
Gli strumenti per la nostra maturazione spirituale sono qui, davanti a noi: ma sappiamo vederli?
27 Maggio 2011
Nata per difendere l’uomo libero, la democrazia finisce per ridurlo a suddito
29 Maggio 2011Quel che è successo il 26 giugno al G-8 di Deauville, con l’irrituale e imbarazzante esternazione del presidente del Consiglio italiano al presidente statunitense, supera qualunque limite del decoro, della decenza e della dignità politiche.
Il pazzo è ormai fuori controllo e va fermato: ormai ha fatto tutto il male possibile all’Italia, all’interno e davanti al resto del mondo; eppure sembra ogni giorno in grado di escogitare qualche nuovo colpo di piccone, di infliggere qualche ulteriore ferita.
Non gli bastava aver definito "senza cervello" una metà del popolo italiano (quella che non lo vota), di cui pure è il massimo rappresentante istituzionale dopo il capo dello Stato: una battuta che nessun serio capo di governo si sarebbe mai sognato di pronunciare, per di più durante lo svolgimento delle elezioni amministrative.
Il giorno stesso in cui Emma Marcegaglia, a Roma, durante l’assemblea annuale della Confindustria, affermava che, in economia, l’Italia «ha perduto dieci anni», Silvio Berlusconi non ha saputo fare di meglio che trascinare nel ridicolo il proprio Paese, ancora una volta, davanti ai riflettori della stampa e delle televisioni internazionali.
La riunione del G-8 stava per cominciare, i leader degli Stati membri stavano prendendo posto intorno al tavolo e Sarkozy, ospite di turno, stava per dare il via ai lavori, quando il nostro presidente del Consiglio si è diretto alla sedia di Barak Obama e, mettendogli familiarmente una mano sula spalla, è partito a raffica con le critiche alla situazione interna italiana.
Davanti alle telecamere, che riprendevano tutto, l’esterrefatto Obama si è sentito dire che in Italia urge una riforma della giustizia, perché nel nostro Paese vige quasi una dittatura dei giudici di sinistra: il tutto mentre Sarkozy e Merkel si scambiavano occhiate fra l’irritato e il divertito, costretti ad aspettare che il fiume in piena si calmasse e che fosse finalmente possibile mettersi a parlare dei problemi mondiali, oggetto del vertice.
Ma la guerra in Libia e la "primavera araba" hanno dovuto aspettare, perché, di fronte ai guai di Berlusconi con la giustizia – e tutti per reati infamanti e vergognosi, il cui semplice sospetto avrebbe costretto alle dimissioni qualunque uomo politico responsabile e geloso della propria dignità, oltre che di quella del proprio Paese -, simili questioni appaiono come del tutto secondarie, specie nel contesto di un’assemblea del massimo livello mondiale.
Che cosa sono i problemi del mondo, in confronto alle beghe della nostra campagna elettorale -amministrativa per giunta, e non politica – se non ridicole quisquilie; che cosa è mai l’agenda del G-8, a paragone dello sfogo di un personaggio internazionalmente autorevole, che gode della stima universale, della credibilità e del prestigio dei più alti consessi politici?
Certo, non si era mai visto, in tutta la storia della diplomazia internazionale, il rappresentante di una nazione sovrana che va a mendicare l’attenzione di un altro leader mondiale – che non è, precisamente, quello del Liechtenstein, ma della superpotenza planetaria – per parlargli male del proprio Paese, mentre la stampa riprende tutto e fa fare alla notizia il giro del globo; per dirgli, addirittura, che in esso vige una dittatura dei giudici di sinistra, e questo mentre egli stesso è sotto processo per reati che vanno dalla corruzione alla prostituzione minorile; che insomma nel proprio Paese non c’è la democrazia, ma un sinistro regime di tipo quasi staliniano, gestito dal terzo potere dello Stato, ossia la magistratura.
E che cosa non gli avrebbe detto, se avesse avuto la possibilità di parlargli a quattr’occhi; ma Berlusconi, questa possibilità, non l’aveva, visto che – caso unico fra i capi di governo presenti al G-8 di Deauville – non era previsto un suo incontro privato con Obama: il perché, forse, dovrebbero chiederselo i suoi estimatori e sostenitori, tutti quelli che dicono e ripetono che, con lui, l’Italia ha ritrovato voce e spazio nel consesso internazionale.
Ma che vuol dire, lo sanno tutti che il presidente Berlusconi ha un carattere giocoso e uno stile informale; in fondo – come sostiene l’ineffabile Maurizio Belpietro, direttore di un giornale il cui titolo, «Libero», è tutto un programma – non ha fatto altro che ripetere quello che da sempre va dicendo, in tutte le occasioni possibili e davanti a qualunque interlocutore: perché mai ci si dovrebbe scandalizzare, dunque?
L’Italia, si sa, «il bel Paese dove il sì suona», è anche il Paese delle parole in libertà; dove si è persa, e da tempo, la sottile differenza tra uno sfogo al bar in compagnia di quattro amici, magari un po’ alticci, e la tribuna di un consesso politico, nazionale o magari internazionale; dove, insomma, si può dire qualunque cosa in qualsiasi luogo.
Anzi, ci correggiamo, dove i nostri rappresentanti istituzionali possono dire qualsiasi cosa e in qualsiasi luogo; perché, se a dire le stesse cose fosse il comune cittadino, e le dicesse in pubblico e davanti a molti testimoni, una bella denuncia per oltraggio alle istituzioni non gliela leverebbe nessuno, nemmeno il Padreterno.
Dunque: il pazzo ha colpito ancora.
Con ritmo ormai frenetico, mano a mano che il suo impero di cartapesta, fondato sull’illusionismo pubblicitario, si va squagliando (ormai anche la borghesia milanese lo sta mollando, e perfino i suoi "fedelissimi" cominciano a fiutare l’aria di naufragio, adocchiando, senza troppo averne l’aria, le scialuppe di salvataggio), egli sta perdendo completamente il senso della realtà e sta facendo di tutto per trascinare la nazione intera nella sua ignominiosa rovina.
Senso dello Stato, non ne ha mai avuto: per lui, lo Stato non era che il cavallo di Troia per giungere ai meccanismi del potere e mettersi al sicuro dai suoi implacabili persecutori, i giudici – ma non, come ripete e come vorrebbe far credere, perché essi lo vogliano fermare politicamente, giacché la partita fra lui ed essi era cominciata ben prima che decidesse di entrare ufficialmente in politica -; per il resto, da buon liberista estremo, quanto meno Stato c’è in giro e quanto più si liberalizza a destra e a manca, tanto meglio è per tutti, anzi, tanto meglio è per lui e per il suo monopolio politico-finanziario-mediatico.
Che il suo disprezzo per lo Stato, però, potesse giungere fino a questo punto; che egli potesse calunniare in pubblico, davanti al capo della superpotenza mondiale (quello un po’ abbronzato, ricordate?, ma erano altri tempio, ora i suoi "amici" Putin e Gheddafi non possono più levargli le castagne dal fuoco), una istituzione, la magistratura, che ha visto il sacrificio della vita di tanti suoi rappresentanti, nella lotta contro il terrorismo e contro la criminalità organizzata: ebbene, questo ancora non si era mai visto e, diciamo la verità, non lo si poteva neanche immaginare; perché ogni cosa ha un limite, e qui il limite è stato superato di molto.
È un uomo malato; lo aveva detto la sua ex moglie, al momento della separazione, ma non l’avevano ascoltata: malato di narcisismo, di delirio di onnipotenza e anche, paradossalmente, di solitudine; perché nella sua corte di faccendieri, di politici osannanti e di giornalisti stipendiati, perfino di lenoni e di escort da tremila euro la serata, non si è trovato un solo amico capace di parlargli con franchezza, per il suo stesso bene.
Tutti lo hanno assecondato, riverito, incoraggiato, aizzato; tutti gli hanno intonato la marcia trionfale, gli hanno lustrato gli stivali, si sono profusi in inchini e riverenze d’ogni genere, con abietto servilismo; nessuno, ma proprio nessuno, gli ha dato qualche buon consiglio spassionato, come si fa con un amico cui si vuole bene, specialmente se lo si vede imboccare strade sbagliate, coprirsi di ridicolo, mettersi in situazioni di pericolo.
Nessuno gli ha mai suggerito sobrietà, moderazione, prudenza, almeno nel linguaggio, se non nei comportamenti; al contrario: tutti hanno fatto a gara nell’incitarlo a spararle sempre più grosse, ad alzare continuamente il livello dello scontro, ad abbandonarsi a pose e discorsi sempre più sguaiati, aggressivi, disdicevoli.
Da lui hanno accettato tutto: le bestemmie, le barzellette oscene, le serenate al chiaro di luna nelle ville faraoniche; con impudenza pari soltanto al loro servilismo, si sono fatti solerti adulatori di qualunque sconvenienza, di qualunque indecenza, di qualunque follia.
Il risultato è che l’opinione pubblica, un poco alla volta, si è abituata anch’essa a subire tutto, a sopportare tutto, a digerire tutto: perfino gli squallidi discorsi telefonici delle sue favorite, perfino sentirsi dire che il suo posteriore è flaccido: anche se sono quelle cose che si preferirebbe non sapere, non sentire, non vedere.
Con improntitudine inaudita, i suoi menestrelli sono riusciti a far passare come normali infinite amenità del genere, infinite gaffes, infinite oscenità.
Ma ora è tempo di fermare il pazzo.
Nessun golpe legale, come auspicato da Alberto Asor Rosa; no: molto più semplicemente, un trasalimento di orgoglio, di fierezza, di dignità civile.
Chi ama l’Italia non può tollerare oltre un simile spettacolo, un simile scempio della nostra immagine pubblica: con l’arma pacifica del voto, bisogna mandare a casa il Re Buffone che non fa più ridere nessuno, ma sta solo infangando l’Italia davanti a tutto il mondo.
Qui non c’entra più nulla essere di destra o di sinistra; chi ama l’Italia, non può tollerare oltre questo scempio, questa sordida agonia politica: così come chi ama una casa, quando la vede in preda al fuoco, corre a prendere i secchi d’acqua e non si mette a litigare coi pompieri o a domandare loro il tesserino di partito.
L’Italia è come una madre: come si può tollerare di vederla esposta oltre al dileggio, al ridicolo, al disprezzo del resto del mondo?
No: ormai l’equivoco è chiarito, una volta per tutte: se si ama Berlusconi, non si può amare anche l’Italia; le due cose non sono conciliabili.
Siamo arrivati al bivio.
Ci attendono comunque tempi duri, perché il regime berlusconiano in agonia è ancora in grado di infliggere dei tremendi colpi di coda alla società italiana.
Mentre stiamo perdendo un altro pezzo della nostra industria nazionale – la cantieristica navale – e mentre il livello della conflittualità sociale torna ad alzarsi; mentre un italiano su quattro è a rischio povertà (checché ironizzi, con impagabile volgarità, il ministro Tremonti), egli sembra unicamente preoccupato di realizzare le sue vendette contro i giudici "comunisti" e di sobillare la piazza contro di loro, equiparandoli alle Brigate Rosse.
Molto dipenderà dal suo entourage: tutti quei suoi fedelissimi che, per ragioni di età o per la propria storia politica, sanno che difficilmente potrebbero riciclarsi nel dopo-Berlusconi, lo spingeranno ad arroccarsi sempre più a difesa del suo sistema di potere, lo inciteranno a qualunque gesto irresponsabile, pur di salvaguardare le loro amatissime poltrone e i loro amatissimi, faraonici stipendi e privilegi.
Il PdL si sta squagliando come neve al sole, nemmeno Berlusconi ci crede più ed è pronto a disfarsene; ma come la prenderanno tutti quei deputati e senatori da lui personalmente nominati (grazie alla obbrobriosa legge elettorale oggi vigente) e la cui carriera è praticamente impensabile senza di lui: delle perfette nullità che, per tanti anni, hanno saputo solo dire di sì ad ogni capriccio del satrapo, senza mostrare mai un briciolo di dignità, di onore, di spirito d’indipendenza?
E come la prenderà la Lega, che rischia di essere travolta dalla caduta del PdL, così come il vecchio Psi venne travolto dalla catastrofe della Dc?
Sembra che abbiamo toccato il fondo; ma non è detto che non si possa scendere ancora di più.
A Milano, Letizia Moratti promette il condono delle multe erogate in base alle norme municipali da lei stessa introdotte; che cosa manca ancora, perché scadiamo ai livelli di quando un noto uomo politico democristiano distribuiva ai suoi elettori napoletani la scarpa destra, promettendo la sinistra per quando fosse stato eletto?
Una cosa sola può salvarci: l’amore per la Patria.
Non ha nessuna importanza se si professano idee di destra, di centro o di sinistra: basta solo avere a cuore il futuro dell’Italia, che è, poi, il futuro dei nostri stessi figli.
Vogliamo lasciare ad essi in eredità anche questa Nemesi politica, oltre alla assoluta incertezza del loro futuro lavorativo, al disastro ambientale, alla dissoluzione morale?
Se è così, allora smettiamola di lamentarci: questa Italia è lo specchio fedele della nostra abiezione.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash