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Ma possono accadere cose del genere?

Noi viviamo, o crediamo di vivere, in un’epoca molto "scientifica": un’epoca in cui non ci sino più misteri, o, se ci sono, non sono veramente tali, bensì problemi; problemi che prima o dopo, in un modo o nell’altro, finiranno per trovare soluzione, o, quanto meno, una ragionevole spiegazione, tale da non turbare in alcun modo l’immagine rassicurante che abbiamo della nostra facoltà di conoscere le cose e farle rientrare in un ordine perfettamente logico.

Eppure, basta grattare appena un poco la superficie delle nostre certezze di matrice positivista, ed ecco fare capolino l’impensabile, l’incredibile, l’inspiegabile, e mandare in fumo, così, da un istante all’altro, il castello della nostra orgogliosa sicurezza intellettuale. Ed è come se ci trovassimo proiettati in un’altra dimensione del reale, per comprendere la quale non possediamo i necessari strumenti culturali e, probabilmente, neanche il giusto atteggiamento spirituale.

C’è un episodio, raccontato dallo scrittore Bino Sanminiatelli, in se stesso piuttosto semplice, che, tuttavia, fa molto riflettere; possiamo permetterci di riportarlo per esteso, visto che si tratta di neanche mezza pagina in tutto, affinché il lettore disponga di tutti gli elementi per formarsi una propria opinione in proposito (da: B. Sanminiatelli, «La vita in campagna», Milano, Longanesi, 1980, pp. 113-114):

«… La mia ambizione era di unire la casa al bosco, abbattuto per un buon tratto per ragioni di sicurezza, mediante un viale di cipressi attraverso il "sodo" dove prima era bosco. La villa, in tal modo, avrebbe avuto il suo bel parco naturale. Tutto finora, nella casa abitata dai miei genitori e dai miei nonni, si faceva ai loro comandi, Ora stavo diventando quasi un uomo e, in veste di signorotto, sognavo ingenuamente, trasformando in parco parte del bosco ad alto fusto, pergole panchine e ponticelli. Per fortuna mio fratello maggiore, più pratico, venne in mio aiuto e, seguendo i suoi consigli, disposi di non tagliare più le eriche che s’impennacchiano di fiori a primavera, lasciai crescere le ginestre, feci raddrizzare le piante cresciute malamente mediante tagli sapienti, concimare quelle stente, fare il largo intorno a quelle che avevano bisogno d’aria. Uno specialista mi spiegò le malattie a cui vanno soggette, mi consigliò i rimedi, mi disse cosa significava tramarrare un querceto e m’insegnò i nomi delle piante nostrali che formano la macchia mediterranea. Tutti conosciamo il pino, il leccio, il cipresso, la sughera, la quercia, il ginepro e l’albatro; ora imparai che vi convivono in buona armonia lentischi, cisti e filliree. Ero diventato professore. Una cosa non mi riuscì: liberare i pini da quelle borse bambagiose, nido di certa specie di bruchi che vien chiamata "processionaria" perché, uscendo dalle borse appese ai rami, da loro fabbricate e dove svernano, ne escono ai primi tepori, calano giù dai tronchi e procedono per terra in lunghe file. Ascoltai allora il consiglio di un contadino che mi fece venire una stregona. Mi disse il contadino: "È una specialista questa stregona. Quanti boschi segna, tanti ne libera. L’altro giorno m’erano entrati i bruchi in un campo di cavoli. Appena questa vecchia li ebbe segnati, i bruchi si fermarono interdetti, poi si rigirarono per benino e se ne andarono via in processione come tanti fratini. È proprio un’incantatora…"

La processionaria scomparve.»

L’Autore, dunque, si limita a riportare il fatto, nudo e crudo, e non dà giudizi personali, né tira conclusioni, e neppure formula ipotesi. È come se dicesse: «ecco, il fatto è questo; io ve l’ho solo riferito, così come l’ho vissuto; adesso giudicate voi, se ne avete la voglia. Io, per me, preferisco osservare il più stretto riserbo: se qualcosa ne penso, non voglio dirvelo, cosi vi lascio perfettamente liberi di trarre tutte le deduzioni che credete».

E il fatto è molto semplice, almeno in apparenza. C’è un bosco, per la precisione una pineta, che è stato aggredito da un temibile parassita degli alberi: la processionaria («Taumetopoea pityocampa», un insetto dell’ordine dei lepidotteri), un parassita così dannoso che può distruggere ampi tratti di pineta, divorando le foglie aghiformi, dalla prima fino all’ultima, e questo nel breve arco di tempo del suo ciclo vitale. C’è il proprietario del bosco che, pur avendo sviluppato una notevole esperienza nell’ambito delle scienze forestali, si sente assolutamente impotente davanti a questo insidioso e tenacissimo invasore. E infine c’è una donna del posto, chiamata da tutti con l’eloquente soprannome di "stregona", che ha fama di essere la sola persona al mondo, botanici e coltivatori compresi, capace di sconfiggere un simile avversario, e alle cui doti e capacità segrete la gente del posto guarda con assoluto rispetto e con incrollabile fiducia.

Tutto questo sembra il canovaccio di una storia ambientata alcuni secoli fa, anzi, parecchi secoli fa: potrebbero essere benissimo gli "ingredienti" di una delle novelle di messer Giovanni Boccaccio, o, magari, di Franco Sacchetti. Già se si trattasse di un racconto dei tempi del Verga, ossia degli ultimi anni del XIX secolo, ci chiederemmo se lo si debba prendere seriamente, oppure come un semplice gioco di fantasia dell’autore. Ma oggi… oggi, non possiamo fare a meno di domandarci, con una punta di scetticismo, per non dire di autentica incredulità: possono mai accadere, ai nostri giorni, delle cose di questo genere?

Ai nostri giorni, e già da molto tempo, noi abbiamo fiducia, semmai, nella scienza; in questo caso, nella chimica: in un buon prodotto antiparassitario, forse… ma non è affatto così semplice come si potrebbe credere. Innanzitutto, la processionaria non è un inetto pericoloso soltanto per i pini e per gli alberi in generale; lo è anche per gli esseri viventi a sangue caldo, uomo compreso. Pertanto, bisogna adoperare le più scrupolose precauzioni, quando ci si accinge a combatterlo: i rischi vanno da una fastidiosa irritazione cutanea a delle forme di lesione, più o meno gravi, comunque assolutamente da non sottovalutare, agli occhi, alla mucosa nasale, alla gola e all’esofago. Perfino dopo che le larve sono state uccise mediante il trattamento chimico (che però deve avvenire all’aperto, perché, se loro cadaveri continuano ad essere altamente pericolosi, addirittura anche se carbonizzati, perché fortemente urticanti. Se vengono bruciati, pertanto, bisogna stare attenti a non porsi sottovento e a tenere ben coperta tutta la superficie del proprio corpo, particolarmente gli occhi e le vie respiratorie.

Si può provare con dei metodi di lotta biologica: ad esempio, si può contrastare una invasione della processionaria utilizzando, contro di essa, dei prodotti a base di «Bacillus Thuringiensis», un batterio sporigeno che vive nel terreno (scoperto in Giappone nel 1901 e, in Germania, dieci anni più tardi), che libera tossine innocue per l’uomo, ma paralizzanti per i bruchi dei lepidotteri: tuttavia si tratta di una pratica molto dispendiosa sul piano economico, e che non garantisce risultati certi; è sufficiente, infatti, che un piccolo numero di larve di processionaria riesca a sopravvivere, perché l’infestazione non possa dirsi debellata, e la minaccia di distruzione delle foglie di una coltivazione, o di un bosco, persista in tutta la sua gravità. Si può tentare con i mezzi chimici, cioè con dei potenti insetticidi: neppure questi, tuttavia — oltre ai ben noti effetti collaterali che producono sull’ambiente — possono dare l’assoluta certezza di eliminare l’intruso.

Ora si può ben comprendere con quale ansia e trepidazione un coltivatore assista alla comparsa di questo sgradito "ospite", cosa che avviene in primavera (anche se i primi danni, assai lievi, si manifestano in autunno), quando le larve sono particolarmente voraci e la necrosi delle foglie non lascia dubbi sulla loro presenza — e si tenga presente che questo insetto è straordinariamente robusto e vitale, dato che può rimanere in diapausa, ossia in uno stato di arresto spontaneo del proprio sviluppo, per periodi molti lunghi, fino a sette anni, qualora le condizioni dell’ambiente non siano del tutto favorevoli, per poi riprendere a svilupparsi come nulla fosse, senza risentire affatto dell’interruzione.

Ed eccoci nello stato d’animo dell’autore del brano sopra riportato: un uomo che si è votato alla vita di campagna, che ha dedicato molto studio e molto amore alla conoscenza e alla pratica della coltivazione delle piante, e che va particolarmente fiero del proprio bosco di pini, fino a quando, un brutto giorno, scopre che le foglie sono state attaccate dal temuto lepidottero, contro il quale vi sono ben poche speranze di trovare un rimedio efficace e sufficientemente rapido, da poter salvare gli alberi prima che il contagio si diffonda in maniera irreparabile. Né i libri, né le conoscenze pratiche dei vicini e degli amici possono venirgli validamente in aiuto; tutto sembrerebbe perduto, a meno che… a meno che egli non sia disposto a gettarsi dietro le spalle tutta la mentalità scientifica, propria della società moderna, e che tutti, più o meno, consideriamo parte inseparabile del nostro abito mentale di persone "evolute", "ragionevoli" e "civili", e si affidi a un rimedio assolutamente in contrasto con quello che insegna in maniera apodittica la cultura moderna: quello della magia, al quale ricorrevano i nostri avi, secoli e secoli prima di noi, forse perfino millenni prima. Un bel salto indietro nel tempo, addirittura un salto di paradigma, e da fare all’indietro, in una volta sola: da quello scientista a quello magico.

Eppure, quell’uomo ha deciso di fare un tale salto e di affidarsi alle arti segrete della "stregona". In che modo, precisamente, ella abbia operato, non lo dice; possiamo soltanto supporlo, sulla base di altri episodi noti, simili a questo. È probabile che la donna abbia messo in atto un procedimento di magia simpatica: cioè che abbia operato a distanza sulla volontà inconscia delle processionarie, agendo, di fatto, su una di esse, o su alcune di esse, e trasmettendo a tutte le altre un ordine non verbale, bensì mentale, se così possiamo esprimerci, dato che è ben difficile immaginare una attività mentale nel caso dei lepidotteri (mentre è possibile farlo nel caso di animali più evoluti, per esempio di mammiferi, come è testimoniato essere accaduto per opera di stregoni e sciamani presso alcune popolazioni "primitive").

Tutto quel che possiamo dire è che esiste uno psichismo collettivo, nel quale individui umani particolarmente dotati, o esperti in fatto di procedimenti segreti (o entrambe le cose insieme), riescono ad inserirsi, inviando messaggi di varia natura ai singoli membri di una comunità animale, oppure alla comunità nel suo complesso. Sappiamo, per esempio, di stregoni africani che sono riusciti ad influenzare il comportamento di interi branchi di antilopi, o di bufali, o di intere popolazioni di coccodrilli, oltre che di singoli animali, compresi leoni e altre belve feroci. E non si tratta affatto di semplici leggende, ma di casi assolutamente sicuri e verificati per mezzo di osservazioni dirette da parte di testimoni interamente attendibili. Né si tratta di eventi motivati dall’azione capricciosa e gratuita dello stregone o dello sciamano, bensì di rituali magici finalizzati, in genere, al buon esito della caccia, nel caso si tratti dell’"invito", rivolto agli animali, di avvicinarsi, oppure, al contrario, a creare condizioni di sicurezza per la tribù, nel caso della "intimazione" di allontanarsi. Possiamo pertanto ipotizzare che, presso i gruppi umani che vivono a contatto con le forze della natura, si sviluppino delle facoltà, dei poteri, delle energie, che consentono a certe persone di entrare in comunicazione diretta, ma senza servirsi di alcun mezzo visibile e direttamente osservabile, con le creature animali, impartendo loro delle istruzioni o degli ordini specifici.

Mano a mano che, con il progredire della "civiltà", gli esseri umani si allontanano dall’ambiente naturale e dai ritmi della natura, tali facoltà tendono a smarrirsi e a scomparire; ma è possibile, anzi, probabile, che si conservino ancora in certe comunità isolate, o presso determinati individui, ai margini della società tecnologica moderna, specialmente se si tratta, come nel caso sopra riferito, di conoscenze e di poteri trasmessi in maniera mirata e "professionale", probabilmente di padre in figlio, oppure da maestro a discepolo, in modo selettivo e, nello stesso tempo, abbastanza segreto da escludere tutte le persone estranee alla famiglia o alla cerchia del mago o, comunque, alla comunità segreta dei praticanti la magia.

Certo, sono fenomeni che lasciano sbalorditi e che sono difficili da accettare, sul piano razionale. Tale difficoltà, però, è dovuta non tanto a un reale ostacolo di natura logica, ma ai presupposti erronei, cioè ai pregiudizi, che condizionano il nostro modo di porci nei confronti del mondo naturale, del quale l’uomo, evidentemente, fa parte, almeno per un certo lato. La nostra idea di quel che un fenomeno naturale "debba" essere, è troppo condizionata da una concezione materialistica e meccanicistica della natura stessa. La natura, in realtà, non è fatta solo di materia e di movimenti meccanici: è fatta anche di correnti energetiche e di collegamenti invisibili.

E la "stregona" della processionaria, senza alcun dubbio, sapeva come servirsi di tali forze segrete…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Vidar Nordli-Mathisen su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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