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«Niente dialogo fra ebrei e cristiani». Lo scoprite ora?

Nella Chiesa del Vaticano II hanno fatto una scoperta straordinaria: che non c’è, e non c’è mai stato, un dialogo fra ebrei e cristiani. Logico. Per dialogare bisogna essere in due; ma se da una parte si vuol dialogare e dall’altra si pretendono solo scuse, ravvedimenti, auto-mortificazioni, il dialogo non funziona, non c’è proprio. Solo che nessun cristiano, e a maggior ragione nessun cattolico, avrebbe mai potuto dirlo: è la sacrosanta verità, ma sarebbe politicamente scorretto dirla a voce alta. Dunque, a dirla bisognava che fosse un ebreo, non un cristiano; allora sì la si poteva ascoltare, accettare, e riflettervi sopra. Magari per trarne delle conclusioni non molto migliori della premessa, ossia che si possa e si debba dialogare sempre, infaticabilmente, anche con chi non ha alcuna intenzione di farlo, perché il dialogo non sa neppure cosa sia. Comunque, l’importante è che qualcuno finalmente l’abbia detta, quella verità: adesso sta ai cristiani, e particolarmente ai cattolici, trarne le giuste conclusioni.

L’ebreo che ha detto questa ovvia verità è lo storico e teologo Jacob Neusner (Hartford, Connecticut, 28 luglio 1932-Rhinebeck, New York, 8 ottobre 2016), rabbino, professore di storia e teologia del’ebraismo preso il Bard College di New York, nonché membro di svariate e prestigiose istituzioni accademiche, uno degli scrittori più pubblicati in tutto il mondo, con una bibliografia che sfiora le 1.000 pubblicazioni, e uno dei più citati nelle riviste e nei libri di argomento spirituale e religioso. È suo il libro Ebrei e cristiani. Il mito di una tradizione comune, tradotto nel 2009 dalle Edizioni San Paolo, nel quale sostiene che, diversamente da ciò che pensa la gente comune (in ambito cristiano), le due religioni sono sempre state impermeabili l’una all’altra, dopo il "distacco" dei cristiani dall’ebraismo, ha fatto riflettere seriamente, per la prima volta, i fautori del dialogo ad oltranza, e li ha costretti a misurarsi con la pochezza, o meglio con la nullità, dei risultati conseguiti. È stata senza dubbio una doccia gelata per alcuni, forse per molti; tuttavia una doccia salutare, se il confronto coi fatti vale più dell’ideologia.

Tuttavia c’è da dubitare che la lezione sia stata compresa proprio da quelli cui era diretta: non c’è peggior sordo di chi non vuole udire, né peggior cieco di chi non vuol vedere. Nel 2007 era uscito il primo volume dell’opera di Benedetto XVI su Gesù di Nazareth, e tale pubblicazione aveva ridestato l’interesse intorno a un precedente libro di Neusner, Un rabbino parla con Gesù, la cui prima edizione risale al 1993; poi, nel 2011, era stata tradotta (in italiano dall’editore Marietti) la "risposta" ebraica all’opera di Benedetto XVI, in un volume scritto da Achim Buckenmaier, Rudolf C. Pesch e Ludwig Weimer intitolato L’ebreo Gesù di Nazaret. Un contribuito al dialogo fra Benedetto XVI e Jacob Neusner. Questa, infatti, è l’idea che si ha del dialogo da parte della Sinagoga: Gesù è ebreo, come dire: è cosa nostra; voi ve ne siete impossessati, in un certo senso quasi di frodo. Abbiamo già avuto modo di dire cosa pensiamo di questa impostazione, che è tipica della cultura rabbinica di oggi, di ieri e di sempre, a proposito del libro di Riccardo Calimani, Gesù ebreo, edito da Rusconi nel 1990 (vedi il nostro articolo: Gesù ebreo? No grazie, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 20/09/10, e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 29/01/18; vedi anche E dopo Gesù ebreo, poteva mancare san Paolo ebreo?, sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 19/10/20). La loro posizione è questa: «Gesù è ebreo; qualunque cosa voi diciate o facciate, non potete cambiare questo fatto: dunque rassegnatevi, voi siete e sarete per sempre i fratelli minori dell’ebraismo. Qualsiasi cosa diciate o facciate, noi l’avevamo detta e fatta prima di voi; e anche il vostro Gesù non è che un prodotto della nostra religione e della nostra cultura». Infatti, come si può presentare un libro dal titolo L’ebreo Gesù di Nazaret, con il sottotitolo Un contributo al dialogo fra Benedetto XVI e Jaconb Neusner? Questo non è un dialogo: è un’intimazione di resa senza condizioni. Se Gesù era un ebreo e basta, che altro c’è da dire? Il fatto che abbia fondato una nuova religione passa in secondo piano, diventa un dettaglio trascurabile.

Ma ecco cosa dice Jacob Neusner a proposito del tanto decantato "dialogo" e, più in generale, della supposta "tradizione comune" di ebraismo e cristianesimo, nel presentare il suo saggio Ebrei e cristiani. Il mito di una tradizione comune (cit. da: Pagine aperte, mensile bibliografico, Torino, n. 1 gennaio-febbraio 2010, pp. 48-49):

È vero, cristianesimo ed ebraismo hanno in comune parte delle sacre Scritture, l’Antico Testamento o Torah scritta. Ma tali scritti fanno parte di un canone più ampio, la Bibbia per il cristianesimo e la Torah per l’ebraismo.

Il cristianesimo legge la Bibbia, l’ebraismo studia la Torah. Mentre poche volte si raggiungono conclusioni che coincidono, generalmente le due religioni non condividono temi comuni e non hanno portato avanti alcun vero dialogo. La Scrittura può fornire una base comune, ma essa ha condotto soltanto alla divisione, perché l’Antico Testamento serve al cristianesimo solo in quanto prefigurazione del Nuovo e la Torah scritta per l’ebraismo può e deve essere letta solo nell’ottica di adempimento e completamento compiuti dalla Torah orale. Per misurare la distanza tra cristianesimo ed ebraismo, allora, occorre attraversare l’abisso posto tra il Nuovo Testamento e la Torah orale (la Mishnah, i due Talmudin, le raccolte di Midrashim). E lo si è già fatto, per quanto nel capitolo conclusivo di questo libro, mostrerò in che modo ritengo ci si possa incontrare nel mezzo. È perfettamente ovvio comunque, stando così le cose, che nessuna delle due religioni possiede una teoria sull’altra formulata in termini che la seconda possa condividere e questo pone in rilievo il punto fondamentale: le sue religioni non si sono mai parlate né possono farlo ora.

Ciò è del tutto prevedibile, dato il carattere delle tradizioni religiose come espressioni, ognuna nel proprio ambito, dell’ordine sociale appellandosi a una verità soprannaturale — integra ed esclude, definendo sia le linee portanti sia i limiti esterni. Così, difficilmente possiamo aspettarci che le religioni, viste sotto tale ottica, cominciano a compiere quel che non è dato loro di fare. Se, allora, si verificherà il dialogo che oggi ebrei e cristiani desiderano, esso dovrà nascere da una forte comprensione del carattere delle religioni, ognuna vista nella sua interezza come espressione dell’ordine sociale e come struttura del sistema sociale. Allora e soltanto allora l’incontro potrà cominciare: l’unione di due insiemi ben compaginati, ognuno sicuro di sé ma anche attratto dall’altro, entrambi vincolati da interessi condivisi e da obiettivi comuni.

In questo saggio svilupperò tali punti in tre modi. Primo, nei capitolo 1 e 2 sottolineo che «fin dagli albori i mondi religiosi ebraico e cristiano interagirono assai poco». Mentre comunemente il cristianesimo è rappresentato come una germinazione dell’«ebraismo», di fatto iniziò come sistema religioso autonomo e assoluto, solo in seguito si formulò la teoria delle sue origini assumendo e facendo proprie alcune componenti dell’antico Israele.

Nei capitoli 3 e 4 abbraccio un periodo di tempo che va dal I al IV secolo ed esamino le occasioni in cui ritengo che «ebraismo e cristianesimo si focalizzino su uno stesso tema». Ma persino in questo caso non ebbe luogo alcun dialogo né dibattuto di nessun genere.

Dal capitolo 5 all’8 «passo da un discorso storico a uno teologico». Nel capitolo 5 prendo in esame sia il lato negativo sia quello positivo dello stesso argomento. Concludo che non esiste ora, né mai è esistita, una tradizione ebraico-cristiana.

Ne capitolo 6 espongo brevemente una delle «ragioni» fondamentali «della mancanza di dialogo», cioè l’incapacità dei sistemi religiosi di prendere in considerazione l’altro o quanto è estraneo a loro; un ostacolo davvero notevole.

I capitoli 7 e 8, poi, mirano a far procedere il discorso. Il viaggio sarà lungo e difficile, ma se a posteriori si rivelerà che ho aperto la strada per il primo passo, sarà stato «un contributo» meritevole. Solo quando riconosciamo la diversità possiamo apprezzare i punti in comune: l’amore per l’unico e lo stesso Dio; il comando assoluto, dato a tutti noi da quell’unico Dio, di amarci a vicenda. I «modi» in cui ci si ama scambievolmente costituiscono il compito del XXI secolo, ma i terrori del XX ci hanno insegnato per quale motivo lo dobbiamo fare.

Dunque, il dialogo fra le due religioni non c’è mai stato, e questo perché entrambe si sono mostrate incapaci di apprezzare l’altra come un tutto completo, integro, coerente; mentre ora, se il dialogo avrà inizio (e il Neusner se ne attribuisce in anticipo il merito e la gloria) è perché abbiamo capito tutti quanti, grazie appunto all’autore, che la dialettica dei distinti conduce alla scoperta e all’apprezzamento di ciò che essi hanno in comune. Gira e rigira, è sempre il vecchio schema hegeliano, che poi è ricalcato sull’ancor più vecchio schema cabalistico, per il quale dall’urto della tesi e dell’antitersi nasce la sintesi. Che cosa di buono e di utile si possa poi ricavare da tale sintesi, non è dato capire. Il concetto stesso delle due religioni, che dovrebbero parlarsi e capirsi accettando l’una la completezza dell’altra, è teologicamente inaccettabile., a meno di accettare il più fluido relativismo. Non ci sono due o più religioni: c’è la vera religione e ci sono le false religioni. Fermo restando che Gesù ha condannato ai suoi seguaci di amare tutti gli uomini, non si possono amare tutte le religioni; anzi non se ne può amare né prendere per buona alcuna, all’infuori della vera. Si dirà che questo è assolutismo e che denota un atteggiamento d’intolleranza. No: questa è logica. Come non ci sono due o più verità, perché la verità è una e indivisibile, così non ci sono due o più religioni. E non è nemmeno vero che i cattolici non abbiano tentato di dialogare a ogni costo: che cosa poteva aspettarsi di più, un ebreo, di quanto c’è scritto nella Nostra aetate del 28 ottobre 1965? E infatti, essa è stata praticamente scritta dai rabbini del B’Nai B’rith, gli amici del cardinale Bea. Pure, non basta ancora: per quelli come Neusner, non basterà mai, fino a quando i cristiani non diranno: sì, l’ebraismo è tanto vero quanto la fede in Gesù risorto; entrambe le fedi si rivolgono allo stesso Dio; portano entrambe alla salvezza, a pari merito. Il che, ultimamente, è stato fatto: sia in documenti ufficiali che in discorsi estemporanei, gi ultimi papi hanno espresso precisamente questi concetti, sempre partendo dal fatto che gli ebrei sono i fratelli maggiori dei cristiani, il che è una falsità e una sciocchezza. Gesù Cristo non ha fratelli maggiori: Lui, l’Uomo-Dio, è venuto per tutti gli uomini, sul solco dei Profeti e delle Scritture ebraiche, certo: ma gli ebrei non l’hanno voluto. Questo è il punto, questo è il nodo ineludibile: e non ci sono chiacchiere che possano aggirare uno scoglio di tali proporzioni. Questo, sul piano teologico.

Sul piano storico, Neusner si duole che per secoli le due religioni non si siano parlate, non si siano confrontate, non si siano ascoltate. Omette di dire, lui grande studioso del Talmud, che i seguaci del Talmud, per secoli e secoli, e fino ai nostri giorni, quando pregano lanciano terribili invettive e maledizioni contro Gesù Cristo (che dal nostro, pudicamente, non viene mai neppure nominato: e come può un ebreo predicare il dialogo col cristianesimo, tacendo quel Nome?) e contro i suoi seguaci; mente dal versante opposto, quello dei cristiani, la musica è sempre stata tutt’altra. Per convincersene, basta rileggere il seguente passo di san Paolo, dall’Epistola ai Romani, 11, 25-32:

25 Infatti, fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi: un indurimento si è prodotto in una parte d’Israele, finché non sia entrata la totalità degli stranieri; 26 e tutto Israele sarà salvato, così come è scritto:«Il liberatore verrà da Sion. 27 Egli allontanerà da Giacobbe l’empietà; e questo sarà il mio patto con loro, quando toglierò via i loro peccati». 28 Per quanto concerne il vangelo, essi sono nemici per causa vostra; ma per quanto concerne l’elezione, sono amati a causa dei loro padri; 29 perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili. 30 Come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio, e ora avete ottenuto misericordia per la loro disubbidienza, 31 così anch’essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch’essi misericordia. 32 Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti.

Il cuore del messaggio cristiano è che Gesù è venuto per la salvezza di tutti, anche e in primo luogo degli ebrei; ma gli ebrei non l’hanno voluto ascoltare, né riconoscere come Messia e Figlio di Dio, e anzi l’hanno voluto mettere a morte. Questi sono i fatti. Né risulta che, nei duemila anni successivi, qualche rabbino abbia mai espresso rammarico per quella condanna: al contrario, il Talmud insegna ad alimentare senza posa l’odio per Cristo e i suoi seguaci. E allora, meglio lasciar cadere l’ipocrisia del dialogo. Non c’è salvezza fuori di Gesù: questa è la verità che la Chiesa ha sempre insegnato.

Fonte dell'immagine in evidenza: Image copyright © Archivio Luciano e Marco Pedicini

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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