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F. W. Raiffeisen e L. Wollemborg, nascita delle Casse di credito sociale

Le casse rurali, o banche di credito cooperativo, sorgono intorno alla metà dell’Ottocento per iniziativa di un borgomastro tedesco, F. W. Raiffeisen (il cui nome è stato conservato per le casse dell’Alto Adige), con una duplice motivazione, socio-economica ed etico-religiosa, riassumibili nelle due idee cardine del localismo e della solidarietà cristiana.

In buona sostanza, si voleva combattere il processo d’impoverimento del ceto rurale medio-piccolo, fenomeno dovuto agli effetti della Rivoluzione industriale da un lato, dall’altro alla concorrenza dei cereali e degli altri prodotti agricoli nordamericani, che stavano spingendo all’emigrazione milioni di contadini i quali, per mancanza di capitali, non erano riusciti a valorizzare la propria terra in misura tale da reggere agli effetti della crisi.

Ancora verso la fine del XVIII secolo, almeno l’ottanta per cento della popolazione lavorativa europea era impegnata nel settore primario, da cui veniva la maggior parte del reddito delle singole nazioni; un secolo dopo, la percentuale era scesa intorno alla metà (in Italia, nel 1900, si calcola che fosse intorno al 60%), mentre oggi è scesa addirittura al di sotto del 5%, in tutti i Paesi dell’Europa occidentale (in Italia, al 3,8%). Accanto alla formazione, disordinata e drammatica, della nuova classe operaia, pertanto, nella seconda metà del XIX secolo si assisteva ad una crisi senza precedenti della "vecchio" ceto agrario, che aveva rappresentato, per secoli, la spina dorsale della società e dell’economia del nostro continente, e che era stato più a lungo depositario dei valori tradizionali, a cominciare da quelli religiosi (mentre con l’urbanesimo si era via via manifestato il fenomeno della secolarizzazione e, infine, di una latente o esplicita scristianizzazione). E la Chiesa cattolica, specie dopo la "Rerum novarum" di Leone XIII (1891), fece sentire la sua voce a favore dell’associazionismo cattolico, proprio nella prospettiva di contrastare la crescente laicizzazione, mediante una serie di iniziative cooperativistiche e solidaristiche miranti a rafforzare il ceto dei piccoli proprietari rurali, oltre che mediante l’organizzazione delle prime leghe e associazioni sindacali del ceto operaio (sul quale, però, la presa della religione era divenuta sempre più debole e, in molti casi, si era pressoché dissolta).

Le società cooperative per azioni avevano lo scopo di costituire un capitale sociale per sostenere i piccoli proprietari bisognosi di liquidità per pagare i debiti o per acquistare la terra o gli strumenti del lavoro agricolo, in modo da reggere la concorrenza con le grandi aziende e di salvarsi dalla prospettiva dell’insolvenza e del sociologo Giuseppe Toniolo, per esempio, o dei sacerdoti fratelli Scotton di Breganze, sia l’emigrazione che l’inurbamento equivalevano alla perdita delle radici religiose e alla progressiva secolarizzazione del tessuto familiare. Pertanto era necessario offrire capitali in prestito a tassi d’interesse contenuti, ciò che le banche ordinarie non erano disposte a fare, per non parlare dell’azione funesta degli strozzini e degli usurai, sempre pronti ad approfittare delle difficoltà economiche delle famiglie contadine. Una o due annate cattive potevano significare, per dei piccoli proprietario o dei fittavoli, un disastro irreparabile, se non si riusciva a individuare nessuno che fosse disposto ad anticipare un capitale anche minimo, ma sufficiente a salvare il destino di una intera comunità familiare — e stiamo parlando delle famiglie patriarcali allargate, formate da una ventina, da una trentina, o anche più, di persone.

Scrive Aldo Benetti ne volume «Campodarsego e le sue comunità» (Edito a cura della Cassa Rurale ed Artigiana di Campodarsego e S. Martino di Lupari, Padova, 1979, pp. 289-293):

«La cooperazione di credito, sorta per soddisfare le esigente vitali di una ben definita classe sociale, ebbe la sua enunciazione teorica e le sue prime realizzazioni pratiche in Germania, intorno alla metà del secolo XIX, ad opera del borgomastro Friedrich Wilhelm Raiffeisen. […] Il suo apostolato sociale si concretizzava nel 1849 con la costituzione della "Società di mutuo soccorso di Flammersfeld per l’assistenza agli agricoltori sprovvisti di mezzi" e trovava il suo apice nel maggio 1854 con la fondazione della "Cassa Sociale di Credito di Heddesdorf", la prima Cassa Rurale.

In questi anni anche Hermann Schulze Delitzsch incominciava ad interessarsi di cooperazione creditizia. Il metodo operativo però si differenziava di gran lunga. Mentre lo Schulze Deltzsch dava vita a vere e proprie banche orientate a sostenere i ceti medi urbani, il Raiffeisen faceva appello allo spirito di solidarietà delle popolazioni rurali per emancipare le umili classi contadine tramite le "Casse Sociali di Credito", che trovavano nella mutualità il principio della loro gestione. Da questa scoperta è nato un nuovo modo di fare credito. Il tenace divulgatore delle prime forme di cooperazione creditizia riuscì a fondare molte altre Case, ma soprattutto volle illustrare nel suo libro "Le Casse Sociali di Credito come mezzo per liberare dal bisogno la popolazione rurale nonché gli artigiani e gli operai urbani" i suoi concetti fondamentali sull’aiuto cooperativo, che oggi sono entrati a far parte del patrimonio culturale di tutti i paesi civili. […]

Le iniziative del movimento cooperativo nel settore del credito che si diffusero successivamente in Italia, come del resto negli altri paesi europei, sono indissolubilmente legate all’insegnamento e all’azione di Raiffeisen. […] Il pioniere di questa vasta e generosa impresa fu Leone Wollemborg, economista, uomo politico e studioso di problemi sociali, che il 20 giugno 1883 fondò la prima Cassa Rurale d’Italia a Loreggia. Leone Wollemborg nacque a Padova il 4 marzo 1859 dove, compiuti gli studi umanitari, si laureò. Trasferitosi a Loreggia, pur non trascurando la sua preparazione e l’aggiornamento su quanto di nuovo andava maturando a livello politico in Europa, incominciò ben presto ad interessarsi di problemi della popolazione locale, angustiata dalla scarsità di capitali in un momento in cui ve ne era impellente necessità, cercando di scoprire i rimedi e i mezzi più efficaci per modificare una situazione diventata intollerabile. Traendo appunto ispirazione da quanto era stato sperimentato in Germania, realizzò quell’Istituzione che doveva fare del credito uno strumento di liberazione; ne sollecitò la costituzione di altre e ne tracciò le prime direttrici: DOVEVANO ESSERE SOCIETÀ COOPERATIVE TRA PICCOLI PROPRIETARI E AFFITTUARI DI UNA DETERMINATA ZONA, COINCIDENTE IN GENERE CON IL TERRITORIO COMUNALE, ABILITATE ALLA RACCOLTA DEL RISPARMIO E ALL’ESERCIZIO DEL CREDITO AGRARIO A FAVORE DEI SOCI.

Eletto deputato e quindi senatore, partecipò sempre attivamente ai lavori del parlamento in materia economico-finanziaria portando avanti con fermezza le sue idee, anche se in contrasto con l’opinione dominante. Nel 1901 fu ministro delle finanze, ma non volendo modificare il suo progetto di riforma tributaria giudicato troppo ardito, diede le dimissioni. Fondò e diresse per molti anni il periodico la "Cooperazione rurale" che oltre a essere di appoggio e sostegno alle prime Casse Rurali, ha visto gli entusiasmi anche degli studiosi stranieri, come testimonia una "Lettera di Padre Ludovico di Besse sulle Casse Rurali di Loreggia e Pedemontane" e "Un’escursione di studio alle Casse Rurali di Vigonovo, Abano e Loreggia" di E. Rostand. "La grandezza del principio della cooperazione non si desume dagli affari compiuti e dal loro ammontare, ma dai risultati morali ottenuti", scriveva in uno di questi periodici il promotore del movimento, concentrando in poche parole quanto di più elevato ci fosse nella solidarietà. Nella diffusione delle istituzioni di credito cooperativo Wollemborg trovò un valido appoggio nell’opera convinta e assidua del sacerdote d. Luigi Cerrutti e nell’azione umile, ma entusiasta ed efficace, dei parroci di tanti piccoli centri rurali, i quali, ben conoscevano le enormi difficoltà che incontravano gli agricoltori nella ricerca del credito per far fronte ai bisogni aziendali o familiari. Un impulso deciso all’intero movimento si ebbe nel 1891 con la promulgazione dell’enciclica di Leone XIII "Rerum Novarum", nella quale la problematica sociale ed economica è affrontata in termini completamente nuovi.

Altro assertore della causa delle Casse Rurali fu Giuseppe Toniolo che, usando una sua affermazione tipica, giudicava indispensabili alla formazione di "un ceto di campagnoli vigorosi, indipendenti, costumati e gelosi custodi della fede dei loro padri" (Toniolo, "Opera omnia", V, I, 489). Al Congresso Internazionale poi delle Casse Rurali ed operaie, tenutosi a Parigi nel 1900, sempre il Toniolo ribadiva i compiti operativi di queste cooperative, puntualizzando che lo sviluppo del credito doveva rispondere ad un disegno unitario, colto al "comune beneficio". "Trattasi — egli affermava — di emancipare la classe intera dei meno favoriti economicamente dalla pressione dei capitalisti e dalle fluttuazioni della borsa mercé un capitale collettivo di spettanza della classe stessa, il quale circoli di continuo fra le mani attive e parsimoniose dei cooperatori, cosicché il tenue interesse che esce dalla borsa del sovvenuto rientri tosto nella cassa dei consociati ad incrementare il patrimonio comune" (Toniolo, cit., V, 518). Con questi presupposti le Casse Rurali in pochi anni si moltiplicarono a vista d’occhio: nel 1897 ne esistevano già 904. La maggiore densità numerica si registrava nel Veneto; seguivano poi le altre regioni d’Italia settentrionale, quindi le regioni centrali ed infine le regioni d’Italia meridionale.»

In Italia, dunque, fu Leone Wollemborg il primo a introdurre il nuovo modello delle casse rurali di credito cooperativo, sull’esempio di Raiffeisen: per l’esattezza a Loreggia, in provincia di Padova (ma ai confini con la provincia di Treviso), nel 1883; sette anni dopo, a Gambarare, in provincia di Venezia, un prete, don Luigi Cerutti, fondava la prima cassa rurale italiana che si rifacesse in maniera esplicita alla dottrina sociale della Chiesa cattolica.

Si trattò di una esperienza tumultuosa, entusiasmante, che aprì margini di speranza per un ceto sociale in grave difficoltà e che mostrò la propria vitalità mediante una rapidissima espansione: nel 1897 le casse rurali presenti in Italia erano già più di novecento, con una netta prevalenza nel Veneto. Come si è detto, la Chiesa incoraggiò queste esperienze attraverso l’azione coraggiosa di numerosi parroci, in concorrenza con le attività similari sviluppate, ma nella prospettiva della lotta di classe, dal movimento socialista: il quale, del resto, faceva molti più seguaci fra i braccianti senza terra e i contadini più poveri, mentre il movimento cattolico, fra la piccola e media borghesia rurale, impegnata a lottare per conservare la propria terra e, quindi, niente affatto sedotta dalla prospettiva del comunismo, che avrebbe significato la fine della proprietà privata (ed è ben questa la ragione per cui, in Unione Sovietica, si sarebbe arrivati, con Stalin, alla drastica decisione del potere comunista di eliminare fisicamente la classe dei piccoli proprietari terrieri, i "kulaki", fra il secondo e il terzo decennio del Novecento).

Ripensando a quei tempi avventurosi e a quelle iniziative pionieristiche, sorrette solo da tanto entusiasmo e buona volontà, e quasi sprovviste di capitali iniziali, oltre che di appoggi politici, e facendo un confronto con la realtà sociale odierna, pur in un quadro di riferimento generale così radicalmente mutato, non si può non restare colpiti dal fatto che, ai nostri giorni, non solo figure come quelle di Raiffeisen, di Wollemborg, di Toniolo o di don Cerutti sono ormai semplicemente impensabili, ma anche, e soprattutto, dal fatto che, al netto della retorica di tanti partiti e uomini politici, che si ricordano dei problemi della piccola borghesia e delle famiglie solo al momento di chiederne il voto, per poi subito scordarsi le promesse fatte ed i solenni impegni presi, sembra che si sia perduto perfino l’orizzonte di speranza entro il quale immaginare un modello sociale ed economico alternativo a quello della globalizzazione neocapitalista, dominata dal grande potere finanziario internazionale, ormai padrone incontrastato di tutte le regole del mercato e, quindi, capace d’imporre la sua volontà e di realizzare i suoi smisurati e fraudolenti profitti non solo alle classi sociali, a cominciare dalle più deboli, ma anche alle nazioni e agli stati, e non solo a quelli più arretrati e impotenti del Sud della Terra, ma anche alle maggiori potenze industrializzate.

In altre parole: se, ancora al principio del XX secolo, esistevano sia gli uomini, sia le idee, per fronteggiare, o, almeno, per pensare realisticamente di fronteggiare l’emergenza economica che stava attanagliando il vecchio ceto della piccola borghesia contadina — presidio dei valori morali che avevano assicurato la continuità spirituale da una generazione all’altra, per secoli e secoli — oggi non si vedono all’orizzonte né gli uomini, né le idee, per fronteggiare la crisi attuale, e neppure un credibile orizzonte di speranza. E quella che era la crisi di una parte del tessuto sociale, e sia pure quella materialmente e idealmente più importante, oggi è diventata una crisi generalizzata, che impoverisce tutti i ceti e toglie la speranza soprattutto ai giovani, mentre la speculazione finanziaria celebra i suoi tenebrosi trionfi, in nome di quella pestilenza morale che Pound definiva "usura"…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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