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28 Luglio 2015
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28 Luglio 2015Riesce quasi incredibile pensare che c’è stato un momento, e neanche poi così lontano, nel quale certe teste fine della teologia "cattolica" hanno scoperto, per così dire, che il cristianesimo, per duemila anni, aveva sbagliato praticamente tutto, ma che ora, grazie a loro, sarebbe tornato a scorrere per il verso giusto, cioè verso i poveri: e che insomma, grazie ad abbondanti iniezioni di marxismo, e perfino di lotta di classe, l’amore cristiano avrebbe acquistato il suo vero significato, e che il Vangelo, disatteso dalla Chiesa dei ricchi, avrebbe ritrovato la sua vera funzione ed instaurato, una buona volta, il Regno di Dio sulla terra.
Si è visto praticamente di tutto, a partire dalla fine degli anni Sessanta e, poi, dai Settanta del ‘900, sempre sull’onda lunga della teologia post-conciliare (si badi all’espressione: "post-conciliare": perché il Concilio Vaticano II non ha proclamato affatto quelle "verità" rivoluzionarie che stanno tanto a cuore ai novatori, per cui essi non fanno riferimento al Concilio in se stesso, ma a quello che avrebbe dovuto venire "dopo", ossia alla sua "attuazione", al suo "inveramento", del cui disegno essi soli erano i depositari autorizzati): perfino un movimento denominato "Cristiani per il socialismo", che, nato nel Cile di Allende, si era diffuso in Italia eaveva trovato festosa accoglienza nel mondo delle A.C.L.I., raccogliendosi sotto la guida di un sacerdote salesiano, Giulio Girardi, che ha reso familiare ai cattolici italiani l’idea d’una convergenza necessaria fra cristianesimo e marxismo, e l’impegno per l’instaurazione di una società socialcomunista.
Fra spropositi teologici e aberrazioni logiche d’ogni sorta, costoro hanno cercato di trascinare la Chiesa, o almeno una buona fetta del mondo cattolico, verso i lidi salvifici della lotta di classe, del marxismo rivoluzionario (la socialdemocrazia, per loro, evidentemente era troppo poco), della "liberazione" dell’uomo e del cristiano dalle pastoie dell’ipocrisia borghese e delle istituzioni, anche religiose, con essa colluse; né si sono peritati di spingere la loro improntitudine fino alle estreme conseguenze, ossia fino alla blasfema affermazione che la maniera giusta, e realmente cristiana, di amare il prossimo, compresi i ricchi, è quella di combattere per rovesciare l’ordine sociale e, implicitamente, di uccide l’oppressore; perché solo in tal modo si manifesta il vero amore cristiano nei confronti del prossimo, dando a ciascuno il suo: l’amore fatto di sostegno ai poveri, l’amore fatto di pallottole ai ricchi.
Attivi, naturalmente, anche sul fronte della politica italiana, ad esempio fiancheggiando la campagna referendaria contro l’abolizione del divorzio, essi hanno fatto del loro meglio per snaturare, sfigurare, stravolgere, il volto del cristianesimo; e, se qualcosa hanno trovato da contestare ai "compagni di strada" marxisti, non è stato tanto sul terreno propriamente etico e religioso, ma su quello politico, rimproverando loro, ad esempio, l’eccessivo culto della personalità dei leader rivoluzionari: e questo mentre milioni e milioni di cattolici languivano nei campi di concentramento o nelle prigioni dei Paesi socialisti, vale a dire senza nemmeno la giustificazione dell’ignoranza, perché era impossibile ignorare, se non altro, quel che aveva fatto Stalin ai cattolici (e agli altri cristiani) in Russia, e quel che aveva fatto loro Mao in Cina. No: essi guardavano solo all’America Latina (ma, anche lì, con un occhio solo: nemmeno una parola sui "cristeros" e sulle sanguinose repressioni anticattoliche del Messico rivoluzionario!), prendevano Cuba a loro modello e, facendosi schermo del martirio di monsignor Romero a El Salvador, cercavano di dimostrare l’indimostrabile: che il cristianesimo o sceglieva di schierarsi con i poveri, intesi in senso puramente economico, sul terreno della lotta aperta e nella prospettiva socialista, oppure non era nulla, né mai era stato alcunché di serio.
Sempre in Italia, oltre che in Spagna e in vari Paesi dell’area latinoamericana, circolavano libri, opuscoli e giornali che diffondevano simili concetti; mentre, sul terreno propriamente teologico, continuava a diffondersi la cosiddetta "teologia della liberazione", nata a partire dalla Conferenza episcopale di Medellin del 1968, nonostante che papa Giovanni II, nel 1981, la condannasse ufficialmente, dichiarando l’incompatibilità fra il concetto marxista della lotta di classe la scelta cristiana di servire i poveri, e negando esplicitamente e vigorosamente la liceità d’interpretare la figura e il messaggio di Gesù Cristo in senso politico-sociale e rivoluzionario.
Per inciso, molti dei teologi, o supposti tali, che gravitavano intorno alla teologia della liberazione, e specialmente quelli dell’ala più militante e movimentista, non si limitavano ad auspicare una trasformazione del cattolicesimo in senso socialista e rivoluzionario, volevano anche "aprirlo" ad istanze tipicamente protestanti; valga per tutti il caso del teologo protestante argentino José Miguez Bonino, subito preso a modello da parecchi di codesti teologi "cattolici" e largamente tradotto e propagandato in Italia, ad esempio da José Ramos Regidor. Ed è stato su questo terreno, la traduzione e la diffusione delle opere degli autori della teologia della liberazione, nonché dei Cristiani per il socialismo, che si è realizzato l’incontro con alcuni gruppi della sinistra cattolica, come la Pro Civitate Christiana di Assisi e la rivista «Rocca», poi sopravvissuti come monumenti ad una stagione di smarrimento teologico, ma non pentiti, anzi, più che mai convinti di dover seguitare la lotta per "testimoniare" la loro interpretazione del cristianesimo, vista come la sola giusta e legittima.
Non hanno dovuto aspettare troppo, in verità: a partire da un certo momento, diciamo dopo il pontificato di Benedetto XVI, la loro ora sembra essere infine arrivata: e la Chiesa, che non li aveva "capiti", e li aveva relegati al rango di "dissenzienti" (i «cattolici del dissenso», come orgogliosamente si autodefinivano), ora sembra dare loro ragione; così come, del resto, e sia pure con un secolo di ritardo, sembra aver dato ragione ai cattolici modernisti, già solennemente condannati da papa Pio X, con una apposita enciclica, nell’ormai lontano 1907.
Uno dei libri più insulsi, ma anche più significativi, per comprendere il clima di quegli anni, e la sovrana confusione delle idee che vi regnava, è, a nostro avviso, «Gesù e il risveglio degli oppressi», apparso in Italia al principio degli anni Ottanta del ‘900. Vale la pena di sfogliarlo, soffermandosi già sui titoli dei capitoli contenuti dell’indice, per imbattersi in un guazzabuglio teologico-politico, nel quale nulla sembra chiaro, nulla sembra uguale a quel che credevamo di sapere del cattolicesimo, tranne una cosa: che è finito il tempo delle chiacchiere, e che il "vero" cristiano deve fare come Camilo Torres, prendere le armi e unirsi ai guerriglieri marxisti, perché bisogna instaurare la società cristiana liberata, fondata sulla giustizia e ispirata al comunismo, nella quale anche i ricchi vengono amati — perché bisogna pur amare il prossimo – mediante la lotta rivoluzionaria che finirà per spazzarli via.
Scrive, dunque, José Ramos Regidor, già docente di teologia alla Pontificia Università di Roma e coautore, con Aldo Gecchelin, del volume «Cristiani per il socialismo. Storia, problemi e prospettive» (da: J. Ramos Regidor, «Gesù e il risveglio degli oppressi. La sfida della teologia della liberazione», Milano, Mondadori, 1981, pp. 207-214):
«Qualche anno fa, José Miguez Bonino ha affrontato in modo sistematico il problema SE E IN QUALE SENSO UN CRISTIANO POSSA ESSERE UN MARXISTA.
1) Se il marxismo viene inteso esclusivamente come una serie di STRUMENTI DI ANALISI della società capitalista, esso non soltanto può ma in un certo senso deve essere utilizzato anche dai cristiani. […]
2) Inoltre i cristiani possono assumere la critica marxista alla religione "assumendola come un valido strumento di comprensione e di critica del cristianesimo borghese e quindi come un valido contributo ad un profondo rinnovamento delle chiese".3) Ma il marxismo è anche una TEORIA RIVOLUZIONARIA, un movimento rivoluzionario, e, secondo la maggior parte dei marxisti, ciò è parte integrante della stessa analisi marxista: può il cristiano assumere il marxismo come teoria rivoluzionaria? […] Non si tratta però di contraddizioni tali [cioè fra il cristianesimo e il marxismo] che escludano l’incontro del cristiano con il marxismo. Si tratta piuttosto di problemi e ambiguità che sono proprie di ogni intervento umano nella storia. L’etica umana non richiede la fuga da questi problemi ma la loro assunzione e l’impegno per una loro soluzione, con la chiara coscienza che nessuna realizzazione storica è assolutamente perfetta e immune da contraddizioni. […]
4) Tutto questo è un’ulteriore prova del CARATTERE CRITICO DEL RAPPORTO dei cristiani latinoamericani con il marxismo. Essi rilevano infatti nella teoria marxista e nelle sue realizzazioni storiche alcune lacune e deficienze storiche che non possono essere giustificate. [Seguono alcune critiche al marxismo, tutte di carattere politico e non etico o religioso, ad es. sul ruolo del potere e il culto della personalità.]
5) Rimane ancora da affrontare il problema più difficile: "può un cristiano essere marxista nel senso di accettare il materialismo storico e dialettico?" […] Se il materialismo è interpretato come CRITICA ALL’IDEALISMO, mi sembra che non vi sia nulla in esso che contrasti con la fede cristiana. Anzi, sotto molti aspetti, è una correzione salutare della secolare e fuorviante alleanza della teologia cristiana con l’idealismo filosofico, alleanza che ha dato luogo a molte interpretazioni etiche e teologiche deformate della fede cristiana. Una seria attenzione nei confronti del materialismo storico non può che avere un effetto molto corroborante per la teologia cristiana, anche se la fede cristiana non accetterà certamente di sottomettere le sue affermazioni alle condizioni poste da una qualunque filosofia." (J. Miguez Bonino, "Fare teologia in una situazione rivoluzionaria", Brescia, Queriniana, 1976).
[Il cristiano può condividere col marxismo anche il concetto della lotta di classe? L’Autore risponde citando un brano di Giulio Girardi, "Amore cristiano e violenza rivoluzionaria", in AA. VV., "La violenza dei cristiani"; Assisi, Cittadella, 1969): "Non v’è dubbio che il Vangelo ci comanda di amare i nemici, ma non dice che non dobbiamo avere nemici o che non dobbiamo combatterli. Non potrebbe dirlo; non potremmo amarli concretamente se non li avessimo. Ordinandoci di abbandonare il neutralismo, il vangelo ci forza a crearci dei nemici e a combatterli… Il cristiano deve amare tutti, ma non tutti nello stesso modo: amiamo l’oppresso prendendone le difese e liberandolo; amiamo l’oppressore accusandolo e combattendolo. L’amore ci spinge a lottare per la liberazione di tutti quelli che vivono in condizioni di peccato oggettivo. La liberazione del ricco e quella del povero vengono realizzate contemporaneamente. In questo, paradossalmente, la lotta di classe non solo non è in contrasto con il carattere universale del’amore ma è da esso richiesta.»
Che altro dire, davanti a così disarmante franchezza? L’unica cosa che rimane da capire è se dei "cattolici" come José Ramos Regidor, o come don Giulio Girardi, si rendessero conto sino in fondo delle teorie che predicavano e diffondevano ai quattro venti, criticando aspramente la Chiesa "conservatrice" e ponendosi come i "veri" come gli unici legittimi interpreti del Vangelo; se il loro obnubilamento e le loro farneticazioni fossero, in definitiva, in buona o in mala fede.
Certo, il clima politico e culturale complessivo di quegli anni era quello, e l’impazzimento collettivo non riguardava solo il mondo cattolico, o i seminari, o le facoltà di teologia; riguardava l’insieme della società italiana, europea e occidentale: una pazzia collettiva così diffusa e contagiosa, che spingeva un po’ tutti, professori e studenti, giornalisti e sociologi, a dare torto ai fatti, pur di non dare torto alle loro idee. È per questo, ossia per la cattiva coscienza di tutti costoro, che la fuga dei Vietnamiti sulle zattere della disperazione, dopo la vittoria comunista del 1975, non venne compresa e rettamente interpretata; e ci volle un bel po’ anche per comprendere e interpretare il genocidio operato dai Khmer rossi ai danni del popolo cambogiano.
Tuttavia, vi sono errori e confusioni che un cristiano non può compiere, se è in buona fede. Non è possibile, leggendo il Vangelo, pervenire onestamente alla conclusione che Gesù Cristo sia stato un predicatore rivoluzionario, e che abbia inteso perseguire la liberazione armata delle masse contro i loro padroni. Uomini come padre Girardi non erano degli sprovveduti, né degli stupidi. E allora? Evidentemente, se ne deve concludere che essi sapevano molto bene quello che andavano facendo…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI