
Neppure al magnanimo Tex Willer tutte le ciambelle riescono col buco
28 Luglio 2015
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28 Luglio 2015Molto, moltissimo di quel che diventeremo dipende dal modo in cui avviene la nostra uscita dal mondo dell’infanzia, estremo riflesso della gioia e della freschezza del Paradiso terrestre nella condizione della natura decaduta, e il nostro ingresso nell’età adulta.
Si tratta, in poche parole, di una vera e propria cacciata dal Paradiso terrestre: resta da vedere se essa avviene in maniera graduale, e, comunque, tale che noi riusciamo ad assorbirla, a metabolizzarla, a interiorizzarla, oppure se si manifesta sotto le forme di una rottura violenta e traumatica, spazzando via spietatamente la nostra innocenza infantile e scaraventandoci, nella maniera più impietosa, nella realtà del disincanto.
Per un bambino, questa seconda eventualità può verificarsi con la perdita improvvisa di un genitore; oppure con una situazione, un colloquio, una esperienza, in cui la sua fiducia nel mondo incantato viene infranta nella maniera più crudele, e, magari, con una buona dose di compiacimento, e quasi di sadismo, da parte degli adulti. Vi sono adulti, e specialmente genitori, che godono di traumatizzare il proprio figlio, sbattendogli in faccia la realtà di un mondo brutto, meschino, grondante di sofferenze e d’ingiustizie. Il più delle volte si tratta di persone che, a loro volte, hanno subito un simile trattamento dagli adulti, o dei loro stessi genitori, e adesso credono di mettersi in pari con la vita, restituendo la cattiveria che hanno subito.
Sta di fatto che una simile esperienza lascia un’impronta indelebile nel bambino che la vive in prima persona, e che difficilmente i suoi equilibri di uomo o di donna adulti potranno non risentire di essa: anche nel caso in cui tali equilibri, alla fine, vengano ristabiliti, si tratterà, pur sempre, di una operazione dolorosa e, in un certo senso, innaturale: come la crescita ulteriore di un giovane albero che, trovandosi intercettata la luce del sole, pieghi il proprio tronco e ricominci bensì a svilupparsi, ma solo dopo aver accettato di sottomettersi alla dura necessità di una situazione gravemente compromessa.
Gli adulti che agiscono in questa maniera nei confronti dei bambini, strappando loro brutalmente l’incanto del mondo e gettandoli, con compiacimento, nella tristezza di una terra desolata, fatta solo di cose prosaiche, o noiose, o squallide, senza un palpito di bellezza, senza un barlume di nobiltà, si comportano come dei veri e propri demoni: anche se si tratta di persone infelici, oppresse dal peso di esperienze infantili traumatiche, e anche se la vita, talvolta, riesce a trarre il bene dal male, consentendo a quei bambini, forse, di maturare una maggiore sensibilità, una superiore saggezza e una più robusta costituzione morale, fatta di volontà e spirito di sacrificio: tutte cose che finiranno per essere loro d’aiuto nel cammino della vita.
Certo è che il momento del disincanto, quando avviene per l’intervento maligno di un genitore, viene vissuto come una delle esperienze più dolorose che sia dato di attraversare; occorrerà molta forza d’animo, a quel bambino, e non essa soltanto, ma anche il concorso di altre circostanze favorevoli — per esempio, la presenza amorevole di un’altra figura di adulto, che sappia e possa medicare, almeno in parte, le ferite causate da quell’altra — per superare gli effetti negativi e per riconquistare la gioia di vivere, la fiducia nell’ordine del mondo e la benevolenza nei confronti dei suoi simili. Si direbbe che il Diavolo stesso sia l’ispiratore di certi adulti, e di certi genitori, allorché si divertono ad affondare il coltello nella ingenua fiducia dei bambini e a rigirarvi dentro la lama, per produrre il massimo dolore possibile.
Così rievoca quel momento-chiave lo scrittore Elias Canetti nella sua autobiografia «La lingua salvata. Storia di una giovinezza» (titolo originale: «Die gerettete Zunge, Geschichte einer Jugend»; traduzione dal tedesco di A. Pandolfi e R. Colorni, Milano, Adelphi, 1980, e La Biblioteca di Repubblica, 2002, pp. 370-372):
«Nel maggio 1921 la mamma venne a trovarmi. La portai in giardino e le mostrai come tutto era fiorito. Sentivo che era di pessimo umore e cercavo di lenire il suo scontento con il profumo dei fuori. Ma lei non li annusava nemmeno, continuava ostinatamente a tacere, e il vedere le sue narici così immobili mi rese inquieto. All’estremità del campo da tennis, dove nessuno ci poteva più udire, mi ordinò: "Siediti!"e lei stessa si mise a sedere. "Adesso questa storia è finita!" esclamò di punto in bianco., ed io seppi che era scoccata l’ora. "Devi andartene di qui. Ti istupidisci!".
"Ma io non voglio andar via da Zurigo. Restiamo qui, qui so perché sono al mondo".
"Perché sei al mondo! Masaccio e Michelangelo! Tu credi che il mondo sia questo, fiorellini da dipingere, il ‘nido del passero’ di Fräulein Mina. Le ragazzine, e tutte le moine che ti fanno; una più rispettosa e più devota dell’altra. I quaderni zeppi della filogenesi degli spinaci. Il calendario Pestalozzi, ecco qual è il tuo mondo! I personaggi famosi che ritrovi sfogliando il calendario. Ti sei mai chiesto se hai il diritto di farlo? Tu ne vedi gli aspetti gradevoli, la gloria che li circonda, ma ti sei chiesto mai come hanno vissuto? Credi che siano stati seduti in un bel giardino, come tu fai ora, in mezzo ad alberi e fiori? Credi che la loro vita sia stata un profumo di fiori? I libri che leggi! Il tuo Conrad Ferdinand Meyer! Quei racconti storici! Che cosa hanno da spartire con la vita di oggigiorno? Hai letto qualcosa sulla Notte di San Bartolomeo o sulla guerra dei Trent’anni e credi di sapere cos’è la vita! La vita è tutta un’altra cosa. È terribile!".
Ora veniva fuori tutto. La sua avversione per le scienze naturali: nel mio grande entusiasmo per com’era fatto il mondo, per come la vita si presentava nelle strutture degli animali e delle piante, le avevo scritto che era bello poter riconoscere un’intenzione dietro a tutte queste cose, e a quell’epoca ero sicuro, anzi sicurissimo che l’intenzione fosse buona.
Lei invece non credeva che il mondo fosse ben regolato. Non era mai stata credente e non era il tipo da rassegnarsi alle cose come stavano. Non superò mai lo shock della guerra, che si prolungò nel periodo della sua vita nel sanatorio, dove aveva conosciuto gente che, si può dire, le moriva sotto gli occhi. Di queste cose non parlò mai con me, era una parte della sua esperienza che mi rimase nascosta e che però era presente in lei e aveva il suo effetto.
Meno ancora le piaceva il mio amore per gli animali. La sua antipatia per le bestie era tale che sull’argomento si permetteva con me gli scherzi più atroci. A Kandersteg, sulla strada che portava l nostro albergo, vidi un giorno un vitellino che veniva trascinato avanti a forza. L’animale si impuntava ad ogni passo, il macellaio, che conoscevo di vista, aveva il suo da fare con lui, e io non capivo che cosa stese succedendo; la mamma mi era accanto e con calma angelica mi spiegò che lo portavano al macello. Subito dopo venne l’ora del pranzo e quando ci sedemmo a tavola io rifiutai di mangiare la carne. Non la mangiai per alcuni giorni e lei si arrabbiò; una volta presi della senape per condire la verdura e lei sorridendo mi disse: "Sai come si fa la senape? Con il sangue di gallina". Il mio sgomento era grande, non riuscivo a vedere la sua ironia; quando capii, lei aveva già spezzato la mia resistenza e disse: "Così è la vita. Tu sei come il vitello, anche lui alla fine deve arrendersi". Sceglieva i suoi mezzi con mano piuttosto pesante. A ciò contribuiva anche la sua convinzione che gli impulsi del cuore devono essere rivolti soltanto agli esseri umani, se si volessero estendere a tutte le creature viventi perderebbero la loro intensità, diventerebbero incerti e inefficaci. […]
Bisogna pensare che lo shock della morte si era abbattuto con la stessa forza su di lei come su di me. Aveva ventisette anni quando mio padre morì improvvisamente. Quell’evento le occupò lo spirito per il resto della sua esistenza, e cioè per alti venticinque anni, e subì molte metamorfosi, che avevano però sempre la stessa radice. In questo, senza che me ne rendessi conto, mia madre fu il modello per i miei sentimenti. La guerra fu l’amplificazione estrema di quella morte, l’assurdo elevato a dimensioni di massa.
Negli ultimi tempi a tutto questo per lei si era aggiunto per lei il timore che l’ambiente dominato dalle donne nel quale vivevo potesse influenzarmi negativamente. Come sarei potuto diventare un uomo solo attraverso il sapere, per il quale la mia attrazione cresceva ogni giorno di più? Lei disprezzava il suo sesso. Il suo eroe non era certo una donna, era Coriolano.»
Lo stesso Canetti, in questo brano, ci offre la chiave per interpretare il comportamento crudele di sua mamma: il dolore non risolto per la perdita del marito e la paura che suo figlio potesse crescere in un ambiente eccessivamente protetto, trovandosi poi svantaggiato nelle difficoltà che la vita, inevitabilmente, presenta.
Questa, naturalmente, può essere stata la motivazione cosciente che la donna ha offerto a se stessa; ma è chiaro che possono aver giocato la loro parte anche altre motivazioni, inconsce o semi-consce, come un odio segreto per il figlio e, soprattutto, l’invidia per la sua possibile felicità, oltre che per la sua presente spensieratezza: cose che, al suo cuore straziato dal dolore della vedovanza, dovevano apparire, forse, come un oltraggio intollerabile.
Diciamo la verità: la felicitò altrui ci irrita profondamente e suscita non solo il nostro rancore, ma anche un segreto desiderio di vendetta, se, in quel dato momento, noi non stiamo vivendo un periodo felice; riusciamo a tollerarla solo a patto che essa coincida con un periodo felice, o almeno sereno, anche per noi. Siamo fatti così: l’importante è sapersi leggere dentro, senza ipocrisie, cioè senza voler ammantare i nostri comportamenti meschini, rancorosi e vendicativi, dietro il velo delle nobili e altruistiche motivazioni.
Questo, per ciò che riguarda gli adulti. Qualcuno ha detto che, per coloro che danno scandalo a un bambino, sarebbe stato meglio non essere mai nati: dovrebbero legarsi al collo una macina da mulino e precipitarsi nel mare. E queste parole, pronunciate dal Maestro più amorevole che l’umanità abbia mai conosciuto nel corso della sua storia, crediamo che siano sufficienti per far capire la gravità di un simile comportamento.
Ora torniamo al bambino. Abbiamo affermato che il brusco disincanto del mondo può avvenire anche per circostanze esterne inevitabili; e, inoltre, che da una simile esperienza, per quanto traumatica e dolorosa, potrà forse venire un bene per quella piccola anima, la quale, crescendo e maturando, svilupperà tesori preziosi di umanità.
Bisogna pur dire che, se le circostanze del disincanto sono, talvolta, assolutamente inevitabili, gli adulti, non di rado, fanno del loro meglio per rendere il danno ancora più grave, ad esempio aggiungendo alla sofferenza del bambino ed al suo disorientamento spirituale un lacerante e ingiustificato senso di colpa, contro il quale egli non possiede ancora le armi adatte per lottare e per difendersi. Conosciamo il caso di un bambino che, rimasto orfano di entrambi i genitori nel giro di pochi anni, e avendo trovato un po’ di conforto nel gioco con alcuni coetanei, ancora vestito a lutto, si sentì apostrofare da una parente, autenticamente sbigottita, con queste atroci parole, cariche di tutta la disapprovazione del mondo: «Ma come… tu stai GIOCANDO?». E quel bambino, ormai cresciuto, a distanza di moltissimi anni, non poteva ricordare quell’episodio senza sentirsene ancora bruciare l’anima, come se un ferro rovente gli fosse stato applicato sulla carne viva.
Ad ogni modo, vi sono circostanze che non possono essere cambiate, e vi sono bambini che hanno la sfortuna di essere gettati nella dimensione della vita adulta senza la minima delicatezza, o, addirittura, con una dose di autentica crudeltà da parte degli adulti. Il rischio, naturalmente, sarà per loro quello di cadere nel cinismo, nell’amarezza, nella perdita irreparabile di quell’alone di innocenza e di fiducia che i bambini naturalmente hanno nei confronti della vita. Ed è un rischio concreto, che, per molte persone, diventa una ineluttabile e immodificabile realtà. Basta guardasi intorno per cogliere al volo quanto cinismo e quanta amarezza siano diffusi tra gli adulti, forse come conseguenza d’un disincanto infantile improvviso e scioccante.
Che fare, davanti a questa realtà, dal momento che — si dice — noi non possiamo in alcun modo agire sul nostro passato, e tanto meno modificarlo? Eppure, forse non siamo proprio così impotenti ed inermi come si potrebbe immaginare. Forse le risorse della vita, se indirizzata verso il Bene, sono sufficienti non solo a ristabilire l’equilibrio spirituale di quelle anime turbate, ma anche a riconquistare l’incanto del mondo, s’intende sul piano di consapevolezza di un adulto, che non sarà mai lo stesso del bambino. Ecco perché è così importante credere nel Bene, sempre, anche quando tutto sembra compromesso o addirittura perduto: non è mai troppo tardi per incoraggiare, rincuorare, sollevare le anime tribolate. Ed ecco perché non ci servono intellettuali negativi, predicatori di amaro pessimismo, ma uomini e donne di buona volontà, generosi e capaci di amare…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash