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Il principio causale è l’elemento caratteristico della scienza moderna?

Il principio di causalità deve essere considerato come l’elemento caratteristico e distintivo della scienza occidentale moderna?

Se lo è domandato, fra gli altri, il filosofo argentino Mario Bunge, nel suo ormai classico studio «La causalità», di cui riportiamo un passaggio chiave (titolo originale: «The Place of the Causal Principle in Modern Science», Harvard University Press, 1962; tradizione italiana di Emilio A. Panaitescu, Milano, Boringhierri, 1970, pp. 240-50):

«Stando a una convinzione piuttosto diffusa, la causalità caratterizza la scienza moderna dai suoi inizi fino al sorgere della meccanica quantistica, vale a dire dalla metà del sedicesimo circa ai nostri giorni [cioè fino al 1959, anno di pubblicazione della prima edizione in lingua inglese: nota nostra]. Quasi tutti i filosofi (e alcuni scienziati) sanno però che il principio causale è sopravissuto al sorgere della meccanica quantistica e che il pensiero causale è assai più vecchio della scienza moderna. La spiegazione tramite cause non è infatti meno antica della descrizione fenomenologica di mere sequenze temporali. La riduzione della determinazione alla connessione causale viene inoltre riscontrata in stradi piuttosto arretrati della conoscenza, anche se probabilmente non in quelli iù primitivi. (Si dice ad esempio che i nativi delle isole Trobriand non dispongano di parole con cui denotare tale connessione.) Appaiono infatti tipiche della mentalità primitiva, in una cetra fase almeno della sua evoluzione, l’attribuzione di un a causa a tutto ciò che è, comincia a essere o cessa di essere,e, in particolare, l’invenzione di moti intesi a spiegare causalmente l’origine di ciò che oggi consideriamo auto-esistente, non generato, non causato: l’universo nel suo insieme. Oltre ad adempiere una funzione sociale, numerose cosmogonie, a carattere religioso o no, mitrano ad esempio ad appagare un imperioso bisogno di spiegazioni causali. Altre caratteristiche tipiche della mentalità primitiva sono il rifiuto di ammettere il caso (di credere cioè in mere congiunzioni e coincidenze fortuite) e il complementare convincimento che esista una connessione causale (manifesta od occulta, magica) fra tutti gli eventi. Nata probabilmente in epoche preistoriche, questa credenza nell’interconnessione causale universale, venne adottata nell’antichità dallo stoicismo e caratterizza oggi i continuatori del modo di pensare preistorico.

Fra lo stadio primitivo e quello moderno del pensiero causale il divario è senz’altro grande; né i pensiero primitivo né quello arcaico (preclassico) comportarono la nostra concezione d’una connessione causale IMPERSONALE, CONFORME A LEGGI e in linea di principio CONTROLLABILE. Chimerico nella maggior parte dei casi ma non di rado corretto allorché fu in gioco la sopravivenza, il principio causale costituì uno dei primi modo di spiegare il divenire e perfino m’essere. Attraverso la richiesta d’un fondamento per ogni esistente, il pensiero causale ha stimolato la ricerca di connessioni oggettive; d’altra parte, non riuscendo a concepire la possibilità che qualcosa esista di per sé, per proprio conto, senza essere stata creata, e insistendo oltre misura sulla connettività del mondo, il pensiero causale ha del pari stimolato – in maniera del tutto indipendente dalle loro ben note radici sociali – l’elaborazione di concezioni mitiche e religiose.

Il pensiero causale venne codificato da Aristotele. Diversamente dai primitivi e dai bambini, che ignorano il caso, lo Stagirita ammise il caso tanto al livello ontico quanto a quello epistemologico, vale a dire sia in quanto contingenza oggettiva sia in quanto nome con cui designare la nostra ignoranza delle cause reali. Rifiutò soltanto di ammettere il caso come oggetto di conoscenza scientifica; per definizione infatti "senza la causa non conosciamo il vero". Con la sola eccezione del Motore Immobile, ogni oggetto esiste e alla fine si trasforma in virtù di cause di tipi diversi; auto-causata è soltanto la Causa Prima. La dottrina causale di Aristotele venne ripresa ed elaborata dai maggiori scolastici, una delle cui parole d’ordine fu: "Conoscere attraverso cause" ("Scire per causas"). Il periodo scolastico fu l’età aurea della causalità. Tutto ebbe una propria causa; le stesse chimere vennero spiegate in ogni particolare in termini causali. Pur essendo il motto di molte moderne istituzioni scolastiche, la massima "Conoscere le cause delle cose" ("Rerum conoscere causas") non è indice di modernità. Compendia invece la prospettiva peripatetica e, di fatto, la filosofia cristiana nelle sue tendenze aristotelica e platonica.

Ciò che, riguardo alla causalità, contraddistingue la scienza moderna è invece:a) la limitazione della connessone causale alla connessione causale NATURALE (naturalismo);

b) l’ulteriore limitazione di tutte le varianti della connessione causale naturale alla connessione causale EFFICIENTE;

c) lo sforzo di ridurre le cause efficienti a cause FISICHE (meccanicismo);

d) la richiesta di SOTTOPORRE A VERIFICA le ipotesi causali tramite osservazioni ripetute e, dove sia possibile, tramite la riproduzione in esperimenti controllabili;

e) un’estrema CAUTELA nell’attribuzione delle cause e uno sforzo incessante inteso a ridurre al minimo il numero delle pretese cause naturali ultime (parsimonia);

f) il rilievo accordato alla ricerca di LEGGI, tanto causali quanto non causali;

g) la traduzione MATEMATICA delle connessioni causali.

Anche se praticata da molti scienziati dell’antichità, la prima di queste caratteristiche – vale a dire la restrizione delle cause a fattori naturali – non risultò fermamente assodata fino al diciottesimo secolo; prima di allora venivano ammesse fra i determinanti causali cause e ragioni sovrannaturali.»

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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