
Come non aver fede nel valore delle parole, se tutto nasce dalla Parola divina?
28 Luglio 2015
Dietro il “buonismo” idiota c’è il disegno d’un totalitarismo destabilizzatore
28 Luglio 2015Theodor Herzl voleva che Israele, con la pulizia etnica, si estendesse dal Nilo all’Eufrate

Theodor Herzl, il "padre" del sionismo e il primo ebreo, nella storia moderna, a formulare l’utopia — ché, allora, pareva tale — di una restaurazione dello Stato d’Israele nell’antica Palestina, aveva, a proposito delle frontiere del nuovo Stato, le idee molto chiare: esse avrebbero dovuto spingersi molto, ma molto al di là di quelle del regno di Davide e Salomone: avrebbero dovuto giungere fino al Nilo da una parte e all’Eufrate, dall’altra.
Evidentemente, Herzl aveva stampata nella mente la promessa fatta da Yahweh ad Abramo, così come essa viene riportata nel libro della Genesi, capitolo 15, versetto 18: «In quel giorno l’Eterno fece un patto con Abramo, dicendo: "Io do alla tua progenie questo Paese, dal fiume d’Egitto al gran fiume, il fiume Eufrate»: una promessa che il pubblicista ebreo ungherese, a quanto pare, era decisamente propenso ad interpretare in senso tutt’altro che figurato.
Quanto ai mezzi idonei a raggiungere tale scopo, Herzl era tremendamente chiaro e lineare: pensava che gli Ebrei avrebbero dovuto offrire al Sultano turco l’acquisto dei territori in questione, in cambio dell’offerta di pagare tutti i debiti contratti dalle finanze ottomane nei confronti delle potenze straniere; in caso di rifiuto, avrebbero dovuto acquistare la terra da privati, un poco alla volta, per poi procedere, sempre con molta prudenza e senza troppi clamori, all’espulsione dei primitivi abitanti. Solo gli arabi possidenti avrebbero potuto restare, se lo avessero desiderato: le loro ricchezze erano viste di buon occhio, per incrementare la vita economica dello Stato sionista; ma i poveri avrebbero dovuto andarsene: non avrebbe dovuto essere loro consentito di rimanere in Palestina, in alcun modo e sotto alcuna forma, fosse pure nel ruolo di semplici manovali e salariati dei proprietari ebrei.
Avrebbero dovuto essere espulsi, però, solo al termine dei lavori di bonifica e di irrigazione necessari per rendere la Palestina redditizia dal punto di vista agricolo; quindi, nella fase iniziale, sarebbero potuti rimanere, costituendo, anzi, la mano d’opera indispensabile per le "necessità coloniali" degli Ebrei (Herzl si esprime proprio così, beninteso nei suoi diarie non nelle sue opere edite, destinate all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale). E, dal momento che paludi, in Palestina, non ce n’erano, è evidente che Herzl pensa a delle opere di prosciugamento da effettuarsi nella valle dell’Eufrate: ciò significa che la "pulizia etnica" da realizzarsi alla fine avrebbe riguardato decine di milioni di arabi e non solo i 600.000 che abitavano in Palestina. Comunque, Herzl è assolutamente esplicito su questo punto: egli parla "degli Stati", al plurale, che avrebbero dovuto essere affidati all’organizzazione sionista per costituire il territorio del nuovo Stato d’Israele.
Pertanto non sono affatto oscure le ragioni per le quali Abdul Hamid, il Sultano di Costantinopoli, rifiutò la proposta di cedere gran parte del Medio Oriente, e perfino dell’Egitto, in cambio del pagamento dei debiti della Turchia, da parte della finanza ebraica. Non erano affatto motivazioni umanitarie, e nemmeno ideologiche, quelle che lo trattennero: Abdul Hamid aveva ordinato, o consentito, la prova generale del genocidio armeno, nel 1895-96, nel quale persero la vita, fra indicibili atrocità e mattanze, da 80.000 a 300.000 persone; nella sola cattedrale di Urfa, 3.000 Armeni vennero bruciati vivi: uomini, donne e bambini. Il sultano ottomano, dunque, non era tipo da scandalizzarsi per la sorte di quei 600.000 arabi della Palestina, che sarebbero stati "ceduti" agli Ebrei; quel che temeva, era di trovarsi infeudato finanziariamente alla centrale sionista.
D’altra parte, non si può negare che Theodor Herzl fosse un uomo che sapeva pensare in grande; né che gli facessero difetto i pregi della lucidità e della coerenza. Senza andare troppo per il sottile dal punto di vista etico e, soprattutto, inserendosi con perfetta disinvoltura nel filone, allora in gran voga, della cultura e della politica europea che si sviluppavano all’insegna dell’imperialismo e del colonialismo. Non mancava nemmeno, nel suo pensiero, l’idea che al popolo ebraico spettasse il compito di rappresentare la "sentinella avanzata" della civiltà europea contro la barbarie, evidentemente costituita dal mondo arabo-islamico; né quella che l’Europa, a sua volta, avrebbe dovuto essere grata e riconoscente al sionismo, per il fatto di sobbarcarsi un tale gravoso compito, ideologicamente imparentato con "il fardello dell’uomo bianco", caro al poeta inglese Rudyard Kipling, insigne rappresentante degli ideali imperialisti.
Ha scritto il saggista Filippo Gaja nel suo libro «Le frontiere maledette del Medio Oriente» (Milano, Maquis Editore, 1974, p.p. 105-7):
«Teodoro Herzl, intellettuale ungherese, fondatore del movimento politico sionista, pubblicò nel 1896 a Vienna "Lo Stato ebraico", testo fondamentale del sionismo.
Sul ruolo futuro dello Stato ebraico, Herzl fu di una brutale chiarezza: "Se Sua Maestà il Sultano ci desse la Palestina, noi (i sionisti, n. d. a.) potremmo farci carico di regolare completamente le finanze della Turchia (che era indebitata fino al collo, n. d. a.). Per l’Europa, costituiremmo un baluardo contro l’Asia, saremmo la sentinella avanzata della civiltà contro la barbarie. Come Stato neutrale, manterremmo rapporti costanti con tutta l’Europa, che dovrebbe garantire la nostra esistenza". Sarebbe difficile trovare una definizione più chiara della collocazione del sionismo nel quadro delle politiche imperialiste europee. Malgrado la proposta di Herzl fosse allettante per l’indebitatissimo Sultano Abdul Hamid II, questi respinse la richiesta dicendo: "Non posso accettare una simile vivisezione". Nell’agosto 1897, a Basilea, in Svizzera, si tenne il primo Congresso mondiale sionista, che diede vita alla World Zionist Organization", organizzazione sionista mondiale, la cui missione era la "creazione in Palestina di una sede nazionale per il popolo ebraico garantita dal diritto pubblico", cioè uno Stato. I "diari" di Herzl sono ancora più significativi della sua opera politica, "Lo Stato ebraico", per comprendere lo spirito del sionismo. Il programma sionista di colonizzazione della Palestina del 1896, condensato nella frase di Herzl "una terra senza popolo per un popolo senza terra", adottava sostanzialmente una visione colonialista della formazione dello Stato ebraico, secondo cui i popoli situati al di fuori delle frontiere della "civiltà" non avevano diritti. Il fondatore del sionismo suggeriva infatti: "Per prima cosa i sionisti dovranno procurarsi terre arabe in quantità sufficiente", ricalcando con ciò perfettamente la logica della "terra nullius" e delle "tribù barbare". Herzl teneva talmente poco conto della popolazione araba della Palestina che annotava nei suoi diari: "Gli arabi potrebbero essere impiegati nel prosciugamento delle paludi" e "La popolazione araba sarebbe giusto adatta per servire ai bisogni coloniali degli ebrei". Significativo anche il seguente brano: "(…) Quando occuperemo le terre (…) dovremo espropriare gentilmente la proprietà privata negli Stati che ci saranno affidati. Dovremo sforzarci di espellere le popolazioni povere, dall’altro lato della frontiera, cercando per loro un lavoro nei paesi di transito e negando loro qualsiasi lavoro nel nostro paese. Il processo di espropriazione e di trasferimento dei poveri deve essere realizzato con discrezione e circospezione. […] Nei suoi diari ("The Complete Diaries of Theodor Herl", Herzl Foundation, New York, 1960) il fondatore del sionismo definiva il territorio che doveva essere coperto dallo Stato ebraico nel seguente modo: "From the Brook of Egypt" to the Euphrates", dal fiume dell’Egitto all’Eufrate (vol. II, p. 711). Quarantatre anni più tardi, il 9 luglio 1947, le idee sioniste sull’estensione augurabile sull’estensione dello Stato israeliano di prossima formazione, vennero enunciate nel seguente modo dal rabbino Fischmann, membro dell’Agenzia Ebraica, di fronte alla Commissione Speciale di Inchiesta sulla Palestina: "La Terra Promessa si estende dal fiume Nilo all’Eufrate".»
Certo, Theodor Herzl non poteva prevedere la piega che avrebbero preso gli avvenimenti successivi: la Prima guerra mondiale, la Dichiarazione Balfour, il mandato britannico sulla Palestina, il nazismo, le leggi di Norimberga, il genocidio degli Ebrei d’Europa. Non poteva immaginare che lo Stato d’Israele sarebbe nato in circostanze più complesse, ma, da un certo punto di vista, anche più semplici, di quelle che lui potesse imnmaginare, allorché delineava la sua utopia geopolitica, a Vienna, nel 1896, pubblicando il libro «Der Judenstaat», per divulgarla, l’anno dopo, da un palcoscenico internazionale, al primo Congresso sionista mondiale di Basilea.
In particolare, è evidente che Herzl ragionava ancora in termini puramente territoriali: immaginava un grande spazio geografico quale patria nuova — e, al tempo stesso, antica — degli Ebrei, e più precisamente vedeva in Gerusalemme, e nella ricostruzione del Tempio, il simbolo della loro risurrezione. Egli era stato a Parigi, nel 1895, come giornalista, incaricato di seguire gli sviluppi del caso Dreyfus: quella vicenda, unita alle notizie sui "pogrom" scoppiati in varie zone della Russia, lo avevano persuaso che solo creando un loro Stato, gli Ebrei avrebbero potuto vivere in pace e in sicurezza. Quanto al luogo, non tutti i sionisti consideravano così importante il "ritorno" in Palestina: ve n’erano diversi che pensavano ad altre regioni, aventi la caratteristica di essere poco popolate e di prestarsi, pertanto, ad una massiccia immigrazione ebraica, fino a diventare la culla di uno Stato ebraico: dal Sud America (Ecuador, Argentina, Suriname), all’Africa (Uganda, Congo, Mozambico), le possibilità erano molte ed estremamente varie. Ma solo la Palestina rappresentava, secondo Herzl, la soluzione giusta: perché lì erano custodite le memorie collettive del popolo ebreo, anteriormente alla diaspora.
Il sionismo nasceva, così, all’ombra di un curioso paradosso. Da un lato, allineandosi ai nazionalismi europei, adottava un punto di vista politico "moderno" e, bisogna aggiungere, alquanto spregiudicato, poiché cercava di inserire gli Ebrei nel gioco delle ideologie e dei sistemi politici allora dominanti, ribaltando la loro condizione di minoranza insicura, e talvolta perseguitata, in quella di una realtà nazionale emergente e "vincente", destinata ad imporsi sopra una popolazione più debole, quella degli arabi palestinesi, e facendo propria, così, la mentalità colonialista europea, compresa la convinzione di rappresentare la civiltà contro la barbarie, nonché presentando quella realtà nazionale come la migliore alleata, in senso geopolitico, delle potenze europee nei confronti del mondo islamico. Dall’altro lato, richiamandosi alla tradizione di Gerusalemme e del Tempio, ossia alla religione dei padri, Herzl dirigeva questa mentalità e questi obiettivi, tipicamente moderni, verso una meta, per così dire, antica, antichissima: una meta religiosa e spirituale, che avrebbe posto l’accento sull’aspetto confessionale della emigrazione ebraica in Palestina.
Insomma: Lo Stato d’Israele doveva nascere come Stato laico e moderno, o come Stato antico e confessionale? Gli Ebrei ortodossi, a questo riguardo, non avevano dubbi: la sola idea di restaurare il regno d’Israele era tragicamente in contrasto con la natura stessa del giudaismo: quell’Israele che essi aspettavano, non era dalla dimensione laica e secolare che sarebbe scaturito; voler perseguire un simile obiettivo era, ai loro occhi, un puro e semplice sacrilegio. Anche molti sionisti di vedute "moderne" erano perplessi: perché proprio la Palestina, dove il peso del passato sarebbe stato determinante, e avrebbe impedito uno sviluppo sociale e statale in senso progressista? Parecchi di essi erano addirittura di idee socialiste; e come conciliare il socialismo con la dimensione religiosa, con il rigidissimo monoteismo dei padri, che vedeva un idolo in qualunque opera umana che pretendesse di redimere il popolo ebreo, invece di affidarsi interamente a Yahweh?
Lo Stato d’Israele è nato in mezzo a queste contraddizioni e tuttora ne reca le tracce. È nato anche ad opera di bande e azioni di tipo prettamente terroristico, delle quali oggi non si parla più, perché si vuol vedere solo il terrorismo di matrice palestinese ed islamica. Così come reca le tracce del progetto originario di Herzl: quel formidabile appetito territoriale, tipico delle dottrine nazionaliste e dello "spazio vitale", per cui avrebbe dovuto abbracciare tutta o quasi tutta la "mezzaluna fertile", dal Nilo all’Eufrate. Quel progetto è stato abbandonato quasi subito, non perché gli appetiti dei sionisti più accesi si siano moderati; ma perché essi hanno "scoperto" che esiste un altro modo per creare una rete protettiva attorno ad Israele, che non sia quella, superata e inefficace, di tipo territoriale. Non c’è bisogno, infatti, di controllare un vasto territorio, se si è in grado di esercitare una pressione decisiva a livello dei poteri decisionali mondiali, nonché sui meccanismi della pubblica opinione internazionale, magari esercitando una sorta di costante ricatto morale…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash