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Gli Andamanesi che puntavano arco e frecce contro i “soccorsi” per lo Tsunami

Ci sono delle fotografie emblematiche relative allo tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano: quelle che mostrano gli ultimi indigeni Andamanesi, bruni e seminudi come nei romanzo della giungla di Kipling o di Salgari, che puntano i loro archi preistorici e le loro frecce contro gli elicotteri e i motoscafi che si avvicinano alle loro spiagge per prestar soccorso.

Non erano, si badi, dei mezzi di provenienza occidentale; le Isole Andamane appartengono politicamente al’India e quelle imbarcazioni, quegli elicotteri erano stati inviati dal governo di New Delhi, per soccorrere i "suoi" indigeni, senza accettare intromissioni da parte degli Stati Uniti o dell’Europa, meno ancora della Croce Rossa internazionale; dunque l’ostilità con cui furono accolti non aveva niente di "ideologico" e non nasceva da una forma di nazionalismo, morbo decisamente sconosciuto presso gli Andamanesi, uno dei popoli più "primitivi" del mondo.

Ma chi sono questi piccoli uomini dalla pelle scura e dai capelli ricci, dagli spiccati caratteri arcaici, la cui vita, le cui abitudini e la cui stessa sopravvivenza costituiscono un rompicapo e quasi una sfida alla nostra mentalità moderna e "progredita"?

Così ce li descrive l’antropologo Cleto Corrain, recentemente scomparso, nella sua opera «Il divenire biologico dell’uomo» (Bologna, Calderini, 1971, p.p. 308-09):

«Gli Andamanesi sono gli aborigeni Delle Grandi e Piccole Andamane (500 individui). Hanno statura di tipo nanoide (146-149 cm.). Come i Pigmei africani tendono alle forme larghette del cranio (indice 81-83), a cui la presenza delle bozze frontali e parietali dona un aspetto infantile. Il volto non è schiacciato; è piuttosto mesoprosopo; il naso moderatamente largo, dritto, con la punta ottusa talora rivolta all’insù e la radice appiattita. Non hanno la caratteristica pigmoide del labbro superiore convesso, ma la bocca è grande e le labbra di medio spessore. Osserviamo forme estreme nella ulotrichia dei capelli. Le proporzioni generali del corpo sono quelle di un adulto, a differenza di quanto avviene nei Pigmei africani. Inoltre manca una pelosità generale. I loro gruppi sanguigni costituiscono un bell’esempio degli effetti della deriva genica. Nelle isole Andamane propriamente dette, viene rilevata preponderanza del gruppo A (55,5%) mentre nelle isole Nicobare, collocate più a sud, il gruppo 0 (86,0%) lo sostituisce largamente.

Gli Andamanesi parlano una lingua propria, che presenta molte somiglianze con le lingue australiane. Sembra lecito definirli la più antica popolazione dell’Asia. Sono conosciuti anche sotto il none di Mincopi. Vivono di caccia (porco e gatto selvatici, iguana), pesca, e soprattutto raccolta di frutti di mare, e di animali e piante. Possiedono una cultura molto primitiva. Pure adoperando il fuoco non conoscono (unici al mondo) procedimenti per accenderlo, donde la cura di conservarlo o di riprenderlo nelle naturali combustioni. Come già gli estinti Tasmaniani non hanno saputo (o potuto) allevare alcun animale domestico, neanche il cane. La loro abitazione consiste in una tettoia di frasche, inclinata e sorretta sul davanti da due pali infissi al suolo; dalla disposizione a circo di più abitazioni risulta il villaggio. Vi sono tettoie solo per celibi, solo per zitelle o solo per maritate. Il focolare, comune all’accampamento, è posti ad una estremità di questo. L’arma più antica degli Andamanesi è data da un grande arco a S, con frecce dalla punta di oso o di pietra. Con il tempo impararono ad adoperare la lancia, le punte di ferro per le frecce, l’arpione ed il coltello. Presso taluni gruppi il vestimento manca completamente; presso altri è costituito da figlie ed erbe, che ricoprono soltanto i genitali; l’ornamento è amato più del vestito. Nel complesso gli Andamanesi posseggono una cultura materiale abbastanza primitiva e, come tale, difesa dalla lunga segregazione insulare, anche se ciò non esclude l’immigrazione di elementi culturali eterogenei, facilmente individuabili quando siano recenti.

La famiglia è monogamica, con trasmissione patrilineare dei diritti reali, cioè sulle cose. La bigamia sembra sconosciuta, mentre raro sarebbe l’adulterio. Liberi i rapporti sessuali prima del matrimonio. L’unità economica non viene offerta dalla famiglia monogamica ma, prevalentemente, da un gruppo di famiglie apparentate, che gli etnologi tedeschi chiamano "sippe". A questa appartiene la proprietà del suolo, cioè la facoltà di appropriarsi dei prodotti spontanei (animali e vegetali) di un dato territorio delimitato da precisi confini. I membri maschi della "sippe" conducono la caccia collettiva, le cui risorse vengono ripartite tra le singole famiglie. La condizione della donna può essere definita buona; esiste una parità di diritti tra i sessi. Vengono celebrati riti iniziatici tanto per i giovanetti quanto per le giovanette: essi sono istruiti sedatamente da persone anziane sulle cose riguardanti il sesso, sui loro doveri, sugli usi, costumi, credenze e miri della tribù, che è l’insieme delle "sippen", legate da comuni vincoli culturali e linguistici ed aventi un capostipite comune. Non troviamo alcun potere politico, che vada oltre il consiglio degli anziani, salvo nei casi di emergenza. L’Essere Supremo è Paluga, divinità di carattere uranico:il tuono è la sua voce, il vento il suo respiro, gli uragani l’espressione della sua ira. In un passato, ormai lontano, non si adirava contro il suo popolo; ma ora si erge a difensore dell’ordine morale. Punisce: l’adulterio, la falsità, il furto, l’omicidio e le inutili devastazioni dei prodotti naturali.»

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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