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29 Luglio 2015
La missione dell’uomo nella società è di perfezionarsi, non d’annullarsi
29 Luglio 2015A partire da qualche decennio, specialmente dopo il Concilio Vaticano II (dopo, e non a causa di esso), si è diffusa, sempre più, una strana idea, fra i teologi e gli stessi sacerdoti, per non parlare dei fedeli laici: che la liturgia cattolica, cioè, altro non sia che una "veste" esteriore che s’indossa per celebrare il culto, un elemento puramente strumentale, che non ha alcun valore in se stesso, né rispetto alla Tradizione, e che, pertanto, può essere modificato a piacimento, secondo le esigenze dei tempi, o quelle che vengono fatte passare per tali.
Noi non siamo affatto d’accordo. In linea con quella che è stata la posizione dei Padri della Chiesa e dei più grandi filosofi e teologi cristiani, e soprattutto in linea con la Tradizione, ci sembra di poter affermare, al contrario, che la sacra Liturgia sia tutt’altro che un elemento estrinseco e mutevole, bensì un elemento sostanziale, nel quale si esprime tutto l’ardore di fede dei credenti al momento di celebrare i Misteri cristiani e specialmente il Sacrificio della Messa, l’Eucarestia, centro e cuore pulsante, e sempre rinnovato, della Buona Novella cristiana; che la Liturgia non è, semplicemente, l’insieme dei gesti e delle formule di preghiera comunitaria dell’assemblea dei fedeli, ma la viva e vibrante espressione dei sentimenti dell’assemblea, il punto di congiunzione dello slancio dell’anima individuale verso Dio con lo slancio di tutte le altre anime, non solo quelle materialmente presenti, ma anche quelle idealmente presenti, sia dei vivi, sia dei defunti, ossia di quanti sono rinati alla Vita vera (comunione dei santi).
Bisogna andarci piano, di conseguenza, quando si pretende di "modificare", "aggiornare", "modernizzare" la Liturgia: essa non è un vestito che si può accorciare o allungare, o cui si possono aggiungere nuovi lembi di tessuto, o toglierne altri, secondo l’unico criterio di una malintesa "efficienza" e "consonanza" con i tempi moderni: per la vita dell’anima, non esistono tempi moderni e tempi antichi; esiste solo l’incontro dell’anima con Dio, che i riti comunitari hanno lo scopo di rafforzare e non di affievolire, di alimentare di nuova linfa e non di spegnere, sottoponendola a modifiche dettate unicamente da una logica razionale e da un attivismo mal consigliato, che vorrebbe trasformare l’assemblea dei fedeli in una comunità "democratica", a somiglianza di quanto avviene nel mondo.
L’assemblea dei fedeli, riunita per la celebrazione del culto e specialmente della Messa, non è, e non potrà mai essere, una copia o un surrogato delle assemblee democratiche operanti nella società civile: in quelle, le decisioni si prendono a maggioranza e lo scopo non è altro che il progresso nell’ordine della sfera sociale, politica, economica; in quella, la Tradizione è divinamente ispirata e interpretata dalla Chiesa, e lo scopo altro non è che il progresso della vita dell’anima, il suo incontro con Dio e del prossimo, sempre in Dio. Perciò la Liturgia deve essere impegnata di trascendenza e deve essere contemplativa, o accompagnare l’anima verso la contemplazione delle cose celesti, vale a dire che deve ridestarla alla sua vita vera, che è quella divina; non deve prendere a modello le assemblee laiche e i loro procedimenti, non deve essere impostata in senso immanente e orizzontale, ma in senso trascendente e verticale. Il suo obiettivo è quello di favorire l’elevazione e dunque il senso di distacco dalle cose materiali, comprese le pur giuste e legittime esigenze di giustizia, libertà, pace, eccetera: tutte quelle cose non sono lo scopo, saranno, semmai, l’effetto, della conversione dell’anima a Dio. Non si arriva a Dio attraverso le preoccupazioni di giustizia sociale; si giunge a quelle attraverso l’amore e il timor di Dio.
Non possono non lasciare profondamente perplessi, perciò, una serie di cambiamenti e di innovazioni che sono stati introdotti, recentemente, nella sacra Liturgia, talvolta seguendo indicazioni venute dall’alto, ma interpretate in maniera faziosa e ideologica, talaltra introdotte dal basso, ad opera di singoli sacerdoti e di singole comunità parrocchiali: cambiamenti e innovazioni che hanno finito per stravolgere il senso complessivo delle sacre cerimonie e pere introdotte in esse uno spirito laicista e razionalista, irrispettoso della Tradizione, negatore della trascendenza, ostile alla soprannaturalità e alla trascendenza.
Il fatto che l’assemblea dei fedeli non faccia più riferimento al Santissimo, ma alla figura fisica del sacerdote, e che quest’ultimo non celebri più la santa Messa rivolto verso il Santissimo, ma verso l’assemblea dei fedeli, fa parte di tali discutibili innovazioni. Il fatto che l’ostia consacrata venga data in mano ai fedeli che si presentano per la Comunione, come fosse un oggetto qualsiasi, oltretutto sapendo benissimo che sette sataniche si approfittano di questa ingenuità per impadronirsi di particole consacrate destinate ai riti della Messa nera, è un’altra innovazione di segno discutibile. Lo scambio del segno di pace tra i fedeli, mediante la stretta di mano, contribuisce a rivolgere e focalizzare l’attenzione dei partecipanti sul momento umano, comunitario, e a distoglierlo dal momento spirituale e trascendente, senza contare l’elemento d’ipocrisia che viene alimentato, perché si inducono i fedeli a manifestazioni esteriori di riconciliazione, sapendo bene che, in alcuni casi, quelle stesse persone non si guarderanno neppure in viso, non appena fuori della chiesa: perché lo spirito di conversione e di fraterna riconciliazione è qualcosa di interiore e non può essere comandato per decreto. La musica sacra, affidata a cori non di rado sguaiati, nei quali non vibra la minima nota di umiltà e timor di Dio, ma il desiderio di essere ammirati per la propria bravura, e accompagnati con la chitarra o altro strumento moderno, diverso dall’organo, non favorisce il raccoglimento e la preghiera, distrae, anzi, i pensieri da Dio e li indirizza verso altre direzioni, per non parlare dei testi di quei canti, troppo spesso banali e, di nuovo, tutti impregnati di spirito mondano.
L’elenco potrebbe continuare. Si potrebbe parlare, in particolar modo, del momento della sacra omelia: momento che dovrebbe essere un po’ il culmine dell’adorazione e del raccoglimento, e che dovrebbe predisporre l’anima, e renderla ardente e quasi impaziente di rivolgersi tutta a Dio, nel sacrificio dell’Eucarestia. Troppo spesso sacerdoti male ispirati, imprudenti, presuntuosi, si lasciano guidare da uno spirito di umano orgoglio e si abbandonano a discorsi poco edificanti, nei quali non solo criticano con pochissima carità la Chiesa cattolica, di cui sono ministri, ma sovente denigrano aspetti importantissimi della Liturgia e della stessa Tradizione, compreso il culto dei Santi e quello della Madonna; si fanno beffe di preghiere, pellegrinaggi, digiuni, affermando che di ben altro deve occuparsi il cristiano, e cioè della giustizia sociale e politica; si abbandonano anche a facezie, a battute, a espressioni dialettali, sollecitano l’applauso dei fedeli a scena aperta, come fossero a teatro, e gigioneggiano per piacere alla massa, per strappare un consenso tutto umano, basato sulla loro vanità personale e sull’orgoglio, da cui un sacerdote dovrebbe guardarsi per primissima cosa, di essere migliori interpreti del Vangelo di quanto lo siano, o lo siano stati, i vescovi e i Pontefici nel corso della storia due volte millenaria del Cristianesimo.
Da tali funzioni religiose la vita dell’anima non esce irrobustita, ma indebolita; non chiarificata, ma confusa; non illuminata, ma offuscata; non pacificata, ma sobillata da umane passioni, ivi compresa la personale ammirazione per questo o quel prete, «che parla così bene», quasi fisse un oratore profano, un conferenziere, un sindacalista, un politico, e non un umile servo di Dio che deve, semplicemente, sostenere e accompagnare i fedeli nel loro cammino spirituale di ascesa verso Dio e di conversione della loro anima alla vita divina. In cambio di una facile popolarità, ottenuta con mezzi bassamente demagogici, quei sacerdoti hanno compiuto un vero e proprio tradimento nei confronti della loro missione: non hanno aiutato l’anima dei fedeli a «imbarcare buone merci», ma l’hanno lasciata tornare all’ovile «vuota di latte», cioè svuotata, mondanizzata, ancora più immersa nell’atmosfera densamente materiale che già domina la nostra società e rispetto alla quale la proposta cristiana dovrebbe presentarsi come radicalmente alternativa, per non dire come francamente e risolutamente inconciliabile.
Scriveva il padre benedettino Idesbaldo Van Houtryve dell’Abbazia di Mont-César, a Lovanio, nel suo bel libro «Il Canto della Città di Dio» (traduzione dal francese per conto delle Edizioni di Vita Cristiana, Firenze, Libreria Fiorentina, 1942, pp. 14-17):
«Bisogna che la nostra anima si mantenga sempre attenta, raccolta, quasi rinchiusa in se stessa, rivolta interiormente verso Dio. "Allora i riti prescritti ritrovano, per il fedele che vi unisce il suo ardore intimo, il loro senso profondo, e compongono così un omaggio veramente eccellente. Allo stesso modo e per effetto dell’identica disposizione, le parole consacrate e tradizionali, che sembrano comuni a forza di esser familiari, si animano e spandono tutta la loro virtù, illuminano e infiammano poiché sono ricche di tutto il fervore della Chiesa passata, presente e futura, della Chiesa immortale ed ispirata, ai sentimenti della quale noi partecipiamo" (Dom A. Wilmart, "Auteurs spirituels et textes dévots du Moyen Age latin", Paris, Bloud, 1932, pp. 14-15).
Oh! Ci sia dato, malgrado le nostre debolezze, di essere veramente anime di preghiera, anime liturgiche! D’immergerci in questa atmosfera soprannaturale, in compagnia di tutti coloro che respirano quest’aria di salute e di pace, di tutti coloro che sono illuminati dal Sole di Giustizia, Sole che non tramonta mai, Sole di cui oggi noi scorgiamo l’aurora, ma che splenderà domani in tutto il fulgore del suo meriggio.
Ci sia concesso di essere ogni giorno, sotto la guida della Chiesa, rinnovati nei santi desideri, di piangere con lei la nostra miseria, di bruciare di un amore sempre più ardente per Dio e per gli uomini, di elevare dalle profondità del nostro essere la grande e universale Lode! Ecco le più alte vette che si possano raggiungere sulla terra. Dio voglia che, mediante una meditazione personale, la preghiera e la contemplazione, noi perveniamo a entrare pienamente nella vita liturgica e che possiamo ascendere a poco a poco ad una liturgia contemplativa! Possa la nostra "mens" identificarsi con la "mens" della Chiesa! […]
Non bisogna cercare nella liturgia un ordine razionale, logico, poiché essa non è soltanto un culto, ma assai più è alimento e sorgente di vita.
Ora, nulla di più spontaneo della vita: le forme, la struttura, l’ossatura non sono la vita. C’è nel mondo, e anche nel mondo religioso, gran copia di "ossa arida", di ossa disseccate, mentre la vita lo sgorgare spontaneo do una sorgente interiore:; e la qualità di tale vita dipende precisamente dalla sorgente da cui emana; più la sorgente è vicina a Dio, più la qualità della vita sarà bella. Noi diamo ai nostri atti la nostra misura, la nostra statura, la bellezza o la bruttezza della nostra vita intima. Pertanto la grandezza essenziale dei nostri atti liturgici, la loro bellezza particolare non vengono tanto dalle forme, dalla tecnica, ancor meno da un ordine sistematico che non esiste.
Sgorgata dall’anima della Sposa di Gesù che l’ha lungamente meditata, piena di spontaneità e di semplicità, amante delle ripetizioni, evocatrice e suggestiva, la liturgia agisce per se stessa sull’animo di ciascuno di noi. Essa c’ingrandisce l’anima, la dilata e l’abbellisce aggiungendoci incessantemente qualche cosa del Cristo, qualche cosa di Dio. E per questo i testi e i gesti devono essere assaporati nel nostro interno perché non perdano la loro verità.
Senza dubbio la liturgia è insegnamento, essa è piena di dottrina, ma questa dottrina si infonde nell’anima mediante la Grazia e l’amore. L’anima che, ispirata dall’amore, si assimila la virtù dei testi, riceve una luce sempre più grande. La scintilla spirituale, ciò che v’è in noi di più profondo e di più spontaneo, si alimenta a un focolare incandescente che è insieme luce e vita. […]
La liturgia è il Canto della città di Dio: canto meraviglioso, dolce e sublime. Ora, se noi dimoriamo nella città di Dio, e Dio è il Padre della città, il Padre che infonde la vita nei suoi figli, li nutre, e veglia su di essi con sollecitudine, non conviene, no, intonare un canto di timore servile, bensì un canto di timore filiale, di tenerezza rispettosa.»
Ci piacerebbe che questi concetti, sgorgati dalla pura spiritualità di un frate della prima metà del Novecento, venissero meditati a lungo, senza sufficienza, da quanti pensano che solo a partire dalla metà di quel secolo, solo dal Vaticano II, la Chiesa abbia trovato la giusta maniera di rapportarsi al mondo moderno: assumendone, però, sin troppo, le premesse filosofiche e le prospettive pratiche…
Fonte dell'immagine in evidenza: Catalogo Generale dei Beni Culturali | Giovan Andrea Commodi - Sant'Ignazio celebra la messa (1622-1638)