
La distruzione aerea di Zara fu lo strumento della pulizia etnica voluta da Tito
28 Luglio 2015
A un «Dio debole» non può corrispondere che un «pensiero debole»; e viceversa
28 Luglio 2015A guardarlo in fotografia o nei filmati dell’epoca, sir Robert Anthony Eden, conte di Avon (nato a Durham nel 18497 e morto a Salisbury nel 1977) si direbbe proprio il perfetto tipo del "gentleman" inglese, del perfetto diplomatico, del perfetto statista: corretto e impeccabile, dalla cima dei capelli alla punta dei piedi; elegante e disinvolto quasi come un attore cinematografico; sorridente, ma di un sorriso stereotipato e professionale; sempre sicuro e padrone di sé; gentile nella forma, ma intransigente nella sostanza: pugno di ferro in guanto di velluto. Gli mancano solo la bombetta e l’ombrello per diventare una caricatura, ma la sua immagine si ferma sempre un istante prima di scivolare nell’ironico e nel ridicolo: tutto d’un pezzo, sì, ma senza strafare; elegantissimo, ma non proprio azzimato; affabile, ma anche circospetto. E molto, molto dignitoso, molto britannico, molto convinto di essere nel giusto, sempre e comunque.
Ebbene, questo signore che ha svolto incarichi importantissimi nel governo britannico, negli anni decisivi che hanno preceduto e accompagnato il corso della Seconda guerra mondiale, non era, semplicemente, il fautore della linea dura nei confronti del fascismo e del nazismo, ai quali non concedeva alcuna apertura di credito e dei quali desiderava solo e unicamente la distruzione, pura e semplice; non solo riteneva, come del resto Churchill, che nessun prezzo fosse troppo alto, nemmeno una guerra mondiale, per difendere l’integrità — e la ricchezza — dell’Impero britannico (tanto è vero che nel 1956 sarà il principale ispiratore della spedizione anglo-francese di Suez, mettendo di nuovo a rischio la pace mondiale per gli interessi imperiali della sua patria, come se la tragedia del 1939-45 non gli avesse insegnato proprio nulla); egli era anche un fervente odiatore dell’Italia e degli Italiani, che desiderava vedere trascinati nella polvere, in ginocchio, non solo sconfitti, ma piegati e umiliati: e, per nostra disgrazia, egli fu appunto l’uomo-chiave della politica estera britannica nel momento per noi più triste e delicato, l’estate del 1943.
È ormai accertato che Eden fece tutto quanto stava in lui per accanirsi contro il destino dell’Italia; che ignorò con disprezzo ripetuti sondaggi di pace da parte della casa Savoia e di alcuni esponenti del mondo politico e militare antifascista; che si oppose con successo al desiderio di Roosevelt e di Churchill affinché, nella dichiarazione di Casablanca, la formula della "resa incondizionata" non venisse estesa all’Italia, ma limitata alla Germania e al Giappone; che, infine, sconsigliò vivamente di allentare la pressione politico-militare fino all’8 settembre del 1943, cioè che fu soprattutto lui a volere la prosecuzione dei bombardamenti aerei sull’Italia con la massima energia, trascurando bellamente il fatto che il nostro Paese si stava accingendo a stipulare un armistizio separato con gli Alleati: secondo lui, non bisognava fidarsi degli Italiani e non c’era da farsi troppe illusioni sul fatto che la caduta di Mussolini fosse imminente.
Quest’ultima convinzione, grossolanamente errata, gli veniva soprattutto da quanto gli riferiva l’ambasciatore inglese presso il Vaticano, un uomo che non usciva mai dalla sua sede e che, alla vigilia della seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943, giudicava "remota" la prospettiva di un cambio di regime: Eden, infatti, che odiava l’Italia per un fatto personale, er propenso (come tutte le persone rancorose e vendicative) a dare ascolto a quelle fonti che confermavano i suoi pregiudizi, e ad ignorare quelle di segno diverso.
Vale la pena di rileggersi una intervista, che qui riportiamo integralmente, fatta dal giornalista Sandro Paternostro allo storico Richard Lamb (su: «Storia illustrata», n. 278, gennaio 1981, p. 60):
«Le rivelazioni dello storico inglese Richard Lamb sui tentativi effettuati dall’Italia fra il novembre 1942 e l’agosto del 9043 per uscire dalla guerra e spezzare l’alleanza con il Terzo Reich sono destinati a suscitare un enorme interesse. Richard Lamb ha un passato particolarmente interessante per quanto riguarda i suoi rapporti con l’Italia, essendo stato ufficiale di collegamento tra la VIII Armata e il Corpo di Liberazione italiano durante la guerra contro i tedeschi.
Lo abbiamo incontrato a Londra.
D. Lamb, ci dica un po’: quali sono state le fonti delle sue informazioni?
R. Ho trovato molte informazioni interessanti negli archivi dello Stato britannico, al Foreign Office, al ministero degli Esteri, al ministero della Difesa, dove si possono trovare tutti i rapporti.
D. Lei dice che ogni volta che le autorità italiane cercavano, ufficiosamente, per via diretta o indiretta, di trattare con gli Alleati, Anthony Eden – che allora era ministro degli Esteri – si opponeva. Ma perché?
R. Anthony Eden odiava l’Italia! Nel 1935 venne in Italia per visitare Mussolini con l’intenzione di definire la questione abissina; proponeva che l’Inghilterra cedesse una parte della Somalia britannica all’Italia; Mussolini litigò, lo trattò duramente. Tre anni dopo, quando il conte Grandi, ambasciatore italiano a Londra, parlò con il primo ministro Chamberlain, lo trovò molto più benevolo verso l’Italia di quanto non fosse Eden. Eden allora diede le dimissioni, seccato che il Primo Ministro inglese parlasse con Grandi e mandasse messaggi a Mussolini senza consultare il ministero degli Esteri.
D. Quindi, in sostanza, Eden era furibondo con Dino Grandi e, di riflesso, con Mussolini, perché lo avevano scavalcato stabilendo rapporti diretti con Chamberlain.
R. Mussolini nutriva un grane odio per Eden. Faceva propaganda contro Eden, e questi fu molto seccato.
D. Quindi c’era proprio un rancore personale di Mussolini nei confronti di Anthony Eden e viceversa. Ma come spiega lei che un uomo solo, per quanto influente nell’establishment britannico durante la Seconda guerra mondiale, potesse condizionare una politica? C’erano altre personalità che decidevano, c’era Churchill, c’erano gli americani. Com’è possibile che Eden da solo paralizzasse questi sforzi di dialogo fra l’Italia e gli Alleati?
R. Eden aveva un’influenza tremenda sule questioni di politica estera; era considerato un esperto dell’Europa e dei problemi italiani. Churchill e Roosevelt erano preoccupati per la guerra, per l’esercito, per la strategia della guerra, e lo era anche Stalin. Churchill e Roosevelt accettavano tutto ciò che Eden faceva.
D. Quindi,m se ho ben capito, Eden riuscì a imporre a Churchill e a Roosevelt la formula della "resa incondizionata" dell’Italia?
R. Assolutamente. A Casablanca, nel 1942 Roosevelt e Churchill mandarono un telegramma a Londra con la proposta di escludere l’Italia dalla "resa incondizionata"…
D. … limitando la domanda di resa incondizionata al Terzo Reich e al Giappone?
R. Esattamente. Eden e Attlee, Primo ministro e deputato, mandarono un telegramma a Churchill e a Roosevelt dicendo: "E’ necessario imporre la formula della resa incondizionata all’Italia".
D. Eden ha avuto un’influenza anche sui bombardamenti alleati dell’Italia?
R. Secondo me aveva una grande influenza; Roosevelt qualche volta ha chiesto che gli inglesi non facessero bombardamenti sull’Italia, perché, pensava, sarebbe stato più difficile trovare un accordo con l’Italia. Eden invece sosteneva che i bombardamenti sull’Italia si dovevano fare in quanto, quando l’Italia fosse stata "in ginocchio", si sarebbe potuto ottenere "qualche cosa".
D. Perché Eden si fidava tanto del ministro britannico presso il Vaticano, sir D’Arcy Osborne?
R. Eden preferiva i rapporti che gli faceva D’Arcy Osborne alle informazioni che gli venivano dalle spie o quelle che uscivano dall’Italia durante la guerra. D’Arcy Osborne era un diplomatico molto esperto, però non usciva al Vaticano e non aveva un’idea di quello che stava succedendo in Italia con i monarchici e con gli antifascisti., Il 24 luglio del 1943, D’Arcy Osborne scrisse a Eden che: "non ci sono forze monarchiche o altre forze che abbiano la capacità di fare cadere Mussolini". Lo scrisse il 24 luglio, prima che il re Vittorio Emanuele facesse arrestare Mussolini!
D. Un’ultima domanda, Richard Lamb: supponiamo che l’atteggiamento di Eden fosse diverso, oppure, che Eden non fosse in grado di opporsi a questa apertura di dialogo fra gli italiani e gli inglesi, per l’uscita dell’Italia fin dal 1942 dalla guerra: che cosa sarebbe successo? Facciamo un po’ la storia a rovescio.
R. Secondo me l’opinione pubblica in Italia era contro Mussolini. Tutti i generai di Stato Maggiore erano scuri che Mussolini e Hitler avrebbero perso la guerra. Loro volevano fare la pace, volevano combattere con gli Alleati per evitare ai tedeschi di entrare in Italia. Ma poiché Eden non dava alcun aiuto a queste forze, quando il 25 luglio 1943 Mussolini cadde non abbiamo sistemato niente: Hitler inviò subito le divisioni tedesche attraverso il Brennero. Quando gli Alleati sbarcarono a Salerno, il 9 settembre del 1943, c’erano già tante divisioni tedesche in Italia.»
Anthony Eden, infatti, dopo una lenta ma inarrestabile carriera diplomatica, era stato nominato ministro per la Società delle Nazioni e, sotto il governo Baldwin, con Samuel Hoare quale ministro degli Esteri, si era recato a Roma, nel giugno del 1935, per cercare un compromesso con l’Italia nel corso della crisi abissina. Fu allora che si verificò l’incidente fra lui e Mussolini, allorché il Duce rifiutò la proposta di Eden, secondo cui l’Etiopia avrebbe ceduto all’Italia una parte dell’Ogaden e la Gran Bretagna l’avrebbe "risarcita" cedendole, a sua volta, il porto di Zeila, nella Somalia britannica, sicché anche lo Stato etiope avrebbe avuto uno sbocco al mare.
Come si vede, la cosa è assai diversa da come la riferisce Richard Lamb: la Gran Bretagna non intendeva cedere all’Italia una pare della sua colonia, ma all’Etiopia; e avrebbe indotto quest’ultima a cedere all’Italia una pare del suo territorio, al confine della Somalia italiana (dove si trovavano i pozzi di Ual-Ual, ove nel dicembre 1934 era avvenuto il grave incidente militare che aveva dato occasione al conflitto italo-etiopico). Da questo complicato e cervellotico "gioco delle tre carte", l’Etiopia non sarebbe uscita affatto diminuita, ma rafforzata, raggiungendo lo sbocco sul Mar Rosso, che non aveva mai avuto, neppure all’indomani della battaglia di Adua. Non c’è da stupirsi che Mussolini abbia rifiutato un tale accordo: dal punto di vista italiano, era inaccettabile.
A questo primo, maldestro e grossolano tentativo britannico, fece seguito un secondo: una conferenza anglo-franco-italiana, nell’agosto 1935, che propose un mandato tripartito sull’Etiopia, a preponderanza italiana; Mussolini rifiutò anche questo. Infine vi fu un terzo tentativo, che sembrò potesse andare in porto: nel dicembre, il patto Hoare-Laval venne sottoposto a Mussolini, con la proposta di porre due terzi dell’Etiopia sotto la sovranità italiana (Ogaden e parte del Tigré), dietro cessione a questa di Assab (e dunque, ancora uno sbocco al mare, ma stavolta a spese della colonia italiana dell’Eritrea). Nessuno saprà mai se Mussolini avrebbe aderito (in quel momento, la guerra procedeva in modo non troppo brillante per le armi italiane), se non si fosse verificata una imprevista circostanza esterna: il giornale francese «Echo de Paris» ebbe una soffiata e rese pubblica la proposta, provocando una autentica tempesta politica internazionale. Hoare dovette dimettersi, il 22 dicembre, e fu sostituito proprio da Eden, il quale ne trasse una conferma del giudizio negativo su Mussolini, e la convinzione che solo una linea intransigente avrebbe "pagato".
Il suo rancore e il suo malanimo verso il governo italiano e verso l’Italia (le due cose, per lui, coincidevano) si rinfocolarono allorché, con l’esito vittorioso, per noi, della guerra etiopica (cui molti, in Gran Bretagna e altrove, non avevano creduto), e con il fallimento delle sanzioni decretate dalla Società delle Nazioni, il Fascismo uscì rafforzato dallo scontro diplomatico, sicché Eden, in disaccordo con la politica troppo "molle" di Chamberlain, rassegnò le dimissioni, nel febbraio del 1938. Per nostra sfortuna, la carriera politica di Eden conobbe una nuova stagione con la salita al potere di Churchill, sostenitore della "linea dura" contro l’Asse: fu nominato ministro della Guerra nel maggio 1940, poi, dal dicembre, ministro degli Affari Esteri, fino al luglio 1945 — e abbiamo visto con quale animo e con quali intenzioni verso il nostro Paese -; indi ricoprì la stessa carica, dal 1951 al 1955, e infine fu Primo ministro, dall’aprile del 1956 al gennaio del 1957. La crisi di Suez e l’insuccesso internazionale della Gran Bretagna (e della Francia) decisero la fine della sua carriera…
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