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I Friulani sono così

Certo, ormai tutto sta cambiando anche lì, nella "piciule patrie", nella piccola patria friulana, quel fantastico angolo di mondo dove il mare e i monti s’incontrano e dove si toccano le tre famiglie linguistiche e le tre stirpi principali d’Europa: la neolatina, la germanica e la slava; anche lì è arrivata l’onda lunga della globalizzazione, cancellando, più o meno lentamente, parlate, modi di vivere e di sentire, l’anima dei luoghi e quella delle persone.

Ma, fino a pochi decenni or sono, l’impressione che riceveva chi arrivasse in Friuli, senza esserci mai stato prima, doveva essere alquanto strana: quella di un mondo a parte, italiano sì, ma solo in un senso generico; per il resto, non tedesco né slavo, ma con qualcosa sia di tedesco, sia di slavo; un mondo dove l’architettura rustica e quella cittadina, le "villotte" e la poesia popolare, la cucina e il rito del bicchier di vino all’osteria, il modo di parlare e quello di tacere, i modi di pensare, di porsi nei confronti degli uomini e di Dio, il legame fra i vivi e i morti, insomma tutto, dalla sfera materiale a quella spirituale dell’esistenza, nelle cose visibili e in quelle invisibili, aveva un suo particolare colore, una sua particolare tonalità, un qualcosa che lo distingueva nettamente da quello degli altri Italiani, a cominciare dai confinanti Veneti, ma anche da quello dei Tedeschi e degli Slavi, dei quali pure esistevano diverse isole linguistiche al suo interno.

Il carattere friulano si presentava con caratteri inconfondibili: rude, ritroso, severo, tutt’altro che amabile, tutt’altro che brillante, tutt’altro che attraente; eppure non solo ammirevole, ma altamente degno di fiducia: concreto, positivo, franco, leale, perfino incapace di mentire, così come, del resto, incapace di nascondere i suoi sentimenti. Inoltre laborioso, tenace, addirittura ostinato; fucina di soldati insuperabili, per pazienza e coraggio, specialmente nella guerra di montagna; di contadini infaticabili, di emigranti sobri e risparmiatori, con il pensiero fisso di tornare a casa, magari poco prima di morire, per essere sepolti all’ombra del loro campanile.

Il friulano non fa nulla per piacere o per compiacere: è, semplicemente, incapace di farsi passare per altro da quello che è, o per dissimulare ciò che pensa e ciò che prova. Pertanto la sua sincerità risulta burbera, perfino sgradevole: pare quasi che faccia di tutto per tenere gli altri lontani da sé. «Dai Furlans, tre pas lontan», dice un proverbio veneto, che esprime un misto di diffidenza e di segreta ammirazione: anche se li separa appena un fiume non certo imponente, il Livenza, i Veneti sentono di aver a che fare con un tipo umano completamente diverso dal loro, che sfugge a ogni definizione, che non si lascia comprendere di primo acchito, non perché sia ambiguo, tutt’altro, ma perché sembra incredibile che sia così semplice e lineare, come in effetti è.

Al friulano difetta la vastità e l’originalità del pensiero: la sua intelligenza non è di tipo filosofico, non è di tipo speculativo; e non è neppure, generalmente parlando, di tipo artistico, perché carente di agilità e d’intuizione. La sua è una intelligenza quadrata, quasi lenta: solida, non profonda; ma più che sufficiente per affrontare con dignità e con fierezza le prove più dure della vita. Il friulano, davanti alla sofferenza, davanti alle separazioni, a ciò che fa piegare dal dolore altre tempre meno robuste della sua, si raccoglie in se stesso, tace e tira dritto. Quasi mai si lamenta, se non col buon Dio: e lo fa a suon di bestemmie. Bestemmia moltissimo, in tutte le occasioni, in maniera quasi ossessiva; eppure, non è affatto irreligioso: al contrario, ha un forte senso della trascendenza. E questo perché, in fondo, egli è un sentimentale: ha un cuore sentimentale accanto a due solide spalle di lavoratore e sotto una mente equilibrata, piena di buon senso.

Decisamente non è portato a concepire grandi idee: non sa pensare in grande; in compenso, ha i piedi bene attaccati alla terra, sa veder subito il lato pratico di una questione. E tuttavia, non è neanche un utilitarista; né si può dire che abbia il senso degli affari: è troppo schietto, troppo sincero, per questo; e non ha la parlantina sciolta: dove c’è da spuntarla a chiacchiere, sa già di non avere alcuna "chance" e si tiene in disparte, taciturno e guardingo, quasi rassegnato. La sua anima è l’anima contadina: piena di forza vitale, ma senza inutili espansioni, senza slanci romantici; egli è un uomo (o una donna) che bada al sodo, che disprezza i fronzoli e i belletti. Eppure, lo ripetiamo, a suo modo — molto a suo modo — è quasi un poeta, certamente un sentimentale: non vede le cose in una luce di crudo realismo, ma tende a trasfigurarle in un alone di calore umano.

In verità, il Friulano è un enigma: sembra freddo come il ghiaccio, ma, sotto sotto, è un passionale, o qualche cosa di molto simile a un passionale; si presenta in maniera scostante, perfino irritante, nella sua pretesa di far da solo, di non aver bisogno di nessuno: però, se decide di aprire il proprio cuore a un sentimento di amicizia, rimane fedele ad esso per tutta la vita, ed è capace di gesti tenerissimi, addirittura toccanti. Bindo Chiurlo diceva che il popolo friulano è il più meridionale dei popoli settentrionali (per lui i Friulani sono un popolo, dato che la loro parlata non è un dialetto, ma una lingua vera e propria): e nell’incontro di questi due estremi, la gravità e l’autocontrollo del Nord e la calda espansività del Sud, sta il segreto della sua anima e la spiegazione delle sue molte, apparenti contraddizioni, che tanto sconcertano gli altri Italiani.

Tuttavia, c’è un altro aspetto del carattere friulano che ne costituisce un tratto fondamentale, benché, a uno sguardo superficiale, possa forse sfuggire: la malinconia. Questo realista, quest’uomo concreto, quest’uomo tutto d’un pezzo, è profondamente malato di malinconia: una malinconia struggente, simile a quella dei popoli dell’Europa settentrionale e che si riflette nell’opera di pensatori e scrittori come Kierkegaard, Ibsen, Strindberg. Pur essendo pieno di energia e di forza morale, in fondo, il Friulano si sente un vinto, proprio nel senso verghiano del termine: un vinto dalla vita. Sa che la vita umana è una cosa fragile e non s’illude, non indulge a sogni ad occhi aperti, non coltiva speranze illusorie. Egli è forte nel sopportare, più che nell’agire: ci è abituato, perché la storia è stata rude con lui, non gli ha mai regalato nulla e raramente lo ha trattato con dolcezza; il più delle volte, lo ha cresciuto con mano severa alla scuola della vita. Fin da bambino, egli sa quali sono le sue responsabilità: verso la famiglia, verso i compaesani, verso gli uomini tutti — e, naturalmente, verso Dio. Perché anche le sue bestemmie, come è stato osservato, non sono che la maniera primitiva, sgraziata, quasi straziante, di pregare un Dio che sovente pare non ascoltarlo, che gli sembra troppo impegnato in altre faccende per prendersi cura di lui.

Bindo Chiurlo, il notevole studioso di lingua e letteratura friulana (nato a Cassacco, in provincia di Udine, il 13 ottobre 1886 e morto a Torino il 24 dicembre 1943, la vigilia di Natale), ha tracciato un ritratto partecipe, ma sostanzialmente obiettivo, dell’anima del suo popolo, che qui ci piace riportare quasi integralmente (da: B. Chiurlo, «La letteratura ladina del Friuli», Udine, Libreria Carducci Editrice, 1922, pp. 9-12):

«E il friulano fu, come il suo corpo, massiccio di coscienza e d’intelletto, amantissimo del lavoro e dell’economia, sano, normale, ma non agile, non fiorito nelle parole e nei modi: onde i non amichevoli scherni dei Veneti circonvicini, svelti ed arguti, molli e voluttuosi. da Rovigo a Trieste, e la parola "furlan" rimasta, presso di essi, sinonimo di pervicacia e di rozzezza. Ma invece di quelle grazie ed agilità che hanno la loro più ingenua espressione nel mirabile dialetto delle lagune, il friulano ha chiuse in sé alcune virtù veramente "classiche":  prima l’equilibrio tra la ragione e il sentimento, tra l’egoismo e l’altruismo, tra l’ottimismo e il pessimismo.

L’idealista puro è compreso, l’uomo fantastico, immoderato è scusato, ma né l’uno né l’altro sono ammirati in Friuli: "uomo ideale" è colui che si basa sulla realtà, che non si lascia andare ad esagerazioni, che non si perde in frasche: L’"omp pusitîv", l’uomo che quando ha dato una parola la mantiene, che presenta le cose onestamente, senza sottintesi, scherzi od inganni; l’"omp reâl", l’uomo che si presenta, e presenta la sua merce, com’è in realtà. "Realtà" insomma sempre e soprattutto; nell’interesse proprio e nell’interesse degli altri. Da ciò quel connubio, che può anche parer strano, di amore alla "pulchra utilitas" esaltata negli statuti pordenonesi, e di bella sincerità ed onestà: e, ancora, quella trascuranza delle "forme", quel non curarsi delle apparenze, che è dato dalla certezza della sostanza; quella rudezza un po’ primitiva anche nelle persone più colte e d’ingegno, quella mancanza di "savoir fare", quella "gaucherie" fisica e morale, che rende in diversi ambienti antipatica o, peggio, sospetta, la sincerità friulana, sembrando essa, a genti più destre, in contrasto colla solidità, col buon senso, coll’equilibrio della psiche nostra. Che se talvolta, per bontà o per rispetto, il friulano s’induce a smussare gli angoli della sua franca parola, rimane tosto punito nel suo tentativo, ché il discorso gli esce di bocca ineguale, contraddittorio, o malamente imbellettato di dolcezza.

E come difetta in Friuli l’uomo smarrito nelle regioni dell’impossibile, della passione inconsiderata, e, del pari, l’uomo leggero, agile, sapiente nelle cerimonie e nelle forme, così gl’ingegni son prevalentemente seri e sodi; penetranti, ma non vibranti e brillanti; fatti più per la scienza e per i negozi che per l’arte; e, nell’ambito dell’arte, più per le espressioni del proprio mondo psichico che per quello degli altri, che esige maggiore intuizione e più calda "forza espansiva".

La mentalità friulana è "schematica, sostanziale" (Costantini): le mancano le articolazioni, le fioriture; le manca la grazia e la leggerezza del concepire, che ride dalle "tavole" e dalle "carte" venete e fiorentine. E pure con tutto ciò, anzi appunto per ciò, il lettore mi crederà quando io dirò che il friulano è, in fondo, un sentimentale: l’onestà, la serietà, l’incapacità di sacrificare la sostanza alle apparenze non possono essere alimentate che da un’intima fonte, la quale è in lui celata, quasi pudibonda. Ha paura di sembrare "romantico", "sentimentale": sembra, in fondo, più di quel che non sia, un popolo "classico".

Appunto per questo ama esplodere di tanto in tanto in grosse manifestazioni di giocondità, che solo un ingenuo potrebbe confondere  cola grassa vitalità bolognese,  colla fine festività veneziana,  o col’indole spensieratamente festaiola di altre regioni; là dove sono un modo violento di costringersi allo svago, di dimenticare per qualche ora la vita di ogni giorno, che, come abbiam detto, in Friuli un tempo non era lieta. Tipiche le "sagre", qui più fitte, vivaci, sentite che altrove, e con tanto fervore cantate dai nostri poeti: vere oasi di giocondità in mezzo a una vita seria e laboriosa, le quali vanno ormai perdendo il loro carattere, appunto perché le condizioni economiche del popolo son venute facendosi più uniformemente prospere, o sopportabili almeno. Così si spiega anche un altro fenomeno apparentemente strano: che il contadino friulano, fra i più parchi d’Italia, sia anche uno di quelli che consumano, o consumavano, più vino: nelle sagre appunto e nelle attese domeniche che dàn tregua all’assidua fatica.

In tal modo l’equilibrio intellettuale e il senso pratico, la psiche sostanziale e incapace di fioriture, la moderazione intima dell’animo, che paiono ereditate dal temperamento romano, mi mescolano nel carattere di questo popolo con quell’onestà a base di buona fede, con quella sentimentalità in tono minore, profonda e raccolta, con quell’alternare di giocondità e di serietà, che sono così spiccati nei popoli del Nord, e gli danno un’impronta tutta sua, la quale spiega, meglio di qualsiasi altra ragione, l’amore del friulano per la sua terra, amore che non è gretto spirito di campanile, e pure va oltre il solito affetto al luogo natio.

E quando emigra, l’operaio nostro sente profonda la nostalgia della "patria" e della "friulanità", anche se, e forse quanto più questa, lontano dai fuochi domestici, vien lentamente ma inesorabilmente minata…»

Come rileva lo stesso Chiurlo, già quando furono scritte queste osservazioni, al principio degli anni ’20 del secolo scorso, i tratti specifici del carattere friulano cominciavano ad alterarsi, così come la sua parlata. La lingua friulana, ancora diffusa nei borghi di Udine, ora è pressoché scomparsa, sostituita da un ibrido dialetto d’importazione veneziana; resiste ancora soprattutto in provincia, ma è sottoposta a una pressione crescente, sia da parte del dialetto veneto, soprattutto nella provincia di Pordenone, sia da parte dell’italiano, specie attraverso la televisione; e, negli ultimi anni, perfino da parte dell’inglese (la cantante Elisa, nata a Trieste ma da famiglia di Monfalcone, e residente a Gradisca d’Isonzo, ha scelto di cantare in lingua inglese diversi brani). Si va verso il villaggio globale, piaccia o non piaccia; e i tratti specifici delle realtà locali vanno sparendo, così come sono sparite le rogge di Udine, come stanno sparendo le vecchie osterie, come si è pian piano dissolta, forse, l’anima del vecchio Friuli, sotto i terribili colpi del duplice terremoto, del maggio e del settembre 1976. O forse no. Forse il carattere d’un popolo fiero è indistruttibile, nonostante tutto…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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