I segni son lì, sotto i nostri occhi: ma non li vediamo
27 Ottobre 2019Non aver riposte per niente è mettere in dubbio tutto
31 Ottobre 2019Domenica mattina, di buon’ora, in una luminosa giornata di fine ottobre che sembra ancora di fine estate, siamo capitati in un minuscolo borgo rurale del Friuli. Un paese quasi nascosto fra le curve lente del fiume e le pieghe delle colline, ai piedi delle montagne: così vicino eppure così lontano dalle grandi vie di traffico, e talmente piccolo da non aver nemmeno una bottega di alimentari, assolutamente nessun servizio, tranne l’osteria. Di fronte all’osteria, la chiesa; una chiesa anch’essa piccola e graziosa, che ci ha subito ricordato, entrando, un’altra piccola chiesa di un piccolo paese friulano, rimasto impresso nella memoria della nostra infanzia, con la sua Messa domenicale affollata di gente. Anche qui la gente si affrettava per la santa Messa: tutti ben vestiti, ma senza le pretese e la civetteria ormai frequentissimi in ambiente cittadino; ben vestiti perché la domenica qui è ancora il giorno del Signore, lo si capiva dal numero delle persone che continuavano ad arrivare, rispetto alle ridotte dimensioni dell’abitato. L’atmosfera era raccolta e serena; il modesto ambiente, a pianta basilicale e navata unica, riceveva dai finestroni la luce del mattino, che creava un gioco mistico di chiaroscuri nel presbiterio e sulle pareti; gli altari e gli arredi erano in sintonia con la sobria, elegante semplicità della facciata, e ovunque appariva la linda pulizia dei marmi, del pavimento e dei banchi. In breve, pareva che il tempo si fosse fermato e che stesse per iniziare una Messa come quelle che ricordiamo con tanta nostalgia, prima della cosiddetta riforma liturgia del 1969. Il prete, venuto da un centro più grosso, si tratteneva all’esterno a chiacchierare cordialmente con il comandante dei carabinieri, in attesa che venisse l’ora per incominciare la sacra funzione; e anche questo pareva un quadretto d’altri tempi, un riflesso di rapporti umani e sociali altrove sbiaditi o scomparsi, che ben raramente si può vedere, oggi, nelle parrocchie dei grossi centri o in quelle delle periferie industriali.
Mancavano pochi minuti e il nostro sguardo correva su quelle persone, su quei volti in attesa, su quei vestiti della festa che sostituivano gli abiti della settimana lavorativa; e insieme alla nostalgia saliva un forte desiderio di restare e di partecipare alla Messa, anche se la ragione per cui eravamo entrati era di ordine storico e artistico, quindi dettata da una motivazione intellettuale e culturale, e non da un bisogno strettamente spirituale e religioso. Pure, qualcosa ci spingeva a non trattenerci oltre presso l’acquasantiera, da dove potevamo osservare la scena senza recare disturbo ad alcuno; a non indugiare oltre all’interno del piccolo edificio sacro, ma ad uscire prima che la sacra funzione avesse inizio. In parte la ragione era di tipo pratico: il tempo a disposizione che era poco per il programma che avevamo stabilito per quella giornata. In pare, però, lo sapevamo benissimo, si trattava di una remora psicologica: il timore cioè di rompere l’incanto e di andare incontro a una fiera delusione. Troppe volte ci accade di scontrarci con la dura, amarissima realtà di un clero che sembra dimentico dei suoi doveri, e prima di tutti del dovere di assoluta fedeltà a Gesù Cristo; di udire omelie stonate, politicizzate, tenute con tono faceto e semiserio, a volte perfino farsesco, e infarcite di concetti incompatibili con la fede cattolica, dettate unicamente dalla smania di mostrarsi al passo coi tempi nuovi, di essere in linea con l’eretico ed apostata che oggi siede indegnamente sulla cattedra di San Pietro. Al punto che, per non subire ulteriori delusioni e amarezze e per non esacerbare l’animo con dei sentimenti negativi, che non si addicono alla partecipazione alla santa Messa, abbiamo rinunciato ad assistere alla funzione domenicale in chiese sconosciute, celebrate da preti dei quali non sappiamo nulla. Timore e prudenza tutt’altro che esagerati, visto quel che sta accadendo perfino nella basilica più famosa della cristianità, San Pietro in Vaticano, ove un demone indigeno chiamato Pachamama è stato introdotto, adorato, portato in processione, mentre un signore che si fa chiamare papa non ha trovato di meglio da fare che ricevere e impartire "benedizioni" da stregoni e adoratori di idoli, poi scusarsi perché qualche mano caritatevole aveva tolto questi ultimi da un’altra chiesa romana e li aveva gettati nel Tevere.
Forse però, in questo caso, non sarebbe andata così; forse quel giovane parroco non era nel numero dei modernisti che si spacciano per cattolici; forse quella comunità cattolica era, nonostante tutto, ancora sana, e non avrebbe tollerato gli abusi liturgici e gli stravolgimenti dottrinali ormai divenuti così frequenti in cento e cento parrocchie italiane, e non solo italiane, ma di tutto il mondo. Forse. Noi, però, non ci siamo sentiti di far la prova; lo faremo un’altra volta, se ce ne capiterà l’occasione. Per intanto, una cosa ci aveva profondamente colpiti: l’aria fiduciosa di quei parrocchiani in attesa che il loro pastore iniziasse il sacrificio della Messa. Quei volti attenti, in attesa, pieni di fede in ciò che stava per iniziare, ci hanno mostrato con drammatica urgenza il tremendo paradosso nel quale si trovano i cattolici, oggi: ridotti a sperare di non essere traditi; di non essere trascinati nell’apostasia da pastori infedeli; di non essere ingannati nella loro buona fede, nella loro certezza che dal sacerdote non vi è motivo di guardarsi, perché i pericoli per la fede vengono dall’esterno e non dall’interno della Chiesa. Una fiducia che oggi, alla luce dei fatti, appare alquanto ingenua e purtroppo del tutto infondata; al punto che il cattolico, oggi, si deve premunire contro gli inganni e fare affidamento, al cento per cento, unicamente su Gesù Cristo, senza poter mettere la mano sul fuoco, come si dice, su nessun altro: né sul parroco, né sul vescovo, e neppure sui cardinali e sul papa. Una situazione inedita, impensabile al tempo dei nostri nonni; ma una situazione reale, tragicamente reale, con la quale è impossibile non fare i conti. I preti di una o due generazione fa potevano non essere un gran che; potevano anche sgarrare sul piano umano; mai, però, avevano insegnato dottrine erronee, mai avevano diffuso l’errore e la confusione tra i fedeli. Questi ultimi, entrando in chiesa o nel confessionale, erano certi di udire solo cose cattoliche, cose vere, cose conformi alla dottrina di sempre.
Oggi non più. Oggi i fedeli devono vigilare e stare attenti, perché sempre più spesso i preti cadono nell’errore e tendono a trascinare l’intera comunità parrocchiale lontano da Gesù Cristo. Che altro è infatti, se non eresia e idolatria, introdurre il simulacro di un demone pagano, come Pachamama, nella chiesa di Santa Maria in Transpontina, e porla sull’altare, il tutto sotto la direzione di una giovane "sacerdotessa", o forse una strega, disinvoltamente abbigliata, cioè in maglietta e leggins, e poi gettarsi a terra e adorare l’idolo, il tutto con la connivenza e anzi il cattivo esempio di sacerdoti, frati e suore? E addirittura del papa, o di colui che viene chiamato con quel nome? Eppure, incredibile ma vero, un settimanale che si chiama Famiglia Cristiana, e che formalmente è lo stesso che ha rafforzato e confortato nella fede i nostri nonni, ora asserisce che non c’è nulla di pagano o di idolatrico in simili riti; e che ad adombrarsene sono solo i "fanatici integralisti" (numero del 22 ottobre 2019). Più precisamente, il teologo Pino Lorizio spiega ai lettori che è cosa normalissima introdurre in chiesa gli idoli e venerarli, alla faccia del Primo Comandamento, Non avrai altro Dio fuori di me, perché, parole sue, la prassi cristiana fin dalla origini è stata non di sradicare le culture, ma innestare su di esse la buona notizia del Vangelo. Quindi, nel caso specifico, il culto di Pachamama si può includere nel cristianesimo, magari presentandolo come una versione indigena del culto della Vergine Maria? Certamente sì, perché come la fede cristiana nella madre di Dio (Theotokos) ha trovato spunto nel culto di Iside, così, questo è il suggerimento implicito, non si vede perché il culto di Pachamama non potrebbe innestarsi su quello della Vergine Maria (o viceversa: siamo in pieno sincretismo). E si faccia attenzione che questo teologo "cattolico" non dice che il culto di Iside ha fornito lo spunto per le forme iconografiche del culto di Maria, ma che ha dato spunto alla fede cristiana nella Madre di Dio. Insomma la fede cristiana in Maria è figlia della credenza pagana nella Magna Mater. Ma di che stupirsi? Questo è modernismo allo stato puro: e non era il modernismo ad affermare che le scienze bibliche e la storia del cristianesimo vanno sottoposte al metodo critico, come qualsiasi altro fatto umano? E questi sono i risultati: Pachamama introdotta in chiesa, portata a spalla dai vescovi e benedetta dal successore di san Pietro (quello che non benedice i fedeli per non recare offesa a chi non è cattolico!); e i cattolici che s’indignano per cose simili, e gettano nel Tevere le statuette idolatriche, sono qualificati come fanatici integralisti che non capiscono nulla del Vangelo; e un sedicente papa che sottoscrive col grande imam un documento nel quale si afferma che Iddio, nella sua infinita saggezza, ha voluto l’esistenza delle diverse religioni. Tutte buone e tutte vere, evidentemente. E ciò sarebbe ancora cattolicesimo?
Ecco: queste cose, e altre del medesimo tenore, ci venivano in mente, osservando quelle persone, quei fedeli, che attendevano fiduciosi l’inizio della Messa per santificare la domenica e per trovare nelle parole e nei gesti del sacerdote lo stimolo a perseverare nella fede e a difendersi dai tanti, continui errori e pessimi esempi della società moderna, materialista, consumista e relativista. E ci facevano tenerezza e compassione quelle anime, così come provavamo tenerezza e compassione al pensiero dei milioni e milioni di cattolici che ovunque, nel mondo, si recano con fiducia in chiesa, attendono l’inizio della Messa e si aspettano, dalla partecipazione al Sacrificio eucaristico, la forza spirituale e morale per andare avanti nella vita, mantenendo integra la propria fede e respingendo le tentazioni e le deviazioni, anche sottili, che da ogni parte si levano, ora minacciose, ora suadenti, suscitate dall’antico avversario, il diavolo, al fine d’intralciare e ritardare l’opera redentrice del Signore Gesù Cristo. Nell’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci l’Evangelista riferisce che Gesù, sbarcato dal lago di Tiberiade vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore (Marco 6, 34). Eppure quegli uomini avevano l’immensa fortuna di trovarsi in presenza di Gesù il quale, vedendoli decise d’insegnare loro molte cose, anche se era salpato proprio per avere un po’ di respiro e godere della solitudine. Invece le folle dei fedeli odierni sono in balia di pastori che non sono tali, ma lupi rapaci, oppure mercenari, che non hanno a cuore il bene delle pecore e non vogliono esporsi per amor loro.
In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei. (…) Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore (Giovanni 1, 5; 10, 11-15)
Viviamo in tempi tremendi: i tempi dei lupi e dei mercenari che si sostituiscono ai veri pastori. Ci eravamo adagiati, da troppo tempo, nella tranquillità e nel conformismo; avevamo pensato che basti lasciarsi guidare dai pastori, e la nostra fede sarebbe stata al sicuro. Eppure Gesù ci aveva messi un guardia; ci aveva avvertito che esistono i falsi pastori e che la sola certezza, per la difesa della fede, è seguire lui, e nessun altro. Ora i cattolici smaniosi di novità seguono Bergoglio e dicono con petulanza, quasi con aria di sfida: Noi seguiamo papa Francesco!, come se bastasse seguire un altro essere umano per aver la certezza di seguire la diritta via. Si sono scordati che il Vangelo non è un programma politico e tanto meno un programma umano; e che chi confida negli uomini va in perdizione, perché è solamente Iddio che salva (Geremia, 17, 5-11):
Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e dal Signore si allontana il suo cuore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando viene il bene non lo vede; dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti. Più fallace di ogni altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere? Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per rendere a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni.
Ai falsi pastori Cristo renderà secondo la loro condotta. Anche a noi farà così. Né ci gioverà il fatto d’aver seguito, ciecamente e stoltamente, i falsi pastori: ci chiederà conto di non aver seguito Lui…
Fonte dell'immagine in evidenza: Catalogo Generale dei Beni Culturali | Giovan Andrea Commodi - Sant'Ignazio celebra la messa (1622-1638)