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Hegel, il gran sofista, è stato anche il vate del Nulla

Sbaglierebbe chi credesse che il maestro per eccellenza del nichilismo, nella filosofia moderna, sia stato Sartre, con la sua opera «L’essere e il nulla»; o che sia stato, comunque, uno degli esistenzialisti.

Niente affatto: il gran maestro del Nulla è stato un paludato e acclamatissimo professore tedesco delle Università di Francoforte, Jena e Berlino: quel Georg Wilhelm Friedrich Hegel che fece coincidere l’Assoluto con la Storia e quest’ultima con lo Stato prussiano: marcia trionfale della Ragione che si svolge al passo cadenzato dei granatieri del Brandeburgo, accompagnata dal rullo dei tamburi e dal suono dei pifferi della fanfara militare.

Hegel, che è anche uno dei padri nobili (si fa per dire) dell’etnocentrismo e del razzismo, nelle loro forme più rozze ed insulse (cfr. il nostro precedente articolo, «Hegel e l’Africa», consultabile anch’esso sul sito di Arianna Editrice), compose una delle sue opere più importanti, la «Scienza della logica» (titolo originale: «Wissenschaft der Logik») fra il 1812 e il 1816 e la pubblicò in due volumi, a Norimberga.

L’opera fu tanto apprezzata che due anni dopo, nel 1818, il suo autore venne chiamato ad insegnare presso l’Università di Berlino, dove sarebbe rimasto fino alla morte (avvenuta nel 1831), occupando la cattedra di filosofia che già era stata di Fichte. In quegli anni, in un’altra aula di quel venerando edificio, massima istituzione della cultura accademica tedesca, le lezioni di un giovane professore anti-hegeliano, Arthur Schopenhauer – che ebbe a definire il più famoso collega "un Coribante della filosofia", ossia una sorta di danzatore ebbro ed invasato – venivano disertate dagli studenti, attirati dal gran nome del pensatore di Stoccarda…

La «Scienza della logica» vuole essere una teoria del pensiero oggettivo, ossia del pensiero nell’atto di formare e produrre i concetti, che ha come contenuto le proprie determinazioni pure e che, al tempo stesso, costituisce l’intima costituzione di ogni ente, al di là delle strutture accidentali del mondo fenomenico.

D’altra parte, in armonia con la persuasione di Hegel che il sapere filosofico sia l’Assoluto e che il fine ultimo di ogni storia umana sia il sapere assoluto, egli formula una teoria della negazione che, riprendendo il concetto di Spinoza, secondo cui ogni determinazione è una negazione, giunge a fare della negazione stessa il supremo principio ontologico.

Per Hegel, la negazione non è mai negazione generica, ma sempre negazione determinata, ossia negazione di un contenuto ben determinato Ora, «nella misura in cui i membri dell’opposizione s rapportano negativamente l’uno all’altro, essi si contengono e nello stesso tempo si escludono a vicenda» (F. Longato). Cade così il principio d’identità o di contraddizione, nel senso che ogni relazione sussiste in quanto tale, in quanto è relazione al proprio "altro"; e, nella misura in cui si crea una coppia di contenuti che si pongono in contraddizione reciproca, essi si contengono e, contemporaneamente, si escludono.

Ciò costituisce, per Hegel, una palese violazione del principio di contraddizione; e, tuttavia, non corrisponde ad una forma di inconsistenza, bensì alla fonte più intima e viva di ogni vita dello spirito, vista come incessante processo dialettico.

Poiché per questa pretesa "scoperta" Hegel è stato salutato come uno dei più grandi geni della storia del pensiero umano, dando vita a una corrente filosofica che, attraverso Croce e Gentile (ma anche attraverso Feuerbach e Marx) ha avuto enormi ripercussioni ed è giunta direttamente fino ai giorni nostri, vale la pena di considerare più da vicino la "genialità" di quella teoria.

In particolare, vale la pena di rilevare che Hegel non si limita a postulare l’equivalenza di ogni contenuto determinato e del proprio opposto (cosa che ricorda da vicino la satira dei sofisti fatta da Aristofane nella commedia «Le nuvole», ingenerosamente diretta contro Socrate), ma applica questo schema di ragionamento anche al contenuto assoluto, ossia all’essere.

Il risultato è che l’essere e il nulla sono, in realtà, una cosa sola: perché tutto ciò che si contrappone a qualcosa, si contrappone a un ente determinato; e, in tal modo, si determina anch’esso in quella contrapposizione, venendo a coincidere con la cosa cui si oppone.

È ben vero che Hegel, dopo aver esposto, senza batter ciglio, la teoria che l’essere e il nulla sono una stessa e medesima cosa, viene sfiorato – per un attimo – dal dubbio che qualcuno potrebbe non capirla, o quanto meno, trovarla "sorprendente"; ma, con tipica sicumera professorale, subito si riprende, affermando che di una simile reazione «non v’è da fare un gran caso». Al contrario, egli dice che vi sarebbe da meravigliarsi di quella meraviglia, perché tutti sanno che il pensare della filosofia è altra cosa dal pensare ordinario, in quanto le sue determinazioni non sono soggette alle categorie della coscienza ordinaria e del cosiddetto senso comune.

Riportiamo, dunque, il passaggio in cui Hegel afferma l’identità dell’essere e del nulla, affinché il lettore posa farsene un’idea personale (da G. W. F. Hegel, «Scienza della logica»; traduzione italiana di A. Moni rivista da C. Cesa, Bari, Laterza, 1977, vol. 1, 84-87):

«L’essere è l’Immediato indeterminato. Esso è scevero della determinatezza rispetto all’essenza, com’è ancora scevro da ogni altra determinatezza che possa conseguire dentro se stesso., Questo essere irriflesso è l’essere com’è immediatamente soltanto in lui stesso.

Essendo indeterminato, è un essere privo di qualità; ma in sé il carattere dell’indeterminatezza non gli compete che per contrapposto al determinato, ossi al qualitativo. Ora all’esser in generale viene a contrapporsi l’essere determinato come tale, ma con questo è la sua indeterminatezza stessa, quella che costituisce la sua qualità. Si mostrerà quindi che il primo essere è un essere in sé determinato, e che per ciò

  • in secondo luogo, passa nell’esser determinato, è esser determinato; ma che questo, come essere finito, si toglie, e nell’infinito riferirsi dell’essere a se stesso , passa

  • in terzo luogo, nell’esser per sé.

A. Essere

Essere, puro essere, senza nessun’altra determinazione. Nella sua indeterminata immediatezza esso è simile soltanto a se stesso, ed anche non dissimile di fronte ad altro; non ha alcuna diversità né dentro di sé, né all’esterno. Con qualche determinazione o contenuto, che fosse diverso in lui, o per cui esso fosse posto come diverso da un altro, l’essere non sarebbe fissato nella sua purezza. Esso è la pura indeterminatezza e il puro vuoto. – Nell’essere non v’è nulla da intuire, se qui si può parlare d’intuire, ovvero esso è questo puro, vuoto intuire stesso. Così non vi è nemmeno qualcosa da pensare, ovvero l’essere non è, anche qui, che questo vuoto pensare. L’essere, l’indeterminato Immediato, nel fatto è nulla, né più né meno che nulla.

B. Nulla.

Nulla, il puro nulla. È semplice simiglianza con sé, completa vuotezza assenza di determinazione e di contenuto; indistinzione in se stesso. – Per quanto si può qui parlare di un intuire o di un pensare, si considera come differente, che s’intuisca o si pensi qualcosa oppur nulla. Intuire o pensar nulla, ha dunque un significato. I due si distinguono; dunque il nulla è (esiste) nel nostro intuire o pensare, o piuttosto è lo stesso vuoto intuire e pensare ch’era il puro essere. – Il nulla è così la stessa determinazione o meglio assenza di determinazione, epperò in generale lo stesso, che il puro essere.

C. Divenire

  1. Unità di essere e nulla.

Il puro essere e il puro nulla son dunque lo stesso. Il vero non è né l’essere né il nulla, ma che l’essere, – non passa -, ma è passato, nel nulla , e il nulla nell’essere. In pari tempo però il vero non è la loro indifferenza, , la loro indistinzione, ma è anzi ch’essi non son lo stesso, che essi sono assolutamente diversi, ma insieme anche inseparati e inseparabili, e che immediatamente ciascuno d’essi sparisce nel suo opposto. . la verità dell’essere e del nulla è pertanto questo movimento consistente nell’immediato sparire dell’uno di essi nell’altro: il divenire; movimento in cui l’essere e il nulla son differenti, ma di una differenza, che si è in parti tempo immediatamente risoluta.

Nota 1.

Il nulla si suol contrapporre al qualcosa. Ma qualcosa è già un ente determinato, che si distingue da un altro qualcosa, e così anche il nulla contrapposto al qualcosa è il nulla di un certo qualcosa, un nulla determinato. Qui però il nulla da intendere nella sua indeterminata semplicità. – Quando si volesse riguardare come più esatto il contrapporre all’essere il non essere, invece che il nulla, non vi sarebbe niente da dire in contrario, quanto al resultato poiché nel non essere è contenuto il riferimento all’essere; il non essere è tutti e due, l’essere e la sua negazione, , espressi in uno, il nulla, com’è nel divenire. Ma da principio non si tratta della forma dell’opposizione, cioè in pari tempo del riferimento; si tratta soltanto della negazione astratta, immediata, del nulla preso puramente per sé, della negazione irrelativa, – ciò che, volendo, si potrebbe anche esprimere per mezzo del semplice: Non…»

Davvero ci sembra che, in questa pagina, si respiri l’atmosfera malsana ed esaltata del professore che scambia le parole per cose; che si inebria a tal punto del pensiero – del proprio pensiero, visto come il vertice della filosofia di tutti i tempi – da abbandonarsi a quella danza orgiastica di autoglorificazione, suonando il flauto e percuotendo il timpano, cui alludeva Schopenhauer quando paragonava Hegel a un Coribante, ossia a un sacerdote della dea Cibele.

In effetti, tutto il pensiero di Hegel è caratterizzato da una circolarità che si risolve in autoreferenzialità: se il sapere filosofico è l’Assoluto, e se la storia universale muove verso il sapere assoluto, ecco che il pensiero pensa se medesimo sia sul piano dell’assoluto (il che può anche ammettersi, in sede logica), sia sul piano del relativo: quello, appunto, della storia; il che conduce, palesemente, a tutta una serie di assurdità.

Proprio lui, che aveva tanto insistito sulla distinzione fra il piano della determinazione in sé e quello della determinazione in rapporto all’altro, scivola così nella grossolana indistinzione dei piani, di cui un esempio è proprio la pagina che abbiamo riportato.

Che cosa significa, infatti, affermare che «il puro essere e il puro nulla sono la stessa cosa» e, subito dopo, aggiungere che «il vero non è né l’essere né il nulla, ma che l’essere, – non passa -, ma è passato, nel nulla, e il nulla nell’essere»?

Che cosa significa, in quest’ultima proposizione, il concetto di "vero"? Da quale cappello di prestigiatore è mai saltato fuori, così, all’improvviso?

Hegel aveva appena finito di ribadire che l’essere indeterminato (l’essere in sé), quando passa nell’essere determinato, si "toglie" (si identifica con il suo contrario, annullandosi), per poi "risorgere", passando, in una nuova e più perfetta forma di essere (essere per sé), secondo la nota triade dialettica: tesi-antitesi-sintesi.

Dunque, «il nulla è (esiste) nel nostro intuire o pensare, o piuttosto è lo stesso vuoto intuire e pensare ch’era il puro essere»; e ancora, «il nulla è così la stessa determinazione o meglio assenza di determinazione, e perciò in generale lo stesso, che il puro essere».

Ora, però, salta fuori la categoria del "vero": il vero che non è né l’essere, né il nulla, ma il fatto del passaggio dell’essere nel nulla e del nulla, al tempo stesso, nell’essere.

Sembra tutto un bel gioco di prestigio; ma non si capisce da dove tutto ciò provenga.

Chi è, inannzitutto, che pone questo "vero", se non c’è nulla anteriormente all’essere e se, d’altra parte, l’essere, anteriore a ogni determinazione, è l’essere "vuoto", e solo determinandosi si concretizza, per così dire, ma al tempo stesso si annulla; per poi risorgere, più o meno miracolosamente, dalle proprie ceneri, trasformato in un glorioso essere-per-sé?

È chiara la derivazione da Spinoza, ed è chiaro che Hegel incorre nelle stesse aporie del suo predecessore. Se l’essere indeterminato è privo di qualità, allora é chiaro che non è l’Essere; è soltanto la possibilità dell’essere o, meglio, la possibilità dell’essere dei singoli enti.

Ma per mezzo di quale miracolo questo essere indeterminato, a un certo punto, prende a determinarsi, contrapponendosi al non essere del suo contrario, e dunque identificandosi col nulla? Questo è un passaggio decisivo, e anch’esso viene semplicemente "posto", ma niente affatto spiegato.

Ora, in filosofia non basta porre l’essere e il non essere; bisogna giustificarne i passaggi.

E se il "vero" non è la verità dell’Essere, a quale vero mai si riferisce Hegel? Forse alla "verità" dell’osservatore, ossia del soggetto pensante?

Egli, probabilmente, avrebbe risposto che non c’è alcuna reale distinzione fra il soggetto pensante e il pensiero in quanto tale: la sua filosofia, infatti, ruota attorno al perno dell’identità di Reale e Razionale: e dove c’è l’uno, lì c’è anche l’altro.

Un pensiero che non pensa nulla, anzi, che pensa solo se stesso, sarebbe dunque all’origine di tutta la realtà.

Questa è la concezione del Motore Immobile di Aristotele. Ma Aristotele non si sognava di presentare il Motore Immobile come la realtà assoluta, come l’ultimo grado di realtà.

Infatti è evidente che dove c’è pensiero, lì c’è anche un pensatore; ma il pensatore e il pensiero non possono essere una sola e medesima cosa, se non a un livello assoluto di realtà. Invece l’essere indistinto e indifferenziato di Hegel, anteriore a ogni determinazione, si fa pensiero di qualcosa (come?) e, in tal modo, scende nel piano del relativo, annullandosi.

Bisogna proprio deificare la storia, a questo punto, per farlo risorgere, sotto forma dell’essere per sè! In che modo lo potrebbe, altrimenti, se fosse solo pensiero pensato da un pensante che giace sul piano del relativo?

A noi pare che sia proprio una astrazione: un qualcosa di cui possono parlare i professori universitari, compiacendosi di aver scoperto e smontato il meccanismo della Ragione universale fin nei suoi più minuti ingranaggi; ma che non solo il senso comune, ma anche una sana mente filosofica, non possono e non potranno mai concepire.

Tanto meno potrebbero concepire come un tale essere indistinto e indifferenziato, una volta piovuto nel cielo degli enti e "scontratosi" con la sua negazione (o negatosi con la sua affermazione, il che, per Hegel, sembra essere lo stesso) , si annulli istantaneamente, come un atomo di antimateria che si urti con un atomo di materia; per poi ricomparire allo stato di essere-per-sé, superamento di ogni opposizione e inveramento di ogni opposto.

Hegel non soltanto ha introdotto la pazzia nel mondo; ha anche costruito un castello di carte in cui nulla si dice del singolo soggetto individuale, nulla si dice della mia vita, qui e ora.

Pare che Hegel conosca ogni più riposto pensiero dello Spirito Assoluto, tuttavia non ha niente da dire agli esseri concreti: strana filosofia, invero, codesta.

Ma a che altro mai serve la filosofia, se non ad aiutarci a gettare un poco di luce nelle ombre che assediano da ogni lato la nostra vita, nella sua concretezza e irripetibilità?

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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