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Preghiera all’Essere di un viandante sulle strade polverose

Non sappiamo nemmeno che nome darTi

Tu che sei l’Ineffabile e l’Inesprimibile,

davanti al quale la nostra piccolezza microscopica

ci rende timidi, reverenti, consapevoli della distanza infinita.

Eppure, la scintilla di luce che arde in noi

ci spinge a scioglerTi un inno di lode e di ringraziamento

che si unisce a quello di altre innumerevoli creature

del mare, della terra e del cielo,

del mondo visibile e di quello invisibile.

Nulla abbiamo da domandare, perché Tu già conosci tutto

l’indigenza che si annida come un ragno nella tela della nostra vita,

la brama ardente di felicità che ci scuote come canne al vento

e ci fa stormire come milioni di foglie di pioppo

nella brezza leggera della sera

quando il lungo giorno estivo volge verso la pace del tramonto

in una gloria impareggiabile di colori incandescenti:

il giallo dorato degli ultimi raggi obliqui di sole

il rosso purpureo delle lunghe nuvole veleggianti all’orizzonte

il verde elettrico del cielo che trascolora dalla luce al pallore della notte.

Ogni cosa esprime la bellezza e canta la gioia

ogni cosa erompe in un frenetico batter di mani, come le fronde del bosco

quando un vento gagliardo le squassa con mano possente;

ovunque rifulge l’incommensurabile sapienza di un disegno armonioso

di una intelligenza perfetta e inimitabile.

Nulla abbiamo da chiederTi, perché Tu sai tutto

anche l’ombra che si cela, acquattata, nell’anima nostra

e tutto vedi, senza giudicare o condannare:

lasci che il giudizio tocchi a noi stessi, quando capiremo

quando ci saremo portati abbastanza in alto

vincendo il peso dell’egoismo, che ci trascina in basso.

Tu sai perché il cuore del giusto frema di orrore

davanti al trionfo apparente dei malvagi;

perché bambini innocenti soffrano crudelmente

mentre c’è chi specula e arricchisce sulle loro pene.

Ecco, questo solo Ti domandiamo: di aiutarci

non a capire, perché non lo potremmo,

ma a fidarci ciecamente del Tuo amore

che ci ha tratti dal nulla, portandoci all’essere.

Dacci la saldezza del cuore nelle tentazioni

e tieni da noi lontana l’ombra cupa della disperazione

col suo triste codazzo di seminatori di dubbi e di amarezze.

Tu, che splendi come un ghiacciaio immacolato

sotto i raggi del primo sole del mattino

nel primo giorno della storia del mondo;

Tu, che lambisci e carezzi dolcemente ogni cosa,

come l’onda del mare che va a frangersi sulla riva sabbiosa;

Tu, che sostieni gli animi sfiniti col fresco balsamo della Speranza

e fai cadere la pioggia ristoratrice sui campi riarsi delle nostre vite

dopo settimane di rovente canicola e di afosa oppressione

e non permetti che un solo filo d’erba inaridisca anzitempo:

lode e grazie a Te, fulgore di luce infinita

che si contrappone alle tenebre del nulla e della morte.

Tu non ci hai chiamati alla vita

per rigettarci nel gelido buio senza tempo,

ma per farci eredi di un regno che non ha limiti né conosce tramonti.

Nessuno può penetrare i tuoi insondabili progetti

né pretendere di strapparti un lembo d’infinito:

noi non siamo che creature incerte vaganti nella polvere

lungo strade che non sappiamo dove porteranno

ma che aneliamo ci ricongiungano a Te, padre di tutte le cose.

Accompagna i nostri passi, sostieni i nostri piedi sanguinanti

quando le rocce della via divengono più aguzze

e ci strappano brandelli di carne e gemiti di sofferenza.

Aiutaci a scorgere tutta la meraviglia, tutto lo splendore

del miracolo impareggiabile del mondo

che giorno dopo giorno distendi innanzi al nostro sguardo,

come una tavola imbandita di cento meraviglie per gli ospiti d’onore;

fai che impariamo a non saziarcene mai, a esultarne senza fine

unendoci alla gratitudine universale che si leva da ogni dove.

Aiutaci a rispondere alla chiamata con animo forte

a non lasciarci impigliare in false immagini di bene,

a non rincorrere illusori fantasmi di gioie inafferrabili;

rafforza la nostra capacità di prestarci senza riserve

alla piena e felice attuazione dei tuoi sapientissimi disegni.

e non permettere che la paura del dolore e della morte

ci turbi e ci avveleni la pura gioia della vita.

Noi sappiano che solo passando per la porta stretta

saremo poi in grado di scorgere la luce che non impallidisce

di ammirare il giardino che non intirizzisce alle brume invernali

e saziarci i sensi in riva al fiume che scorre sempre limpido e tranquillo.

Donaci un cuore nuovo, capace di amore e di perdono

perché abbiamo un gran bisogno di perdonare chi ci ha offeso

e di perdonare a noi stessi le nostre infedeltà.

Tu che hai tratto dal nulla ogni cosa per amore

insegna come si ama veramente a noi, così ignoranti

che chiamiamo amore il bruciante desiderio di possesso

e non sappiamo amare mai niente e nessuno, neanche noi stessi.

Se Tu ci ispirerai sentimenti di vero amore

sarà come se ci insegnassi a vivere, a pregare

perché la vita e la preghiera sono una cosa sola con l’amore

e una vita senza amore non è vita

così come una preghiera senza amore

non è che un vuoto soffio di voce, senza senso.

Ancora, scioglici la benda che ci copre gli occhi

e permetti al nostro sguardo di spaziare liberamente

saziandosi di luce come chi emerge da una caverna

dopo un lungo e penoso soggiorno nei recessi della terra.

Ora brancoliamo come ciechi, come poveri ubriachi

cui un vino troppo forte ha dato alla testa,

passiamo accanto ad infinite meraviglie senza neppur vederle

senza degnare d’uno sguardo splendori di bellezza impareggiabile.

Quando finalmente la benda ci cadrà dagli occhi

e saremo in grado di vedere con la seconda vista

il mondo si accenderà di colori che ora non scorgiamo

spargerà profumi che ora il nostro olfatto nemmeno percepisce

e risuonerà di melodie che nessun orecchio ha udito mai, neppure in sogno.

Allora una profonda pace e un senso d’intima armonia

ci scenderà nell’anima, sciogliendo il vecchio cuore di pietra

e ogni contraddizione ci apparirà illusoria,

il pungiglione del dubbio smetterà di tormentarci

vedremo che nessuna lacrima rimane sconsolata

nessun dolore resta senza un riscatto, ma che ogni cosa

viene assorbita e trasfigurata in un gran mare di luce, di bellezza.

Il nostro vagare sulle strade polverose del mondo

avrà finalmente un termine, come le nostre piaghe

cesseranno di dolerci e sanguinare; ogni afflizione sarà dimenticata.

Ritroveremo tutto, comprenderemo tutto, esulteremo per sempre di tutto.

Perché, tornati alla casa dell’Essere come dopo un lungo viaggio

ci renderemo conto che mai ci eravamo davvero allontanati

ma che eravamo sempre stati nella dimora dell’Essere

pur senza saperlo o senza ricordarlo, come poveri smarriti.

Sarà bello.

Sarà come ritrovare la parte più preziosa di noi stessi

tanto a lungo dimenticata chissà dove, laggiù in fondo;

sarà come ritornare a casa dopo un’assenza lunga e perigliosa

con il cuore trafitto da cento e cento lame di acuta nostalgia.

Allora il leone pascolerà con l’agnello, fraternamente,

e comprenderemo d’essere tutti una medesima famiglia.

Smetteremo di aver paura, di odiare e di bramare senza fine

smetteremo di lasciarci trascinare dal meschino egoismo

che ci fa vedere ovunque dei rivali da abbattere o delle prede da catturare.

Perdoneremo e saremo a nostra volta perdonati

e un gran senso di pace ci scenderà nel cuore, a rimanervi.

Solo allora la nostra preghiera sarà del tutto pura:

perché non avremo più nulla da chiedere

ma soltanto da lodare e ringraziare, senza fine.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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