
Che significato hanno i miracoli di Gesù
28 Luglio 2015
Oltre il secolarismo, per salvare quel che resta della nostra civiltà
28 Luglio 2015I cristiani moderni, a partire da un certo momento, e specialmente a partire dal sesto decennio del XX secolo, hanno incominciato ad essere inquieti, impazienti, quasi smaniosi di mettersi al passo con il mondo moderno, di farsi "perdonare" un loro supposto ritardo, di allinearsi sulle posizioni razionaliste, scientiste, tendenzialmente materialiste, della cultura contemporanea, dominata dalla tecnica e dalla ragione calcolante e strumentale.
I cristiani dei primi tempi della Chiesa non solo non avevano alcun complesso d’inferiorità nei confronti del "mondo", della cultura pagana, della dimensione terrena, ma, al contrario, erano ben coscienti del fatto di essere portatori di una concezione e di una pratica di vita radicalmente alternative a quelli: sapevano di essere in guerra col mondo, naturalmente in senso figurato, e non erano disposti ad alcun compromesso, se necessario anche a costo della vita.
Sono parecchie, e non una sola, le ragioni storiche che hanno determinato un così grande cambiamento di prospettiva e di mentalità; in pratica, però, sono tutte riconducibili a un motivo di fondo: la patria vera, per il cristiano, non è di questo mondo, ed egli ha nostalgia della patria celeste: la vita terrena, per lui, è solo un passaggio — che possiede, senza dubbio, un valore intrinseco, e che rappresenta un bene prezioso, ma non ha, in alcun modo, un valore assoluto, se non altro perché essa è labile e transitoria, e dovrà avere una fine. Il cristiano non si attacca eccessivamente a ciò che è destinato a finire; ama le cose belle e buone di questo mondo, ma senza mai assolutizzarle; non le scambia per dei beni perenni, sa che sono fugaci; le apprezza, ne gioisce, ma procede oltre: cera di scorgere, in esse, un barlume dell’assoluto e dell’eterno. Le attraversa come se fossero dei ponti che gli vengono gettati verso la Verità: sa che non deve indugiare troppo su di essi, perché il loro scopo è quello di aiutarlo a transitare al di là.
Ora, il cristiano dei tempi moderni (non c’è un "cristiano moderno": c’è il cristianesimo, e ci sono coloro che seguono il Vangelo, scavalcando i secoli e i millenni) è un essere umano che, sovente, si è lasciato penetrare dallo spirito della modernità: spirito laicista, secolarizzato, immanentista, impregnato di idee e "valori" come i diritti naturali, il liberalismo, il democraticismo, il socialismo, il pragmatismo, l’utilitarismo, il tecnicismo, l’economicismo; e che, a partire da una tale prospettiva, pretende magari di "rivisitare" le verità eterne del Vangelo, "attualizzandole", come se avesse paura di apparire poco evoluto, poco aperto, poco al passo coi tempi e come se avesse scoperto, chi sa come, che le generazioni dei credenti che l’hanno preceduto sbagliavano, perché mettevano troppo l’accento sul bene e sul male, sul vero e sul falso, sul giusto e sull’ingiusto, su ciò che piace a Dio e ciò che a Lui dispiace; mentre essi preferiscono un cristianesimo relativizzato, in sintonia con il relativismo della società laica, dove quello che importa è il "secondo me", "secondo la mia coscienza", e non secondo la legge di Dio.
In uno scritto che risale, probabilmente, al 1656-57, ma che venne pubblicato soltanto più di un secolo dopo, nel 1779, intitolato «Raffronto tra i cristiani dei primi tempi e quelli di oggi», il grande filosofo e matematico Blaise Pascal, che vi svolgeva una serie di riflessioni in merito alla specifica e delicata questione del battesimo ai bambini, ci offre di che meditare anche su d’una questione di portata più generale: su quali fossero le qualità richieste al cristiano dei primi tempi, e quali siano quelle ritenute sufficienti dai cristiani dei tempi moderni.
Il fatto che Pascal scrivesse poco meno di tre secoli fa non significa che le sue parole non siano di estrema attualità per noi, cittadini del terzo millennio: è facile accorgersi, infatti, che il discorso di Pascal, benché rivolto ai suoi contemporanei, non ha perso niente della sua pregnanza; al contrario, è più che mai significativo per noi, dal momento che la nostra distanza rispetto alla disposizione di spirito dei membri della Chiesa nascente è ulteriormente aumentata, fino a raggiungere dimensioni tali, da far dubitare, almeno in certi casi, che si tratti ancora della stessa Chiesa, che si tratti ancora della medesima religione.
Scriveva, dunque, Pascal, nel suo «Comparaison des Chrétiensdes premiers temps avec ceux d’aujord’hui», un tempo considerato come parte dei celebri «Pensées», oggi, invece, assemblato agli «Opuscules», d’ispirazione scientifica e morale (da: Blaise Pascal, «Oeuvres complètes», Parigi, Bibliothèque de la Pléiade, 1954; citato in: Luigi Rusca, "Il breviario dei laici", Milano, Rizzoli, 1957, 1990, vol. 2, pp. 873-874):
«Non esistevano, quando nacque la Chiesa, che dei cristiani perfettamente istruiti su tutto quanto è necessario alla salvezza: mentre si nota oggi una ignoranza così grossolana che fa gemere tutti coloro che nutrono sentimenti di tenerezza per la Chiesa.
Non si entrava a far parte della Chiesa, allora, che dopo grandi fatiche e lunghe attese: vi si arriva, oggi, senza travaglio, senza cura e senza fatica.
Non vi si era ammessi che dopo un esame molto rigoroso: vi si è ricevuti oggi prima che si sia in condizione d’essere esaminati.
Non vi si era ammessi allora se non dopo aver abiurato la propria vita passata, dopo aver rinunciato al mondo, alla carne e al diavolo: vi si entra oggi prima di essere in grado di fare alcuna di tali cose.
Infine bisognava allora uscire dal mondo per essere ricevuti nella Chiesa: mentre si entra oggi nella Chiesa contemporaneamente all’ingresso nel mondo.
Risultava allora, con tale procedimento, una distinzione essenziale fra il mondo e la Chiesa. Venivano considerati come due contrari, come due nemici inconciliabili, di cui l’uno perseguita l’altro senza posa, e di cui quello che appare più debole deve un giorno trionfare del più forte. Sì che di questi due partiti contrari si abbandonava l’uno per entrar nell’altro; si abbandonavano le regole dell’uno per seguire quelle dell’altro; ci si svestiva elle passioni dell’uno per rivestire quelle dell’altro. In altre parole, si lasciava, si rinunciava, si abiurava quel mondo nel quale si aveva ricevuta la propria prima nascita, per dedicarsi totalmente alla Chiesa ove si acquistava come una seconda nascita: così si riconosceva una differenza incolmabile fra l’uno e l’altra, mentre oggi ci si trova quasi ad ogni istante e nell’uno e nell’altra; e lo stesso istante che ci fa nascere nel mondo, ci fa rinascere nella Chiesa. In modo che quando arriva la ragione essa non distingue più fra questi due mondi tanto contrari. Essa cresce nell’uno e nell’altro tutt’assieme. Si frequentano i sacramenti e si gode dei piaceri di questo mondo. Così, mentre un tempo si notava una distinzione essenziale fra l’uno e l’altra, appaiono oggi confusi e mescolati in modo che non discernono quasi più.
Da ciò deriva che un tempo non si notavano fra i cristiani che persone molto istruite; oggi esse sono di un’ignoranza che fa orrore. Da ciò deriva che altre volte quelli che erano stati rigenerati dal battesimo e che avevano abbandonato i vizi di questo mondo per dedicarsi alla pietà nella Chiesa ricascavano ben raramente dalla Chiesa nel mondo; mentre oggi non accade nulla di più consueto del vedere i vizi del mondo nel cuore dei cristiani.
La Chiesa dei santi è tutta lordata dalla promiscuità dei malvagi; e i figli che essa ha concepito e portato nei propri fianchi fin dall’infanzia, sono gli stessi che portano nel proprio cuore, cioè fino nella partecipazione degli augusti misteri, il più crudele dei nemici della Chiesa, cioè lo spirito del mondo, lo spirito di ambizione, lo spirito di vendetta, lo spirito di impurità, lo spirito di concupiscenza. E l’amore che essa ha per i propri figli l’obbliga ad ammettere fin nel proprio seno il più crudele dei persecutori.
M;a non è alla Chiesa che si devono imputare i mali che hanno fatto seguito al mutamento di una disciplina così salutare, perché avendo essa notato che ritardare il battesimo lasciava un gran numero di giovani nella maledizione di Adamo, ha voluto liberarli da questa macchia di perdizione, affrettando il soccorso che essa dà loro. E questa buona madre vede con immenso dolore che ciò che ha creato per la salvezza dei giovani diviene l”occasione della perdita degli adulti.
Il vero spirito della Chiesa è che coloro che essa preserva in età tanto tenera dal contagio del mondo debbano acquisire sentimenti del tutto opposti a quelli del mondo. Essa previene l’uso della ragione per prevenire i vizi verso cui la ragione corrotta li trascinerebbe; e prima che il loro spirito possa agire, essa li riempie del proprio spirito, in modo che vivano nell’ignoranza del mondo ed in uno stato tanto più lontano dal vizio in quanto non lo avrebbero mai conosciuto.»
Certo, questo è un linguaggio che a molti, e specialmente ai cristiani che si ritengono "progrediti" e si atteggiano a "moderni", difficilmente può piacere: è troppo duro per i loro orecchi, ed essi lo attribuiscono, e quasi lo scusano, parlando dello zelo eccessivo di Pascal ed evidenziando che il cristiano "adulto" deve passare dal conflitto con il mondo al "dialogo" e all’apertura verso di esso.
Evidentemente, si sono dimenticati che cosa si dice nella formula del battesimo: che il cristiano si impegna a rinunciare a Satana e alle seduzioni del mondo: «Dio onnipotente, tu ha mandato il tuo unico Figlio per dare all’uomo, schiavo del peccato, la libertà dei tuoi figli; umilmente ti preghiamo per questo bambino, che fra le seduzioni del mondo dovrà lottare contro lo spirito del male: per la potenza della morte e della resurrezione del tuo Figlio, liberalo dal potere delle tenebre, rendilo forte con la grazia di Cristo, e proteggilo sempre nel cammino della vita».
Il cristiano, dunque, nell’atto di entrare a far parte della Chiesa dei credenti, sa che nel mondo vi sono le seduzioni del Demonio, e chiede l’aiuto di Dio per sottrarsi ad esse e per combatterle: egli non pensa che il mondo sia il Diavolo, o che appartenga al Diavolo (questo lo pensava Lutero e lo pensavano, prima di lui, i manichei), perché questa sarebbe una bestemmia nei confronti della creazione, cioè dell’opera divina; però sa che nel mondo si annidano le tentazioni e le opere del Diavolo, e che sarebbe folle, e pericolosissimo, ignorare tali trabocchetti. Sa, in particolare, che ciò che piace allo spirito del mondo non piace a Dio, e viceversa: sa che non si possono servire entrambi, o l’uno o l’altro, bisogna fare una scelta, che si rinnova ogni giorno, ogni ora.
È strano, a dire poco, che tanti cristiani d’oggi, tanti teologi e perfino tanti membri del clero cattolico, fino ai più alti livelli, parlino ormai così poco del male, del peccato, del Diavolo; che non parlino più dello "spirito del mondo"; che presentino il mondo e il regno di Dio come due realtà perfettamente compatibili, rispetto alle quali è possibile, se non addirittura auspicabile, possedere come una sorta di doppia cittadinanza: quella del mondo per la vita spicciola, per le scelte pratiche, quella celeste per la vita futura, che, in fin dei conti, non ci riguarda, perché non dipende da noi. È strano, perché si direbbe che tutti costoro abbiamo completamente smarrito il senso dell’identità cristiana e la radicale alterità, l’opposizione inconciliabile che esiste fra lo spirito cristiano, che si nutre dell’amore di carità, e lo spirito del mondo, che è fatto di egoismo, superbia, violenza e cupidigia.
Grande mente e nobilissimo spirito di Blaise Pascal. Il geniale filosofo francese vedeva bene, con la sua profonda umiltà spirituale, ciò che molti cristiani dei tempi moderni hanno perso di vista, o addirittura dimenticato, pur con tutta la loro supposta intelligenza, o forse, piuttosto, proprio a causa di essa: ossia che, se lo spirito del mondo arriva a penetrare e ad insediarsi nel cuore stesso della fede, per questa è finita, l’anima muore al cristianesimo e ciò che resta è un cadavere che può avere ancora le apparenze d’un organismo vivo, ma è una forza diabolica quella che le conferisce tali apparenze, non certo l’autentico spirito del Vangelo.
Lo spirito del mondo, infatti — ce lo insegna la vicenda esemplare del Peccato originale — è, in primo luogo, spirito di superbia: è la pretesa dell’uomo di poter comprendere sino in fondo i disegni di Dio, e di farsi giudice lui stesso, al posto di Dio, di ciò che è bene e di ciò che è male. Tale spirito non è di origine umana, ma è d’ispirazione diabolica: e ce lo insegna, anche questa volta, la vicenda esemplare del Peccato originale. Perciò, bisogna diffidare di quei "cristiani" che parlano, scrivono e predicano, come se fosse intervenuta una specie di tregua, o addirittura come se fosse scoppiata la pace, fra il Regno di Dio e lo spirito del mondo. Essi credono di parlare a nome di Dio, ma forse le cose stanno altrimenti: forse, ad ispirarli, è una presenza che non viene dall’Alto, ma dal Basso…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI