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Nella polemica brutta di Cattaneo contro Rosmini tutta l’arroganza della filosofia “moderna”

Nella brutta e velenosa polemica di Carlo Cattaneo contro Antonio Rosmini, a proposito del ruolo e della funzione svolti da Gian Domenico Romagnosi nel quadro della filosofia italiana, è possibile riconoscere tutta la becera arroganza dei vessilliferi del pensiero "moderno", venuti generosamente ad illuminarle tenebre dell’ignoranza del pensiero idealistico e metafisico.

Cattaneo era stato il discepolo prediletto di Romagnosi e, dunque, in lui parlava anche l’affetto privato nei confronti del suo maestro; ma la sua reazione alle critiche di Rosmini, puerilmente velenosa e gonfia di presunzione autoreferenziale, è una pagina che non gli fa onore e che getta una luce significativa sulla figura di questo pensatore che, anche in virtù di una maldestra rivisitazione delle sue idee politiche federaliste, è stata enormemente sopravvalutata.

Egli, fra l’altro, non si perita di paragonare Romagnosi ad un gigante e Rosmini ad un nano insolente: affermazioni sulle quali la storiografia filosofica ha già dato il suo giudizio e, quanto più passa il tempo, sempre più emergono l’originalità e la grandezza di Rosmini e sempre più appaiono il corto respiro e la limitatezza speculativa della figura di Romagnosi.

La cosa sarebbe ancora più evidente se la cultura italiana contemporanea, e non solo quella italiana, non fossero gravemente condizionate da un pregiudizio illuminista e anticattolico, di scoperta origine massonica e protestante, secondo cui ilo cattolicesimo stesso, dopo San Tommaso d’Aquino e Dante Alighieri, praticamente non avrebbe espresso più alcuna figura eminente di carattere filosofico, al di fuori del ristretto ambito chiesastico.

Per fare solo pochi esempi: quanti manuali di pedagogia si prendono la briga di ricordare la gigantesca figura di educatore di un Giovanni Bosco; quanti manuali di filosofia si danno il fastidio di ricordare la potente figura di pensatore di un Luigi Stefanini; quanti manuali di psicologia, oltre al "sacro" nome di Freud, si ricordano di citare anche quelli di qualche studioso cattolico, ad esempio di Ignace Lepp o del dottor I. Klug; per non parlare dei numerosi e importanti teologi moderni, che, essendo i cultori di una "scienza morta", vengono bellamente passati sotto silenzio, come se non valesse la pena di ricordarli neppure?

Ma torniamo a Rosmini e ai suoi strali infuocati contro Antonio Rosmini (del quale ultimo ci siamo già occupati nel saggio «La teoria rosminiana sull’origine delle idee: temi e struttura», apparso a suo tempo sul sito di Arianna Editrice).

Come abbiamo detto, l’occasione del contendere era una critica, non troppo velata, di ateismo e di materialismo, rivolta da Rosmini a Gian Domenico Romagnosi nel suo libro «Il rinnovamento della filosofia in Italia proposto da C. T. Mamiani della Rovere»; subito gli rispose il Cattaneo con un aspro, invelenito intervento sul numero di luglio 1836 del «Bollettino di notizie italiane e straniere», dal titolo, in apparenza stravagante ed estraneo all’argomento, «Statua marmorea per pubblica sottoscrizione di Giovanni Locke. Alcune parole ai nuovi Scettici calunniatori di Locke e di Romagnosi».

In effetti, il nesso c’era ed appariva subito chiaro, scorrendo le pagine dell’astioso libello: una volta stabilito, in maniera apodittica, che Locke è stato un gigante del pensiero, particolarmente per la sua abolizione delle idee innate, e che da lui è venuto un fondamentale e benefico rinnovamento della filosofia europea, bisognava di necessità difendere il Romagnosi a spada tratta, che di quel pensiero era stato, in certo qual senso, il diffusore in Italia, e respingere come sorpassato e oscurantista l’idealismo di Rosmini, rintuzzando le sue critiche al Romagnosi medesimo e negandogli addirittura, come il Cattaneo fece, la qualifica di filosofo.

Scrive, dunque, Carlo Cattaneo nel libello sopra citato (in: C. Cattaneo, «Scritti filosofici, letterari e vari», a cura di Franco Alessio, Firenze, Sansoni, 1957, 1990, pp. 16-26):

«In qualche parte d’Italia una nuova setta filosofica »

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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