Saranno ricordati come i giorni della vergogna
31 Ottobre 2021Custos, quid de nocte?
1 Novembre 2021La storia è il divenire delle società umane, e sarebbe ridicolo pensare che non abbia dei costi che qualcuno deve pagare, se non nell’immediato, sul medio e sul lungo periodo. Ogni volta che il movimento della storia accelera, per una ragione o per l’altra; ogni volta che una nuova scoperta scientifica, una nuova applicazione tecnologica, una nuova politica di potenza di questo o quello stato, una nuova manovra speculativa delle grandi forze finanziarie o una nuova grande idea infiamma il mondo, e mette in movimento milioni di perone, magari partendo da inizi modestissimi, si creano delle pressioni, delle torsioni, delle rivoluzioni e delle involuzioni della vita sociale, il cui contraccolpo genera vantaggi su un certo lato e per alcuni, sofferenze morali e materiali per altri, e su un altro piano della realtà. È impossibile pensare la storia senza questo bagaglio continuo di sofferenze che qualcuno deve pagare: anche nelle condizioni migliori, e cioè quando la società evolve secondo un proprio ritmo naturale e a misura d’uomo, possibilmente animata da una visione spirituale che aiuti i suoi membri ad affrontare sacrifici e difficoltà senza disperare; ma soprattutto nei periodi peggiori, quando forze oscure, quelle della grande usura, insinuano i loro tentacoli velenosi e spingono la società verso il disordine, perché solo nel disordine esse possono crescere e prosperare, moltiplicando i loro profitti. Quale meraviglia, ad esempio, se uno studio dei movimenti finanziari di questi ultimi anni mostra chiaramente che quelle forze oscure avevano da tempo "scommesso" su una evento catastrofico e investito i loro capitali in fondi appositamente studiati per trasformare una grande sciagura collettiva in una formidabile occasione di arricchimento speculativo. In generale, la storia moderna, dominata dalla tecnologia, dall’ideologia del progresso e da élite materialiste ed atee, interessate solo al lato utilitaristico delle questioni, ha riservato alle popolazioni maggiori sofferenze di quante ne avessero sofferte, in proporzione, nei secoli precedenti. Ma certo: sappiamo cosa ci obietteranno i soliti, inossidabili lodatori dell’illuminismo: che la modernità ha portato più medicinali, più lavoro, in definitiva più movimento sociale e più benessere dei "secoli bui". Questione di punti di vista: chi dà maggiore importanza al lato spirituale della vita considera migliore una società nella quale c’è il senso del peccato e della grazia, peggiore una nella quale ci sono la lampadina elettrica e i vaccini, ma non c’è più il senso religioso della vita, né il minimo timor di Dio.
In ogni caso, tanto nelle epoche di rapida evoluzione storica, quanto in quelle di evoluzione più lenta e spontanea, esiste sempre un fattore che si chiama sofferenza, e che gli esseri umani devono pagare in misura maggiore o minore per il solo fatto di esistere, di vivere in società, di appartenere a comunità che sono attraversate da mille spinte, interne ed esterne, nessuna delle quali è mai del tutto indolore, perché ogni trasformazione del sistema di vita implica uno strappo, a volte più dolce a volte traumatico, fra il vecchio e il nuovo, e a pagare i costi sono, ovviamente, i più deboli. A pagare i costi maggiori della Rivoluzione industriale del XVII-XIX secolo, ad esempio, sono stati senza dubbio gli operai e i minatori, ex contadini impoveriti ed espulsi in maniera traumatica dalle campagne per inurbarsi selvaggiamente, insieme alle loro disgraziate famiglie, ridotti a vivere e a lavorare in condizioni pressoché bestiali, senza alcuna protezione legale e nel più totale abbandono morale e giuridico, per non dire dell’aperta indifferenza di quanti, invece, traevano cospicui benefici nel passaggio dalla produzione artigianale a quella di fabbrica. E ricordiamo che per i luddisti che danneggiavano i telai meccanici era comminata la pena di morte: che crepassero pure, il progresso industriale era più importante del lavoro.
Questo, sul piano sociale. Sul piano generazionale, non c’è dubbio che a pagare i costi più salati della storia sono, e sono sempre stati, i bambini. Resi orfani, denutriti, violentati, sfruttati oltre ogni limite come forza lavoro, arruolati come soldati-bambini, persino rapiti e uccisi per l’infame commercio internazionale degli organi: nessuno storico si ricorda di loro quando descrive la grande storia, ma dietro ogni progresso ogni noto della società, ogni rivoluzione, ogni guerra, ogni speculazione finanziaria, sono sempre loro, i più esposti, i più indifesi, a pagare il prezzo più alto. La signora Madaleine Albrigh, segretaria di Stato USA, a un giornalista nel 1996 che le ricordava la morte di cinquecentomila bambini iracheni nella Seconda guerra del Golfo, rispose: Credo che non sia stato un prezzo troppo alto. Se gli storici tacciono, a parlare del dramma dei bambini presi negli ingranaggi della storia è stato qualche scrittore: Elsa Morante con La storia e Giuseppe Berto ne Il cielo è rosso. Meno persuasivo, perché permeato di una certa enfasi ideologica, il troppo celebrato I ragazzi di Varsavia di Winfried Bruckner; più convincente, perché sobrio e oggettivo L’anno dei lupi di Willi Fährmann, ambientato nelle province tedesche orientali invase dai sovietici nel terribile inverno del 1944-45.
Da parte nostra, quale storia esemplare delle sofferenze inflitte dalla storia ai bambini abbiano scelto un episodio decisamente minore che si riferisce alla spedizione di Hernando De Soto in Florida (1539-1542), in realtà in un vastissimo territorio comprendente tutto il Sud-Est degli attuali Stati Uniti, che vide protagonista la giovane figlia del cacicco Caliquin. Benché De Soto personalmente fosse meno brutale di altri conquistadores, i suoi uomini erano spietati e mettevano a ferro e fuoco i villaggi incontrati nella loro marcia, utilizzando una muta di feroci levrieri per stanare gli indiani fuggiaschi. Essi, come anche il loro capo, erano ossessionati dal miraggio dell’oro: in base ad alcune dicerie e supposizioni si erano convinti che la Florida ne fosse ricca quanto il Perù (dove De Soto era stato, agli ordini di Francisco Pizarro) e cercavano ovunque gli indizi delle tanto agognate vene aurifere, la cui scoperta e il relativo sfruttamento li avrebbero resi immensamente ricchi e messi in grado di sistemarsi confortevolmente per tutto il resto della loro vita. La storia della spedizione di De Soto è stata ricostruita da un insigne cronista della generazione successiva, Garcilaso de la Vega (1539-1616), nella Historia de la Florida. Noi però lasciamo che a rievocare l’episodio che c’interessa sia la prosa vivace di uno scrittore tedesco dalla personalità avventurosa, già diplomatico negli anni fra il 1933 e il 1945, cioè sotto il nazismo, Hans-Otto Meissner (1909-1992), autore di alcune avvincenti ma scrupolose biografie di esploratori del continente americano (da: H. O. Meissner, L’imperatore mi regala la Florida; (titolo originale: Der Kaiser schenkt mir Florida, Stuttgart, Cotta, 1967; traduzione di Alessandra D’Olif, Catania, Edizioni Paoline, 1972, p. 89):
La notte successiva i cani divennero inquieti, evidentemente c’erano degli indiani nei paraggi. Slegarono immediatamente la muta che sparì nell’oscurità della foresta. Poco dopo si sentirono i loro ululati. Diciotto indiani, per la maggior parte donne e bambini, erano stati sorpresi nei loro segreti giacigli per la notte. Svegliati di soprassalto, si erano stretti disperatamente gli uni agli altri in preda al terrore di fronte a quella muta urlante, mentre i bambini si aggrappavamo gridando alle loro madri. Così, seguendo i cani, gli Spagnoli scovarono quel gruppetto di persone fuggite da Calé. Fra i bambini in lacrime, una graziosa fanciulla sui dieci, dodici anni portava al polso un bracciale di piccole lamine d’oro. Era il primo oro che gli Spagnoli vedevano in Florida. Finalmente! La ragazza doveva appartenere alla famiglia di un capo, poiché nessuna delle altre donne portava gioielli. Ortiz si affrettò ad interrogare la fanciulla piangente.
«Siamo fortunati, — disse a De Sorto – la ragazza è figlia del cacicco».
L’Adelantado ordinò di trattarla con particolar premura.
La segreta speranza di De Soto si avverò il giorno seguente, Caliquin in persona andò dagli Spagnoli pregandoli di restituirgli la figlia…
La ragazzina venne effettivamente restituita alla sua famiglia, anche se poco dopo scoppiò una improvvisa e violenta sollevazione degli indiani, guidata personalmente dall’erculeo Caliquin, che si concluse con una repressione e un terribile massacro da parte degli Spagnoli; ignoriamo cosa ne fu di lei in seguito a quei fatti. Certo, avremmo potuto scegliere fra storie ben più drammatiche, come la Strage degli innocenti ordinata da re Erode, nella quale avrebbe dovuto perire lo stesso Gesù Bambino, oppure la storia dei sette fratelli Maccabei narrata nell’Antico Testamento, i quali preferirono farsi torturare e uccidere, uno dopo l’altro, sotto gli occhi della loro madre, fino al più piccolo, piuttosto che rinnegare la fede nel loro Dio, come preteso dal re seleucide Antioco Epifane, il quale voleva ellenizzare la Giudea con qualunque mezzo. Eppure ci è sembrato che nel breve, toccante episodio narrato da Garcilaso de la Vega, e ripreso da Hans-Otto Meissner, si rifletta in maniera chiarissima il costo delle sofferenze che i bambini pagano agli eventi della storia. In quelle donne e quelle bambine terrorizzate e piangenti di una sperduta località del Nord America, che una muta di levrieri feroci ha stanato nel loro nascondiglio notturno, e che uomini barbuti e vestiti di ferro, piombati da chissà quali anfratti misteriosi, fanno prigioniere, concentrando gli sguardi avidi sul leggero bracciale dorato della piccola figlia del capo, si concentra tutta la sproporzione esistente fra la grande Storia, scritta per mettere in luce i grandi eventi dell’umanità, e il prezzo salatissimo di angosce, paure, dolori, che i bambini pagano ogni volta, senza saper nemmeno il perché. Chi potrebbe spiegare a un bambino iracheno, uno dei 500.000 di cui parlava la signora Albright, rimasto orfano e magari mutilato dai bombardamenti aerei, che le sue sofferenze sono il giusto prezzo che doveva essere pagato affinché nel suo Paese venisse ripristinata la democrazia (e, guarda che combinazione, anche il dominio delle multinazionali petrolifere americane)? E chi spiegherà a un piccolo sopravvissuto all’esplosione atomica di Hiroshima che la sua lenta morte per effetto delle radiazioni cancerogene, come quella dei suoi genitori e dei suoi fratelli, è l’equo tributo che bisognava pagare allo scopo di abbreviare le inutili sofferenze della Seconda guerra mondiale in Estremo Oriente? E chi spiegherà a una delle 60.000 ragazzine e donne della Ciociaria che lo stupro subito da decine e decine di soldati marocchini al soldo della Francia, accompagnato da migliaia di assassini e sodomizzazioni di uomini e perfino sacerdoti, sono il conto che la storia richiedeva affinché anche l’Italia venisse finalmente liberata dall’orribile regime fascista e restituita alle gloriose meraviglie della plutocrazia di matrice anglosassone?
Oltre alle sofferenze che i bambini pagano come prezzo della storia, ci sono quelle che pagano i nascituri sottoposti ad aborto volontario per scopi commerciali, ed ai quali vengono prelevate le cellule, ad esempio le cellule renali, mentre sono ancora in vita, perché, se fossero morti, quelle cellule non servirebbero a niente. È una pagina quotidiana della crudeltà moderna, alla quale ci siamo talmente abituati che raramente vi dedichiamo un pensiero. Lo stesso dicasi per i bambini sacrificati nel coso della messa nera dei satanisti che fanno parte della supermassoneria mondiale, la stessa che sta attuando, attraverso il pretesto dell’emergenza sanitaria, l’ultima e decisiva parte del proprio programma per l’instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale.
A questo punto crediamo che per tentare di rispondere alle nostre domande sia necessario spostarsi dal campo della storia a quello della teologia morale. La storia, di per sé, non spiega nulla: è solo la registrazione dei fatti, una monotona successione di dinamiche sempre uguali che si ripetono nell’arco del secoli e dei millenni, dalla fionda alle testate nucleari. Nessuno ha mai imparato nulla da essa e nessuno si è mai chiesto se vi sia una ragionevole proporzione fra il male che infligge agli esseri umani e il bene che tenta di raggiungere, anche facendo aumentare la somma della sofferenza complessiva. La teologia però ci dà una preziosa indicazione: il male chiama altro male, e il bene chiama ancora e sempre il bene. Dunque se nella storia i pi deboli soffrono, a cominciare dai bambini, è perché qualcuno deve farsi carico di tutte le forze negative che gli uomini mettono in movimento, di tutti i cattivi insegnamenti, di tutte le forme di egoismo e di soprafazione, non necessariamente violente, che contraddistinguono la vita sociale. Se qualcuno fa il male, qualcun altro ne deve pagare le conseguenze: non è giusto, ma è così. Se un padre alcolizzato picchia e brutalizza i suoi figli, questi prendono su di sé la croce del dolore, senza averla scelta, la subiscono e basta. Le persone altamente spirituali, come i certi religiosi contemplativi, sanno che per attenuare la catena del male è necessario che qualcuno si offra quale vittima volontaria. Anche la sofferenza dei bambini, ha un significato e un valore: serve ad assorbire le forze del male e a spegnerne le fiamme, perché i bambini sono innocenti, e solo l’innocente può fare questo, come è stato con Gesù Cristo sulla croce. È un mistero così grande che i pensatori più acuti arretrano turbati davanti ad esso. Siamo troppo abituati a ragionare in termini illuministici e individualistici. Ma il bene e il male sono due immensi fiumi che più si alimentano, più s’ingrossano: è la grande legge universale…
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