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Figli della luce e figli delle tenebre

L’arcivescovo Carlo Mara Viganò, nella Lettera aperta del 7 giugno 2020, domenica della Santissima Trinità, al presidente statunitense Donald Trump, ha ancor più sintetizzato, se possibile, e con efficacia e chiarezza ancora maggiori, sempre se possibile, quanto già aveva scritto nel suo Appello per la Chiesa e per il mondo dell’8 maggio scorso, mostrando una capacità di comprensione e di giudizio che, in questi tempi di appiattimento e conformismo generalizzati, se non peggio, si può ben definire eccezionale.

Signor Presidente,

 stiamo assistendo in questi mesi al formarsi di due schieramenti che definirei "biblici": i figli della luce e i figli delle tenebre. I figli della luce costituiscono la parte più cospicua dell’umanità, mentre i figli delle tenebre rappresentano una minoranza assoluta; eppure i primi sono oggetto di una sorta di discriminazione che li pone in una situazione di inferiorità morale rispetto ai loro avversari, che ricoprono spesso posti strategici nello Stato, nella politica, nell’economia e anche nei media. Per un fenomeno apparentemente inspiegabile, i buoni sono ostaggio dei malvagi e di quanti prestano loro aiuto per interesse o per pavidità.

Questi due schieramenti, in quanto biblici, ripropongono la separazione netta tra la stirpe della Donna e quella del Serpente. Da una parte vi sono quanti, pur con mille difetti e debolezze, sono animati dal desiderio di compiere il bene, essere onesti, costituire una famiglia, impegnarsi nel lavoro, dare prosperità alla Patria, soccorrere i bisognosi e meritare, nell’obbedienza alla Legge di Dio, il Regno dei Cieli. Dall’altra si trovano coloro che servono se stessi, non hanno principi morali, vogliono demolire la famiglia e la Nazione, sfruttare i lavoratori per arricchirsi indebitamente, fomentare le divisioni intestine e le guerre, accumulare il potere e il denaro: per costoro l’illusione fallace di un benessere temporale rivelerà — se non si ravvedono — la tremenda sorte che li aspetta, lontano da Dio, nella dannazione eterna.

Nella società, Signor Presidente, convivono queste due realtà contrapposte, eterne nemiche come eternamente nemici sono Dio e Satana. E pare che i figli delle tenebre — che identifichiamo facilmente con quel "deep state" al quale Ella saggiamente si oppone e che ferocemente le muove guerra anche in questi giorni — abbiano voluto scoprire le proprie carte, per così dire, mostrando ormai i propri piani…

In poche righe, riallacciandosi alle due città di Sant’Agostino – la città di Dio e la città degli uomini, che in ultima analisi è la città del Diavolo – monsignor Viganò ha saputo delineare il quadro complessivo, politico, economico, culturale e religioso nel quale ci muoviamo al presente. È stato creato dai meccanismi della globalizzazione, ma i signori che stanno in cabina di regia non hanno pensato che proprio in virtù di quei meccanismi anche le connessioni fra i diversi fili della loro congiura planetaria sarebbero apparse sempre più chiare. È pur vero che quei signori, i Padroni Universali, come li chiamava Giulietto Chiesa, sono arrivati a un punto tale di protervia e sicurezza di sé che non si curano più, come in passato, di nascondere le loro trame, anzi stanno cominciando a levarsi apertamente la maschera. Come interpretare diversamente il comportamento di Bill Gates, il quale da anni "predice" una pandemia da Coronavirus e un’emergenza sanitaria mondiale, e poi si affretta ad offrire il vaccino da lui stesso prodotto ai diversi governi, fra i quali il governo italiano, come rimedio all’emergenza sanitaria? Oppure il comportamento del sedicente papa Bergoglio, il quale, dopo aver giocato per anni sul filo dell’eresia e della blasfemia, ora non si preoccupa più di bestemmiare apertamente e d’insegnare pubblicamente le più manifeste eresie e le più sacrileghe sconcezze, fino a intronizzare i demoni nella basilica di San Pietro?

Il fatto è che costoro, come osserva monsignor Viganò, sono certi di aver già vinto, o quantomeno di avere la vittoria finale in pugno; ragionano già da vincitori, e ciò spiega il voluto venir meno di ogni misura di prudenza e discrezione da parte loro. Che bisogno c’è di occultare i propri piani, se il nemico è stato sconfitto e ovunque regna il Nuovo Ordine imposto dal vincitore? Essi ormai sono già mentalmente proiettati nella Fase Due, quella del consolidamento della loro vittoria e dello sfruttamento di essa fino al limite estremo possibile.

L’espressione figli della luce e figli delle tenebre è, in realtà, evangelica; è stato lo stesso Gesù Cristo a servirsene, precisamente nella parabola dell’amministratore disonesto (Luca, 16, 1-8) là dove dice, a commento del comportamento di quell’uomo: il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce (v. 8). E ancora (Giovanni, 12, 46): Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. E ancora (Gv 3, 16-21):

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 

E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

E san Paolo, nella Prima lettera ai Tessalonicesi (5, 1-11):

Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. E quando si dirà: «Pace e sicurezza», allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii.

Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, sono ubriachi di notte. Noi invece, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobrii, rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza. Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a vicenda edificandovi gli uni gli altri, come già fate.

Il concetto, dunque, è chiaro: chi accogliere Cristo è nella luce, perché Cristo è la luce che rischiara il mondo; chi lo rifiuta è nelle tenebre. E chi è nelle tenebre non vuole che le sue opere appaiano in piena luce, perché apparirebbero in tutta la loro malvagità; mentre chi è nelle tenebre vuole che tutto avvenga nelle tenebre, affinché la sua iniquità non sia manifestata. Così agiscono i falsi pastori della falsa chiesa: mentono, spergiurano, ingannano i fedeli, tradiscono le pecorelle del gregge che è stato loro affidato, le spingono verso i lupi famelici perché ne facciano strage. Bergoglio, in Amoris laetitia, dice che in certi casi l’adulterio diventa legittimo, diventa un atto di fedeltà a Dio. Così il male diventa bene, e il bene diventa male. Non per nulla si è rifiutato di rispondere ai dubia dei quattro cardinali: che avrebbe potuto rispondere? È tutto molto chiaro. Gesù dice: Se il tuo occhio ti dà scandalo, strappatelo; e dice anche: L’uomo non separi ciò che Dio ha unito. Ma Bergoglio no, lui vuol cambiare la parola di Cristo: e lo fa parlando con lingua di serpente, non dicendo apertamente di voler cambiare il Vangelo, ma di fatto cercando di cambiarlo, introducendo il tranello del falso discernimento, così come la falsa chiesa introduce nella pastorale il tranello del falso ecumenismo e del falso dialogo interreligioso. Si veda il documento di Abu Dhabi, da lui sottoscritto, ove si afferma testualmente che Dio stesso, nella sua sapienza, vuole che ci siano le differenti religioni. Questa è la negazione del vero Vangelo di Gesù, nel quale è scritto: Andate e predicate: e chi crederà e verrà battezzato, sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. Dunque, Bergoglio è un falso pastore, e sono falsi pastori tutti quelli che vanno dietro a lui; sono falsi e illegittimi tutti i suoi atti, sono false e illegittime le numerosissime nomine di vescovi e cardinali da lui fatte, ed è falsa e illegittima la scomunica a don Minutella che il vescovo Lorefice ha scagliato contro un sacerdote la cui colpa era quella di voler restare fedele a Gesù Cristo. Le cose dunque sono chiare, purché le si voglia vedere. Bergoglio non è papa, e ciò per svariate ragioni:

– perché Benedetto XVI non ha mai effettivamente rinunciato al munus petrino;

– perché è stato costretto a dimettersi;

– perché la mafia di San Gallo aveva già predisposto la sua elezione;

– perché è un gesuita, e i gesuiti non possono diventare papi;

– perché non era trascorso il periodo prescritto fra le dimissioni del papa e la nuova elezione;

– perché un conclave non può essere indetto se il papa è vivente e le sue dimissioni sono invalide;

– perché i suoi atti stessi lo qualificano come eretico impenitente, bestemmiatore e idolatra, tutte cose che non sarebbero potute accadere se egli fosse veramente papa.

Giova ricordare, infatti, che mai nella storia si è visto un sedicente papa come Bergoglio; mai un papa si è macchiato di tali e tanti crimini contro la verità e contro la fede: nessuno, neanche quelli moralmente peggiori, neanche i papi simoniaci, viziosi e nepotisti dei secoli lontani. Lo Spirito Santo non ha mai permesso che si macchiassero di eresia manifesta, e ciò per la buona ragione che il papa, in quanto vicario di Cristo, è il garante della vera fede e il custode supremo del retto Magistero: può peccare, ma non errare in materia dottrinale; può ingannare ed ingannarsi, ma non a danno della Verità, da cui dipende la salvezza delle pecorelle del gregge di Cristo. Perché il capo della Chiesa, non lo si scordi mai, è uno e uno solo: Gesù Cristo. E tutti quelli che si comportano come se il capo della chiesa fosse il papa, perciò stesso cadono nel peccato d’idolatria e sono fuori dalla vera chiesa, sono fuori dalla Verità che è Gesù Cristo, che di Sé disse: Io sono la via, la verità e la vita. Mentre per i vari Paglia, Spadaro, Bassetti, Zuppi, Perego, parrebbe che Beroglio sia la via o che a Bergoglio spetti tracciarla. Niente affatto: a nessun papa spetta tracciare la via; la via è già tracciata, una volta per tutte, dal Solo che è Egli stesso la Via. Figuriamoci se potrebbe farlo un papa eretico, illegittimo, bugiardo, fraudolento, perfido, mendace, calunniatore, blasfemo, ipocrita, senza carità, senza misericordia, senza giustizia. E infatti costui non è papa: se lo fosse, vorrebbe dire che Gesù si è rimangiato la Sua promessa: e le porte degli inferi non prevarranno sulla mia chiesa. Ma le promesse di Cristo sono sante, perché Cristo è il Figlio, la seconda Persona della Santissima Trinità: dunque, esse sono veritiere e infallibili.

E quel che sta accadendo nella Chiesa sta accadendo anche nel mondo. È in atto un assalto globale delle forze del male contro la luce di Cristo; i figli delle tenebre gioiscono, pensando di aver già vinto la battaglia; ma s’ingannano. L’ultima parola sarà di Cristo, il quale sconfiggerà ogni nemico, uno dopo l’altro, e manderà in fumo l’ambizioso progetto del Diavolo, quello di vanificare gli effetti della Redenzione. Come scrive san Paolo (1 Corinzi, 15, 20-28):

Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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