Il turismo, ovvero l’arte della delusione: parola di R. L. Stevenson
28 Luglio 2015
Da quando i Marziani, buoni e cattivi, non turbano più i nostri sogni…
28 Luglio 2015
Il turismo, ovvero l’arte della delusione: parola di R. L. Stevenson
28 Luglio 2015
Da quando i Marziani, buoni e cattivi, non turbano più i nostri sogni…
28 Luglio 2015
Mostra tutto

Se Gesù Cristo va alla guerra, mitra in spalla

Si continua a parlare di lui, specialmente in America Latina, a quasi mezzo secolo dalla sua drammatica scelta e dalla sua ancor più drammatica morte: il suo nome è ancora una bandiera per molti, la sua memoria è venerata come quella di un santo e di un martire; ma lo scandalo del suo esempio e la ferita che ha aperto nella coscienza morale delle ultime generazioni, e specialmente di quelle che si sentono e si dicono cristiane, permangono, immedicabili, come un ineludibile segno di contraddizione.

Era il 15 febbraio 1966 quando padre Camilo Torres Restrepo cadeva, armi in pugno, nel corso di una operazione condotta dai guerriglieri fra le montagne della Colombia, nel dipartimento di Santander: da poche settimane egli aveva deciso di unirsi ai guerriglieri comunisti, coerentemente, lui, alfiere di un dialogo e di un patto operativo fra cattolici e marxisti rivoluzionari, in nome della lotta per l’emancipazione del popolo sfruttato, per la rivendicazione della sua libertà e dei suoi diritti, della sua stessa dignità umana.

Aveva appena compiuto trentasette anni, essendo nato a Bogotà, da una ricca famiglia della borghesia librale, il 3 febbraio del 1929; fidanzato, aveva rinunciato al matrimonio e deciso di farsi prete, avvicinandosi, nello stesso tempo, alla sociologia, in chiave fortemente militante, per influsso di due missionari francesi dell’ordine domenicano. Era un giovane irrequieto; era stato espulso dal liceo per le sue idee politiche; si può dire che sia stata la cultura europea, francese in particolare, ad avvicinarlo all’idea della rivoluzione: e a fare da tramite furono proprio due membri di un ordine religioso. Sono circostanze che hanno un loro significato, e che dovrebbero far riflettere. Vi è una certa cultura europea, e specialmente francese, che non ha mai smesso di accarezzare i suoi sogni rivoluzionari di matrice giacobina, marxista, leninista, trotzkista, sessantottina; e che non ha mai smesso di esportare tale idea in altre parti del mondo, dalla Spagna repubblicana del 1936, alla Cuba di Fidel Castro nel 1959, alla Cambogia di Pol Pot nel 1975. Né i membri della Chiesa cattolica sono rimasti immuni da essa.

Aveva avuto un conflitto non lieve con i suoi superiori e in particolare con il cardinale Luis Concha Cordoba: ispirato alla "teologia della liberazione", padre Torres aveva concluso che è un dovere, per i cristiani, quello di partecipare attivamente alla lotta armata, per non divenire complici dello sfruttamento e dell’ingiustizia. Una posizione estrema, che acquista maggiore rilievo nel contesto di quegli anni e di quella realtà socio-politica: con i membri della Chiesa cattolica, sacerdoti e laici, spesso in prima fila nella difesa dei deboli e degli oppressi, non di rado fino al sacrificio della vita: si pensi solo al caso dell’arcivescovo Oscar Romero, assassinato dagli squadroni della morte per la sua coraggiosa e strenua battaglia in difesa degli indios del Salvador.

D’altra parte, proprio la figura di Romero — ma si potrebbero citare centinaia, probabilmente migliaia di casi analoghi, di cui furono protagonisti e vittime personaggi poco o nulla conosciuti, almeno fuori dell’America latina — permette di misurare tutta la gravità della scelta fatta da Camilo Torres, sociologo e prete che aveva chiesto di essere ridotto allo stato laicale, proprio per poter imbracciare il mitra; e che rimase ucciso nel corso di un’azione a fuoco cui aveva partecipato con l’obiettivo di uccidere, in una imboscata finita male e capovoltasi contro gli aggressori, alcuni soldati dell’esercito regolare colombiano.

La questione morale che simili azioni destano nella nostra coscienza è sempre la stessa: quella che, nel film «Mission» (girato nel 1986 da Roland Joffé), ispirato alla vicenda storica delle "reducciones" del Paraguay, Robert De Niro, ex cacciatore di schiavi e gesuita convertito di fresco, pone al suo superiore, Jeremy Irons, quando le truppe portoghesi stanno per attaccare il villaggio di indios nel quale essi avevano costruito, con amore e infinita passione, una fiorente missione, come riparo dall’avidità dei cacciatori di schiavi: «Benedicimi, padre, prima della battaglia». E la risposta era stata: «Non posso. Gesù Cristo non è venuto a portare la giustizia in terra con la spada. Se Dio, che legge nei cuori, approva la tua scelta di combattere e versare del sangue, la mia benedizione è inutile; se non l’approva, essa non ti servirebbe a nulla». Moriranno entrambi, uccisi dalle pallottole dei soldati: ma in modo profondamente diverso, l’uno mentre si batte come un leone, l’altro mentre celebra la messa e porta il suo gregge in processione dietro il Santissimo sacramento, restando accanto ai "suoi" indios fino all’ultimo istante di vita.

Certo, si dirà che è facile parlare a distanza, stando comodamente seduti in un salotto; che, prima di giudicare una scelta come quella di Camilo Torres, bisognerebbe aver visto le condizioni sociali in cui vivono i popoli dell’America Latina, specialmente in certi stati, in certe regioni. Bene, noi ci siamo stati: abbiamo parlato con i poveri, visto come lavorano i preti cattolici, percorso le "favelas". E tuttavia non è vero che bisogna aver visto con i propri occhi, per poter giudicare: se così fosse, per giudicare che l’aver sganciato le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki fu un orrendo crimine, bisognerebbe essersi trovati lì, in quell’agosto del 1945; cosa che, invece, secondo noi, non è indispensabile. Sì, la conoscenza diretta aiuta; ma non è requisito imprescindibile per formulare un giudizio. Tutti possiedono una coscienza.

E allora, per giudicare la scelta di Camilo Torres, crediamo che la cosa migliore sia quella di lasciar parlare lui: dall’ascolto delle sue parole verrà eliminata ogni possibilità di equivoco. Ci limitiamo a trascegliere, per ragioni di brevità, solo alcune frasi, che però, a nostro parere, sono altamente significative (da: Juan Gomis e altri, «Camilo Torres oltre il mito», Roma, Edizioni Ora Sesta, 1969, pp. 35-36; 50):

«Vedere un sacerdote coinvolto in lotte politiche e che abbandona l’esercizio esterno del suo sacerdozio è qualcosa che ripugna alla nostra mentalità tradizionale. Tuttavia siamo convinti che possano esistere delle ragioni di amore al prossimo e di testimonianza che sono sacerdotali e che spingono a questa compromissione. Per seguire la propria coscienza, e quindi per stare con Dio.. […] Da quando ho iniziato l’esercizio del mio ministero sacerdotale ho cercato in tutti i modi di far sì che i laici, cattolici o non cattolici, si dedicassero alla lotta rivoluzionaria. In seguito alla mancata risposta di massa da parte del popolo all’azione dei laici, ho deciso di dedicar mici io stesso. […] Quando mi si presentò il dilemma se continuare nella disciplina clericale o se continuare nella lotta rivoluzionaria io non potevo avere dubbi, perché qualsiasi altra scelta avrebbe significato un tradimento alla rivoluzione, un tradimento verso di voi. Me o dissero chiaramente gli operai di Medellin: lei deve andare avanti. E allora non o avuto neppure un momento di incertezza nel sacrificare qualcosa che mi era molto caro, molto profondo, come l’esercizio esterno del mio sacerdozio. […]

"Colui che ama, adempie la Legge", dice San Paolo: "Ama e fa quello che vuoi", dice Sant’Agostino: "Il segno più sicuro della Predestinazione è l’amore verso il prossimo". "San Giovanni dice: Se qualcuno dice che ama Dio, che non vede, e non ama il suo prossimo, che invece vede, è un bugiardo". Questo amore verso il prossimo tuttavia deve essere concreto. Non saremo giudicati solo per le nostre buone intenzioni, ma principalmente per le nostre azioni a favore di Cristo rappresentato in ciascuno dei nostri simili: "Avevo fame e non mi sfamasti, avevo sete e non mi desti da bere". Nella situazione attuale dell’America Latina, constatiamo che le maggioranze non possono avere da mangiare, da vestire, da alloggiare… La minoranza al potere non prenderà mai decisioni contrarie ai suoi interessi… Si deve dunque favorire la presa del potere da parte della maggioranza perché si realizzino profonde riforme economiche, sociali, e politiche a suo favore. Ciò si chiama rivoluzione, e se ciò è necessario per realizzare l’amore per il prossimo, allora per un cristiano è necessario essere rivoluzionario. Com’è difficile che capiscano ciò coloro che si professano cattolici! I cristiani, i cattolici sembrano stoici spettatori di del crollo di un mondo che pare loro estraneo. Non si compromettono nella lotta. Credono che nelle parole "il mio regno non è di questo mondo", "mondo" abbia il significato di "vita presente" e non, com’è in realtà, di "vita di peccato".»

Potremmo continuare a lungo, ma crediamo che questo sia sufficiente: non per presumere d’aver chiarito sino in fondo il mistero di un’anima, che certamente soffrì e dubitò molto più di quanto non appaia da queste frasi, prima di fare la sua irrevocabile scelta, ma per valutare la posizione generale sostenuta da padre Torres: che, cioè, davanti ad uno stato di ingiustizia sociale sistematica, il cristiano non possa non farsi attivo combattente della rivoluzione, pena il decadere automatico dalla propria qualità di cristiano.

È una posizione molto simile, se non addirittura identica, a quella sostenuta da alcuni membri della cosiddetta Teologia della liberazione e anche dagli aderenti ad alcuni gruppi di ispirazione politica cristiana e comunista nello stesso tempo, ad esempio quello dei Cristiani per il socialismo di padre Giulio Girardi, nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta del ‘900. Ne abbiamo già parlato in altri scritti, per cui non insistiamo ulteriormente su questo punto (cfr., in particolare, il nostro articolo «Nella teologia della liberazione il cristianesimo evapora e resta solo il marxismo», pubblicato sul sito de «Il Corriere delle Regioni» in data 10/05/2015).

Codesti cristiani sostengono, senza batter ciglio, che il cristianesimo è amore, e dunque non può essere che amore preferenziale per i più deboli, cioè per le popolazioni sfruttate dal punto di vista economico, politico e sociale; ma, siccome il cristiano deve amare tutti, anche gli sfruttatori devono essere amati, però in maniera tale da correggerli dal loro peccato di avidità: vale a dire combattendoli con le armi in mano. Sono entrambe forme di amore: l’una per difendere i diritti e la dignità dei poveri, l’altra per ammazzare i ricchi ed i loro manutengoli. È una logica ineccepibile, si vede che è stata formulata da cervelli che hanno frequentato le migliori università e le più prestigiose facoltà di teologia; anche se dubitiamo che si possa ancora definire autenticamente cristiana. Lo si potrebbe, se il cristianesimo fosse solo una ideologia sociale e politica fra le tante; ma non lo è: è una fede religiosa, che non si propone di cambiare direttamente l’assetto sociale e politico dell’umanità, ma, molto più modestamente (e più concretamente), di convertire il cuore di ciascun singolo essere umano.

Eppure, l’inquinamento di radicalismo politico, con venature più o meno esplicite di socialismo marxista, entro le file del mondo cattolico, risale molto addietro nel tempo: se così non fosse, non si riuscirebbe a capire come mai alcuni capi storici delle Brigate Rosse venissero proprio dal cattolicesimo sociale (e, ancora una volta, dagli studi di sociologia: vedi il ruolo dell’Università di Trento in quella fase storica). A livello di filosofia della politica, forse non sono in molti a sapere, oggi, specialmente fra i giovani, che conoscono così poco il nostro recente passato, che, ancora nel 1945, la Democrazia cristiana non aveva del tutto egemonizzato il serbatoio potenziale dei cattolici orientati verso una attiva partecipazione politica e sociale: esisteva, nell’ambito della Resistenza, una schiera di "professori" che si dicevano contemporaneamente cristiani e comunisti, e che diedero vita a due brevi e alquanto velleitari, ma a loro modo significativi, movimenti politici: il Movimento dei cattolici Comunisti, fondato nel 1943, e, subito dopo, quello della Sinistra Cristiana, che visse dal 1944 al 1945. Ne furono animatori Franco Rodano, Adriano Ossicini e alcuni altri, fra i quali il futuro storico Gabriele De Rosa (il quale, per inciso, aveva esordito, nel 1939, con un libello antisemita, «La rivincita di Ario», edito dal G.U.F. di Alessandria: si vede che le vie della Provvidenza sono davvero infinite). Parecchi venivano dall’Azione Cattolica e poi dalla F.U.C.I., allora presieduta da Aldo Moro.

Senza voler semplificare troppo le cose, e dunque senza voler porre una equazione diretta ed univoca fra il cristianesimo sociale, orientato politicamente a sinistra, e la componente di estrazione cattolica in seno ai movimenti di guerriglia e di "liberazione", che sono o che sono stati attivi in Europa e nei Pesi del Terzo Mondo, crediamo che un ceto collegamento, comunque, vi sia, anche se non meccanico, né automatico. Sarebbe addirittura ingenuo negare che certe dottrine ideologiche esercitano un grande fascino su alcune persone, e, non di rado, proprio fra quelle più generose, ma anche impazienti di rivolgimenti sociali e poco portate ad un approfondimento concettuale umile, costante, personale. Sta di fatto che proprio per tale miscuglio d’impazienza rivoluzionaria e semplificazione ideologica, le buone intenzioni scivolano, spesso, sul piano inclinato della violenza.

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.