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La persone ideologizzate sono disoneste perché si sentono nel giusto, invece di esserlo

Se dovessimo dire qual è il peccato mortale dell’intellettuale italiano, e specialmente di quello che si spaccia per progressista e magari per libertario, diremmo senz’altro: la disonestà intellettuale tipica delle persone ideologizzate, cioè faziose.

Il fazioso è colui che si sente sempre e comunque nel giusto, invece di preoccuparsi di esserlo nel fatto: ciò che lo rende spesso un maleducato, sempre un imbecille.

Un piccolo episodio personale, solo per chiarire il concetto.

Leggendo un recente articolo su Walther Darré, il ministro nazista per l’Agricoltura nelle cui idee alcuni ravvisano l’antecedente del moderno ecologismo, ci siamo accorti di una cosa imbarazzante: era tutto scopiazzato da un articolo di Anna Bramwell pubblicato sul mensile «Storia Illustrata» del novembre 1985 e tratto, a sua volta, dal suo libro «Walther Darré and Hitler’s Green Party» (Londra, Kensal Press, 1985).

Abbiamo segnalato il fatto al direttore di quel sito, perché, a casa nostra, un furto è sempre un furto, e il furto delle idee e del lavoro intellettuale altrui, anche se si tratta di uno scritto di venticinque anni prima, non è meno grave di qualunque altra forma di furto materiale; ne abbiamo avuto in ringraziamento una risposta telegrafica, al tempo stesso sgarbata e sprezzante. In sintesi, invece di scusarsi per il reato, magari inconsapevole, di ricettazione intellettuale (perché di questo si tratta), è come se quel signore avesse detto: «Chi se ne frega; noi siamo al di sopra di queste cose, dal momento che siamo politicamente nel giusto.»

Questa è la miseria degli intellettuali italiani, specialmente "progressisti" e "libertari": un misto di arroganza e di assoluto disprezzo per chi sia al di fuori della loro parrocchia e per la stessa verità dei fatti. A loro non interessano i fatti, gli basta sentirsi nel giusto: SENTIRSI, non ESSERLO; e se i fatti danno loro torto, tanto peggio per i fatti.

Sia detto fra parentesi, è ben questa la radice della loro impotenza, della loro nullità come fattore politico-sociale nella storia del nostro Paese. Vivono in un mondo a parte, artificiale ed autoreferenziale, dove sono abituati a dirsela e a farsela, ad applaudirsi tra di loro e a litigare tra di loro, con quella petulanza e con quella civetteria che è propria di chi si comporta, rispetto alla società, come un perfetto parassita: succhia la sostanza vitale senza dare nulla in cambio, se non un mare di chiacchiere – oh, ma per carità: chiacchiere rigorosamente progressiste e politicamente corrette al cento per cento.

Ecco perché non imparano mai niente dalla storia, perché non imparano mai niente dalle sconfitte. Non hanno saputo fare un minimo di onesta riflessione né sulla sconfitta del biennio rosso, nel 1919-20, né sulla sconfitta elettorale del 1948;e nemmeno su quella, altrettanto catastrofica, del 1992.

Nel 1992 Berlusconi ha stravinto a sorpresa, non perché sia un genio politico (tutt’altro), ma per l’assoluta insipienza della sinistra, aggravata dall’arroganza: quei signori si comportavano come se già avessero vinto, ancor prima che si andasse a votare. Allo stesso modo Mussolini nel 1922 e la Democrazia Cristiana nel 1948 si sono imposti al Paese – in forme assai diverse, ovviamente – non tanto per la credibilità della propria proposta (che anzi, in entrambi i casi, era alquanto confusa, per non dire contraddittoria), ma per la totale mancanza di credibilità di quella dei loro rispettivi oppositori.

Parafrasando una formula che fu applicata ai Borboni, si potrebbe dire che gli intellettuali nostrani, specialmente dell’area che si autodefinisce progressista, non dimenticano mai nulla e non imparano mai nulla.

Lasciamoli al loro vaniloquio, alla loro rozzezza intellettuale (anche se infiocchettata di fronzoli e lustrini d’ogni tipo), alla loro fondamentale disonestà intellettuale, che sono tutte conseguenze del loro peccato d’origine: il parassitismo sociale e culturale, il velleitarismo parolaio, la sbruffoneria e la mancanza di serietà e di rigore.

Anche per colpa loro e di tutti quelli che gli somigliano, l’Italia sarà di Berlusconi per chissà quanti altri anni ancora…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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