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La Storia, per Reinhold Schneider, è il campo di una partita a tre fra l’uomo, Dio e il suo Nemico

Certamente non sono in molti, preso il cosiddetto "grande pubblico", a conoscere il nome di Reinhold Schneider (1903-1958): eppure la critica bene informata non esita a porlo, in compagnia di Thomas Mann, come la figura più eminente e più rappresentativa della letteratura tedesca contemporanea.

Ciò sarà forse dovuto al suo convinto, sofferto, conseguente cattolicesimo, che lo rendeva e lo rende indigesto alla cultura europea e mondiale oggi dominante, la quale non vorrebbe più sentir parlare di Dio, se non per negarlo, né di Cristo, se non per relegarlo fra le innocue leggende, e meno ancora del Diavolo, se non per deriderlo e per farne la prova "provata" di quanto siano ottusi, oscurantisti e superstiziosi i credenti, così nel Terzo Millennio come lo erano nel Medioevo?

Eppure Reinhold Schneider, instancabile ricercatore della Verità e parente ideale di Paul Claudel, di Edith Stein, di Georges Bernanos, di Peter Wurst, perseguitato dai nazisti e non troppo a casa sua nemmeno nel dopoguerra democratico, era fermamente convinto che l’uomo non è da solo a giocare la sua partita con la Storia, ma con altre due presenze ineludibili: quella di Dio e quella del suo Nemico. Ci credeva con assoluta lucidità e chiarezza, così come ci credeva – e lo diceva, con grande scandalo dei benpensanti e specialmente dei "progressisti"- papa Paolo VI; e così come dovrebbe crederci non solo qualunque cristiano, ma, secondo noi, qualunque essere umano dotato di onestà intellettuale e non tetragono alla voce dello spirito.

Autore di circa 200 titoli, fra i quali «Wehüllter Tag» («Giorno nascosto»), «Winter in Wien» («Inverno a Vienna»), «Schicksal und Landschaft» («Destino e paesaggio»), «Bartolomeo Las Casas» e il dramma «Il gran rifiuto» («Der grosse Verzicht»), Reinhold Schneider, come uomo e come pensatore cristiano, può essere accostato anche, dal lettore italiano, per mezzo di un agile volumetto che raccoglie una serie di pensieri-chiave tratti dalle sue opere, una sorta di antologia essenziale, pubblicata nell’ormai lontano 1978; un libro che, tuttavia, risulta sempre attuale, anzi non sembra affatto aver risentito del trascorrere del tempo, perché Schneider, come tutti gli scrittori veramente profondi e pervasi di spiritualità, non scriveva per i suoi contemporanei, ma per l’eternità.

Da esso ci piace riportare qualche passaggio che può dare un’idea della sua riflessione sulla storia umana (Reinhold Schneider, «Parole dal profondo», Reggio Emilia, Città Armoniosa Editrice, 1978 traduzione dal tedesco di Elena Randelli, pp. 53-7):

«La storia è una serie inarrestabile di cambiamenti dei quali siamo al tempo stesso vittime e artefici […]

La storia è la cooperazione della potenza di Dio, di quella del nemico e di quella degli uomini, una cooperazione che appare nell’individuo così come nei popoli, nella tradizione spirituale così come in quella politica. […]

Credo che sia sempre l’ora del cristiano, anche se una volta non lo fu affatto, ma penso che la sua causa finirà per soccombere e non sarà questo mondo a vederlo vincitore. Nel migliore dei casi, sarà il testimone, perseguitato, della verità in cui crede, o perlomeno non può aspettarsi altro compito per il futuro più immediato; è bene quindi che vi si prepari. Ma credo che non ci sarebbe più la storia se non ci fosse questo testimone. Certamente, non credo che egli si estinguerà prima della fine del mondo. […]

Il dramma gigantesco tra il cielo e la terra ci segna nell’intimo; non potremo superarlo se non cerchiamo di espiare per noi e per tutti, se come cristiani non osiamo accettare la responsabilità per coloro che non lo sono, se i credenti non si offrono come sacrificio per quelli che non credono, se ognuno non si rende responsabile della salvezza del mondo. Il cristiano non deve andare là dove non c’è luce; egli deve essere la luce. Il cristiano vince nel momento in cui, offrendo se stesso, è vinto. […]

Dovremmo essere consapevoli di alcune verità incontestabili, se vogliamo tener presente l’essenza della colpa e dell’espiazione. Esiste la potenza del male in dipendenza di quella di Dio e l’uomo è libero di decidere per l’una o per, l’altra; egli non vive da solo e non è mai colpevole soltanto verso se stesso e tantomeno può sottrarsi alle conseguenze morali e storiche della colpa altrui. Questa seconda verità non sarebbe così spesso misconosciuta, avversata, profanata e fraintesa, se in noi fosse viva la consapevolezza di una vera comunità politica; ma, in singolare contrasto con le richieste sociali e programmatiche che riempiono questo tempo, manca la coscienza di un’autentica comunità umana. […]

Non credo che la potenza del male sarà spezzata prima della fine dei tempi e non credo nemmeno che l’uomo riuscirà a costruire un ordine che non sia minacciato da questa potenza e non penso che gli uomini troveranno la loro meta e la pace perfetta in uno stato terreno e proprio in tale illusione vedo la tentazione più pericolosa, perché essa può portare soltanto all’essere schiavi, cioè far sì che l’uomo diventi un impiegato della fabbrica dello stato e consideri questo come il senso della vita. […]

La storia comprende infinitamente molto di più della lotta per il potere e del fragore della lotta. Ciò che accade sarebbe irreale senza il silenzio: lo stato e la sua potenza, il potere e il suo signore sono soltanto persone o forze dell’azione che oscilla tra Dio e l’uomo. […]

Quando una sola volta una parola santa non è presa, santamente, in tutta la sua serietà, e quando un sentimento profano le si attacca, incomincia l’avvelenamento del tempo e del mondo. Quando la parola e il gesto cessano, anche per pochissimo, di essere in Cristo, là ha vinto il "padre della menzogna", e non soltanto di poco; il minimo errore accresce il suo regno, con una possibilità di guadagno non più delimitabile.[…]

Lo splendore del giorno del giudizio vuole rinascere in ogni vita. Ci avviciniamo ad esso nel timore, nel tremore e nello stesso tempo con una speranza inesprimibile: tutta ‘ingiustizia della terra è una promessa di questo giorno e quanto più potentemente siamo commossi dalla sofferenza degli uomini e dal travaglio dei popoli tanto più fortemente crediamo alla promessa che il mondo si concluderà un giorno e alla fine della storia si avvicinerà con il giorno della giustizia divina. Quindi la preghiera del Veggente di Patmos perché il Giudice venga, è la più profonda e santa invocazione del mondo afflitto, la cui grande paura, grande consolazione e speranza indistruttibile, è il giudizio divino. […]

La storia pone sempre la stessa domanda: come salvare i Penati? Dove fondare per loro la nuova città? Abbiamo luoghi santi per custodirli nei nostri cuori, in modo da non poterli perdere? Siamo completamente liberi, in virtù di tale certezza, di vivere in questa nostra epoca, di domandarle che cosa vuole da noi e di risponderle agendo, soffrendo e donando? […]

Ciò che si può dire dei regni terreni, e cioè che nella loro origine è già decisa la loro legge e nella loro fine si svela la loro sostanza più intima, vale anche, , ad un livello molto più alto, per il regno di Dio. Un Bambino lo ha portato; il Giudice, che fu presente in modo misterioso durante l’intera durata terrena del regno, lo completerà. […]

Agire storicamente nel suo significato più profondo significa voler strappare questo mondo alle forze abissali per offrirlo a Dio, significa cioè pregare il Signore che lo strappi ai suoi nemici tramite noi, vale a dire esserne strumenti senza condizioni. […]

I portatori della grazia si trovano profondamente dentro la storia, e proprio grazie alla loro presenza essa si manifesta con il suo vero volto, secondo la sua natura più profonda, cioè storia della salvezza e ritorno dell’uomo a Dio.»

Ecco: Reinhold Schneider ha avuto il coraggio di portare nella cultura moderna, nella lettura della storia propria dei moderni, cinque secoli dopo Machiavelli, che l’ha interamente laicizzata, l’eterna — non la "vecchia" -, la perenne idea cristiana, e cattolica, che vede l’insieme delle vicende umane, proprio come la vicenda della singola anima del singolo individuo, come il teatro di un dramma cosmico, giocato fra Dio, l’uomo e il Diavolo.

Una idea che avrebbe trovato perfettamente consenzienti i padri della Chiesa, e poi, lungo il corso dei secoli, Sant’Agostino e San Tommaso, così come Dante e Manzoni, Rosmini e Guardini; ma che oggi, chi sa perché, appare obsoleta, impraticabile, quasi impronunciabile, non solo agli occhi dei laicisti ad oltranza, ma anche agli occhi di molti che si definiscono cattolici e che si ritengono credenti: ma credenti in che cosa, dato che si stupiscono, e addirittura si scandalizzano, se qualcuno ricorda loro che, nella storia, non tutto è opera dell’uomo, ma che vi sono altri due attori invisibili, ma decisivi: Dio e il suo antico avversario, il Diavolo?

Schneider ci ricorda, con molesta e benefica insistenza, con rude e necessaria franchezza, che la parola umana non è mai neutrale; e che tanto meno lo è la parola divina: qualora questa non venga custodita in tutta la sua purezza, essa finisce inevitabilmente per pervertirsi, per rovesciarsi nel suo esatto contrario. Essersi scordato che la storia è un dramma cosmico, cui partecipano il Cielo e l’Inferno; e che i popoli e le società, ogni qualvolta si allontanano dall’amore di Dio, automaticamente si mettono sul cammino opposto, e cioè si fanno servitori del Male, del Male con la iniziale maiuscola: ecco il grande peccato dell’uomo moderno.

La storia umana, guardata attraverso la prospettiva del credente, è la storia dell’avvicinamento — e, talvolta, dell’allontanamento — dell’uomo rispetto a Dio: una vicenda alterna, altamente drammatica, nella quale la posta in giuoco non è una impossibile "felicità" in questo mondo, non è la realizzazione di una velleitaria, improbabile società perfetta, o società del benessere, o dei diritti universali, o dell’affrancamento dal bisogno, o comunque la vogliano chiamare quanti ritengono possibile realizzare il paradiso sulla terra, o qualcosa che gli assomigli alquanto; no: la storia umana è la storia della ricerca di Dio, della dimenticanza di Dio, e ancora della conversione e del ritorno a Dio, da pare dell’umanità.

È una vicenda piena di alti e bassi, di colpi di scena, di tragedie collettive e individuali, di smarrimenti, di preghiere, di maledizioni, di speranza e disperazione: ogni qualvolta gli uomini si ricordano di Dio, del loro bisogno di Dio, dell’amore di Lui, si avvicinano un poco alla meta e trovano la pace; ogni qualvolta si lasciano sopraffare dall’orgoglio, si credono autosufficienti, si gonfiano di superbia per le loro conquiste, per la loro intelligenza, per la loro scienza e la loro tecnica, essi si allontanano da Dio, ma anche da se stessi: smarriscono i sentieri dell’amore e si mettono sulla via dell’odio e della guerra.

Ci sembra abbastanza evidente, in questa prospettiva, che cosa possano o debbano fare le anime nobili, gli uomini di cultura, tutti coloro che possiedono retto volere e spirito di generosità: farsi voce della voce di Dio, farsi strumento dell’amore di Dio, farsi parte del disegno di salvezza voluto da Dio. Ciascuno di loro può fare molto, se si affida alla grazia divina; non può fare nulla, o peggio, può essere di grande danno morale ai propri simili, se si affida ai suggerimenti dell’orgoglio, della cupidigia, della superbia: perché tali cose vengono dal Nemico, geloso della possibile felicità degli uomini e sempre intento a sviarli dalla via del bene e della pace.

Come non vedere, in certe vicende della storia, anche recente e recentissima; come non vedere, in certe forze dell’economia, della finanza, della politica, della stessa cultura, una presenza sinistra, innominabile, paurosa, che i nostri avi non esitavano a chiamare per nome: il Diavolo; come non vedere che quella presenza è entrata nella mente e nel cuore di quegli uomini e di quelle società che si sono lasciati travolgere dall’orgoglio e che si sono dimenticati di rendere a Dio quanto gli è dovuto, che si sono rifiutati di accogliere il Suo amore?

Che sia benedetta l’opera di quegli uomini e di quelle donne, di quei pensatori, artisti, scrittori, scienziati, politici, di quei lavoratori, di quei padri e madri di famiglia, i quali hanno deciso di farsi docili e volonterosi strumenti dell’Amore; che sia maledetta l’opera di quanti, consapevolmente o no, si sono fatti, e agiscono tuttora in mezzo a noi, quali anime perse, come strumenti del Demonio.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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