocarbonio, sia dal fatto che anche i reperti ossei non sono sempre e comunque interpretabili in maniera univoca. Anche lasciando da parte casi particolari, come il famoso cranio di Klagenfurt, di un rinoceronte lanoso, che potrebbe aver dato origine alla leggenda del drago della città carinziana, raffigurato nel monumento della piazza centrale oltre che presente nel suo stemma, i resti di ossa di antichi animali possono essere male interpretati per varie ragioni. Una di esse è che qualcuno potrebbe averli portati in quel luogo, dove tali animali in realtà non sono mai vissuti, oppure non vivevano più all’epoca in cui quei resti furono introdotti. Tale può essere il caso delle zanne di cinghiale, ritrovate entro depositi di avanzi di cucina in vari siti cretesi, ma che potrebbero risalire a un’epoca in cui il cinghiale era già scomparso dalla grande isola mediterranea, o forse importate dall’esterno a scopo di ornamento, oppure conservate per alcune generazioni dopo l’estinzione di quel mammifero (cfr. i nostri articoli: Jakob Scheuchzer e i "draghi volanti" delle Alpi, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 22/06/07 e su quello dell’Accademia Nuova Italia il 23/11/17; e Gli elefanti di Malta e Sicilia, classico esempio di "nanismo" delle faune insulari, sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 20/11/17).

Scrive l’archeologo irlandese Sinclair Hood, che fu direttore della British School of Achaeology di Atene, esperto della civiltà minoica nell’Età del Bronzo, autore d’importanti scavi a Micene e nell’isola di Creta, nel suo volume La civiltà di Creta (traduzione di Giovanna Caruso Bonaduce, Roma, Newton & Compton, 1979, pp. 99-103):

Il solo grande animale selvatico rimasto attualmente a Creta è l’agrimi o capra selvatica. Questo stambecco cretese (Capra hircus cretensis) somiglia al bezoar che si trova distribuito dalla Grecia verso l’Oriente, attraverso l’Asia Minore, fino in Persia e nell’India nord-occidentale. Le capre selvatiche della razza bezoar sembrano essere in stretta relazione con i progenitori delle attuai capre domestiche e le agrimi di Creta sino probabilmente i selvaggi, si fa per dire, discendenti delle capre domestiche che si liberarono o fuggirono sulle montagne dell’isola e divennero selvatiche durante l’Età del Bronzo o prima di essa. Gli artisti minoici dipingevano spesso capre che sono indistinguibili dalle attuai agrimi, con lunghe corna ricurve che presentano ad intervalli delle protuberanze. Talvolta queste capre appaiono in circostanze della vita domestica, mentre risiedono sul tetto di un tempietto o mente tirano carri. Gli occupanti di questi carri sono forse di natura divina ma non c’è ragione perché le capre non dovessero essere impiegate come animali da tiro Simili capre, comunque sono spesso raffigurate mentre balzano su rocce desolate oppure inseguite dai cacciatori e dai loro cani. I maiali sembra che siano stati addomesticati a Creta fin dall’epoca neolitica. Ma c’erano anche i cinghiali cacciati per la loro pericolosità e la loro carne. Le loro formidabili zanne si trovavano, insieme ad altri rifiuti di cucina, in livelli dell’Età del Bronzo sia a Cnosso che altrove a Creta. Un tempo, nelle foreste e nelle montagne di Creta, possono essersi celati dei leoni. Essi si dovevano ancora trovare nel XV secolo a. C. in Macedonia, nell’estrema parte settentrionale della Grecia, dove i cinghiali si trovano anche oggi. I leoni erano uno dei soggetti più graditi agli incisori di sigilli cretesi dai tempi del Minoico Antico in poi. Su sigilli del Minoico Tardo sono spesso rappresentati mentre assalgono altri animali, timidi cervi o bestiame. I leoni che uccidevano bestiame, selvaggina e uomini dovevano essere una pericolosa minaccia. La loro caccia e la loro eliminazione con le semplici armi del’antichità richiedevano disciplina di tipo militare e coraggio. La più famosa delle lame di pugnale ageminate, trovate nelle tombe reali a pozzo di Micene sul continente greco, rappresenta uomini armati di scudi, lance e archi che cacciano un gruppo di leoni. Sebbene il pugnale sia stato trovato sul continente, può essere opera di un artista cretese, o anche raffigurare una scena che si svolge a Creta. Anche i leoni sembrano animali sacri al servizio di divinità cretesi. Il leone che accompagna una dea armata in una delle impronte di sigillo provenienti dai depositi del tempio di Cnosso è contrapposto ad una leonessa che cammina accanto ad un dio guerriero. I cervi erano presenti a Creta durante l’Età del Bronzo e sopravvissero tra le montagne della parte occidentale dell’isola fino all’epoca romana. Ossa di bovini furono recuperate insieme a quelle di pecore e capre dai più antichi livelli neolitici di Cnosso. I primi coloni portarono probabilmente con sé il loro bestiame, in quanto non c’è nessuna prova che siano mai esistiti a Creta dei bovini selvatici. I bovini cretesi sembra che discendano dal gigantesco Bos primigenius dalle lunghe corna. Il bestiame era forse allevato per il suo latte piuttosto che per la sua carne; ma i buoi servivano anche, senza dubbio, come animali da tiro e bestie da soma, mentre le loro pelli erano richieste per i grandi scudi usati nella caccia e nella guerra. Un impiego spettacolare del bestiame si aveva nei giochi acrobatici sui tori, che per essi avevano certamente un aspetto religioso o magico. I tori venivano forse sacrificati dopo i giochi, ma ciò non è sicuro. Mentre le evoluzioni sui tori sembra che siano state praticate in Creta fin dalle epoche più remote, la maggior parte delle testimonianze riguardo al sacrificio di bestiame risale al Minoico Tardo III, nel XIV secolo a. C., ed allora sempre in connessione con riti funebri. Piccoli altari per sacrifici ignei, comunque, esistevano certamente nei palazzi sin dal Minoico Tardo I, nel 1500 a.C. ca., se non prima. I tori impiegati nelle cerimonie acrobatiche erano di razza domestica, a giudicare dalle loro pelli a chiazze, pezzate o con macchie bianche trasversali. Ma essi erano abbastanza selvaggi, come può diventare del bestiame lasciato vivere in stato semi-selvatico, e scene come quella raffigurata su una delle tazze di Vafio illustrano vivacemente le difficoltà e i pericoli che potevano accompagnare la loro cattura.(…)

La scimmia è un altro animale che deve essere venuto a Creta dall’Egitto. Dipinte di blu, secondo la convenzione egiziana, le scimmie si rivelano su numerose pitture murali del XVI secolo a. C. ca., sia a Cnosso che a Tera, dove la testa fossile di una di esse è stata riportata alla luce dalle macerie dovute all’eruzione dell’Età del Bronzo…

Le notazioni di Sinclair Hood ci mostrano quale sia il giusto metodo da seguire per determinare la natura e la consistenza di un’antica fauna: l’utilizzo incrociato dei dati provenienti dal ritrovamento e dalla datazione delle ossa e di quelli offerti dalla tradizione artistica e letteraria. Se presi isolatamente, i dati di una singola provenienza possono condurre a conclusioni fuorvianti; è solo se essi vengono confermati dalle altre fonti che si possono considerare sicuri. Né la paleontologia, né l’archeologia sono delle scienze esatte; e infatti non esiste una formula matematica capace di sintetizzare in una legge di valore scientifico universalmente riconosciuto l’esatto significato dei ritrovamenti ossei (o anche dell’intero organismo, come per i mammut conservati nel ghiaccio della Siberia, o per gli stessi esseri umani conservati nella torba, sotto forma di "mummie di palude", in alcuni siti danesi, tedeschi, olandesi e inglesi) di una data specie animale, entro un determinato territorio. Più che mai opportune ci paiono, in proposito, le osservazioni del noto esploratore e antropologo norvegese Thor Heyerdahl (1914-2002), l’uomo che nel 1947 attraversò il Pacifico dalla costa del Perù all’Isola di Pasqua su una giunca di balsa, il Kon Tiki, costruita secondo le tecniche delle popolazioni rivierasche del lago Titicaca, e che nel ’69 e nel ’71 traversò l’Atlantico, dalla costa marocchina alle Piccole Antille, sempre con una imbarcazione (di papiro nel primo caso, il Ra, costruito secondo le tecniche degli africani che vivono presso il Lago Ciad; ancora di balsa nel secondo, il Ra II, con l’aiuto degli indiani Aymarà). Heyerdahl andava a caccia di misteri e a lui si deve, fra l’altro, la scoperta di alcune piramidi a terrazzo nell’arcipelago delle Maldive, in mezzo all’Oceano Indiano, che rappresentano un vero e proprio enigma archeologico, poiché nessuno ne aveva sospettato l’esistenza prima di lui, e inoltre perché presentano somiglianze con edifici situati nell’area degli antichi imperi mesopotamici e con altri esistenti nella Valle dell’Indo. Nel corso degli scavi alle Maldive egli scoprì inoltre delle stele decorate con maschere e demoni e, cosa ancor più strana, delle sculture raffiguranti dei leoni: animali che non sono mai vissuti in quel remoto arcipelago e, probabilmente, neppure a Ceylon, da cui pure sono giunti, in epoca storica, mercanti e missionari buddisti, prima dell’arrivo degli islamici. Dei leoni nelle arti figurative delle isole Maldive! Come dunque è possibile?

Ed ecco cosa scriveva Heyerdhal a questo proposito, estendendo le sue osservazioni a una sfera assai più generale (da: Thor Heyerdahl, Il mistero delle Maldive; titolo originale: The Maldive Mistery, 1986; traduzione dall’inglese di Antonio Bellomi, Milano, Mondadori, 1988, p. 247):

Se volete andare a caccia di leoni non andrete né in Sri Lanka né in Norvegia. In questi paesi infatti non ci sono leoni, eppure in Sri Lanka potete vedere zampe di leone scolpite su monumenti al cui confronto la Sfinge egiziana è una cosetta da nulla, mentre sullo stemma nazionale della Norvegia compare un leone eretto su due zampe, che stringe nelle altre due un’ascia. Come mai allora lo Sri Lanka non ha scelto un elefante, come simbolo, e la Norvegia non ha scelto un orso?

La risposta è che l’uomo dell’antichità viaggiava. Non era confinato in una sola zona come un prigioniero. La cultura nazionale che aveva creato nella propria patria non era solo quella che aveva avuto origine in loco, ma in parte era stata attinta da altre nazioni. In realtà l’uomo dell’antichità era creativo quanto quello moderno, ma era anche capace di apprendere ed era aperto all’influenza delle altre culture. Il leone del Vecchio Mondo e il suo equivalente del Nuovo Mondo, il puma, erano i primitivi simboli della divinità dei sovrani in ogni parte del mondo in cui la civiltà pre-europea era fiorita negli ultimi tre millenni a. C. Non meraviglia quindi che questa civiltà si sia diffusa fin nello Sri Lanka coi navigatori reali che fondarono il loro regno su quell’isola nell’ultimo millennio prima dell’era cristiana; né sorprende che i viaggiatori norvegesi abbiano adottato un simbolo così diffuso nei loro terreni di caccia del Mediterraneo.

L’idea del leone raggiunse gli atolli delle Maldive addirittura ancora prima del cavallo arabo…

Non tutto, nelle raffigurazioni del passato, è come sembra; e le testimonianze iconografiche della fauna antica devono essere prese con molta cautela. Che cosa penseranno gli scienziati del futuro, quando, leggendo il Libro di Giobbe s’imbatteranno nella descrizione del Behemot e del Leviatano?

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Vidar Nordli-Mathisen su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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