Il voto del 26 maggio boccia il clero massonico
28 Maggio 2019
L’hanno tanto denigrato che vien voglia di leggerlo
29 Maggio 2019
Il voto del 26 maggio boccia il clero massonico
28 Maggio 2019
L’hanno tanto denigrato che vien voglia di leggerlo
29 Maggio 2019
Mostra tutto

Di Nola, Pinay, don Cozzi e l’eterogenesi dei fini

Una volta presa consapevolezza che il signore argentino che si fa chiamare papa non è papa, ma solo lo strumento della massoneria ecclesiastica per soggiogare e stravolgere definitivamente la vera Chiesa, trasformandola nella sinagoga di Satana; una volta compreso che questo disegno parte da lontano, almeno dal Concilio Vaticano II, anzi, che si rende visibile a partire dal Concilio, ma risale molto più indietro; e una volta compreso che la strategia per controllare e piegare ai suoi fini la Chiesa è la stessa che il grande potere finanziario sta perseguendo da decenni, per non dire da secoli, per impadronirsi della vita degli Stati e delle società, per dominare le loro economie, per imporre la sua cultura e la sua morale, resta aperto lo scottante interrogativo su come ciò sia potuto succedere, e prosegua tuttora, senza che la maggior parte di noi se ne sia resa conto per tempo, o l’abbia capito almeno dopo qualche anno. Noi dove eravamo, in tutti questi decenni? La nostra mente, la nostra sensibilità, la nostra capacità di giudizio, erano per caso andate in vacanza? Ci stavano scippando la nostra identità, le nostre radici, i nostri valori e la nostra meta, letteralmente sotto il naso, a volte con indubbia abilità, altre volte, e sempre più spesso, con immensa spudoratezza: come è stato possibile che non ce ne siamo accorti quando ancora era possibile reagire, bloccare la manovra in atto, mobilitare le forze sane della società e della Chiesa? A questo scomodo interrogativo piacerebbe poter rispondere che non ce ne siamo accorti perché, nella nostra buona fede, se vogliamo nella nostra ingenuità, eravamo lontanissimi dal sospettare che un simile complotto fosse in atto, e che si stesse sferrando una tale offensiva per rubarci quel che di più prezioso abbiamo ricevuto dalle passate generazioni: la fedeltà alla Tradizione e il rispetto della nostra identità. Sarebbe bello se potessimo dare questa risposta; purtroppo, non lo possiamo. Esistono dei dati di fatto incontrovertibili che attestano come noi, se pure non eravamo in grado di vedere e di capire, presi nel clima torbido e agitato che regnava dal secondo dopoguerra al dilagare del modello consumista americano, qualcuno era capace di vedere e di capire e ha dato l’allarme, ma noi non abbiamo voluto ascoltare il suo grido, abbiamo preferito fare finta di nulla e, anzi, accusare quei pochi, più lucidi e coraggiosi di tutti gli altri, di essere dei fissati, dei paranoici, dei nostalgici inguaribili di forme passate e superate.

Prendiamo il caso del Vaticano II. Oggi, una volta compreso che esso fu l’occasione per rivelarsi ed affermarsi della massoneria ecclesiastica, capeggiata da uomini come Augustin Bea e Annibale Bugnini, ma anche incoraggiata da Giovanni XXIII e Paolo VI, e affiancata, e forse diretta, dal B’nai B’rith, possiamo sempre consolarci della nostra inerzia e della nostra passività sostenendo di non aver compreso cosa ci fosse realmente dietro la sua convocazione, e quali fossero i veri fini del partito progressista, cioè distruggere le difese e aprire le porte al nemico, cioè allo spirito del mondo moderno, la massoneria, l’ebraismo internazionale, il marxismo, il liberalismo, il radicalismo, il secolarismo, il materialismo, l’indifferentismo religioso. Eppure, qualcuno aveva lanciato l’allarme. Per esempio, sappiamo che all’inizio del Concilio fu distribuito ai padri conciliari un libretto, stampato in migliaia di copie, Complotto contro la Chiesa, di Maurice Pinay, nel quale si metteva in guardia contro la linea che il partito progressista voleva imporre nei confronti dell’ebraismo, e che sarebbe culminata nella Nostra aetate e nella Dignitatis humanae, denunciando come, dietro le apparenze di voler combattere i pregiudizi antisemiti, in realtà si voleva sostenere l’assurda tesi che gli ebrei non devono convertirsi, perché già salvi grazie all’Antica Alleanza, e perciò che esistono due verità e due vie per la salvezza: una per gli ebrei e un’altra per i cristiani.

Ecco come riporta questo episodio un antropologo e storico delle religioni che la cultura politicamente corretta esalta, ancora oggi, come uno dei più seri studiosi italiani in questi campi, Alfonso Maria di Nola (Napoli, 9 gennaio 1926-Roma, 17 febbraio 1997), mentre a noi pare che sia stato uno dei più faziosi, spiccando perfino nel contesto di super faziosità che dominava la cultura italiana, anche accademica, negli anni ’60 e ’70 del Novecento, a motivo del suo marxismo ultra militante, nonché del suo sostegno incondizionato all’ebraismo e al sionismo, e il suo conseguente livore e la totale mancanza di obiettività nel considerare le ragioni di quelli che per lui erano solo dei biechi antisemiti, dei fascisti e dei nazisti, squalificati in partenza, anche quando si trattava di personaggi e di studiosi di tutt’altro orientamento politico e culturale, ma che lui considerava tali per la propria, assoluta incapacità di tollerare che qualcuno potesse muovere anche la più lieve critica all’ebraismo e al ruolo svolto dagli ebrei, specie quelli di osservanza talmudica, nelle vicende storiche dell’Italia, dell’Europa e del mondo moderno e contemporaneo (da A. M. Di Nola, Antisemitismo in Italia, 1962-1972, Firenze, Vallecchi, 1973, pp. 22-23 e 108-109):

Il 10 gennaio 1963 la rivista cattolica "Vita" (Roma), in un servizio ben documentato, denunziava la distribuzione ai padri conciliari di quattromila copie del "Complotto contro la Chiesa" di M. Pinay, e, calcolandone la spesa in sei milioni dell’epoca, non aveva dubbi sull’identità degli ambienti che potevano essere interessati ad un’operazione del genere. Il redattore dell’articolo segnalava che l’ispirazione del libello "è di evidente tono neo-nazista" e lo valutava come una preoccupata reazione del neonazismo italiano alle iniziative della Chiesa contro l’antisemitismo (nella Conferenza alla stampa estera del 25 aprile 1962, il card. Bea aveva annunciato le proposte relative alla "Dichiarazione sugli Ebrei"). I neo-nazisti si trasformavano, quindi, in paladini improvvisati di una "ortodossia" cattolica antisemita e avrebbero coinvolto il card. Bea, i suoi collaboratori, gli uomini avanzati del Concilio nella risibile accusa di essere al servizio dell’Ebraismo internazionale. I mutati indirizzi teologici ed esegetici della Chiesa divenivano, in fondo, per il neonazismo italiano un rischio grave: la perdita di un’alleanza antisemita che poteva essere utile e proficua. Presso a poco nello stesso periodo interveniva sul problema Reno De Felice ("L’ultima maschera", in "La rassegna mensile di Israel", XXIX, 1-2 gen.-feb. 1963, particolarmente p. 66), il quale avanzava l’ipotesi che il libro del Pinay fosse il frettoloso rifacimento di un pamphlet tradotto dallo spagnolo e redatto probabilmente in Argentina o in altro paese sudamericano da fuggiaschi nazisti. La tradizione e diffusione era stata curata, secondo il De Felice, da neonazisti italiani; e la matrice era evidente poiché mancava, nel "Complotto", ogni esplicita condanna delle persecuzioni hitleriane. […]

[Il libro di M. Pinay] fu distribuito ai Padri Conciliari con la fascetta: "Rispettosamente raccomandiamo agli illustri Padri Conciliari l’immediata lettura della Prefazione e dell’Indice".

Diretto intenzionalmente contro le decisioni circa gli Ebrei che il Concilio stava per prendere, raccoglie i temi arcaici della libelli ostica teologica antisemita di matrice cristiana, sostenendo, in particolare, che i mutati atteggiamenti della Chiesa nei confronti dell’Ebraismo sono il frutto dell’azione disgregatrice di una quinta colonna ebraica infiltratasi nel clero ("Si sta compiendo la più perversa cospirazione contro la santa Chiesa", p. 1).

Come abbiamo detto, non vi è neppure l’ombra del doveroso sforzo di obiettività che dovrebbe caratterizzare il lavoro dello storico: quel che conta, qui, non è comprendere, ma scomunicare senz’altro gli "antisemiti", includendo in questa categoria chiunque, per esempio fra i cattolici, trovi che documenti come la Nostra aetate rompono con la sana teologia e con l’autentico Magistero, dunque con la Tradizione, e creano le premesse per una completa sottomissione del cattolicesimo al giudaismo. Il fatto stesso che gli autori della stampa e della diffusione del libro di Pinay, dal Di Nola definito un "libello", siano qualificati come neo-nazisti, pur non essendovi alcuna prova a sostegno di questa asserzione, ma solo una serie di induzioni di ordine assai generale e decisamente contestabili, la dice lunga sulle intenzioni di costui. Di Nola, abituato a fare storia dall’alto dei suoi pregiudizi e dei suoi preconcetti anticattolici e anticristiani (come si vede nel suo libro su Il diavolo, di nessun valore scientifico, nel quale dà sfogo a tutti i più vieti pregiudizi anticattolici della tradizione massonica e di quella anticlericale) non esista ad accusare di pregiudizio antiebraico tutti quelli che non si allineano preventivamente alla sua linea, sintetizzabile nella formula che gli ebrei, in qualsiasi controversia con i non ebrei, hanno sempre e comunque ragione; che, essendo stati perseguitati, hanno dei conti arretrati da riscuotere; e che sostenere una tesi diversa da quella del persistere, fra i cristiani, di un secolare antisemitismo gratuito, immotivato, o dettato da puro odio religioso contro i "deicidi", equivale ad allinearsi sulle posizioni del neo-nazismo e del neo-fascismo (due ideologie che egli non esita ad accostare, dichiarando insussistente la distinzioni fra esse). La sua faziosità trapela già dall’uso del vocabolario: la svolta filo giudaica del Concilio è, per lui, l’adozione di iniziative contro l’antisemitismo, il che equivale ad ammettere che la Chiesa, prima del Concilio, fosse antisemita: cosa tutta da dimostrare; ma la sua abilità consiste appunto nel sorvolare sulle dimostrazioni e nel porre come dati di fatto le sue personali ipotesi e interpretazioni. Similmente, quando afferma che il cardinale Bea e i suoi collaboratori erano gli uomini più "avanzati" del Concilio, non descrive un fatto, ma dà un suo giudizio soggettivo: "avanzati" rispetto a chi, o a che cosa? Se il sottinteso è "rispetto all’ebraismo", allora quel termine è giustificato; ma se, cime dovrebbe essere, dato che si sta parlando di sacerdoti cattolici, il riferimento non è all’ebraismo, ma alla Chiesa cattolica, perché è verso di essa che dovrebbe andare la loro fedeltà e la loro lealtà, allora definirli "avanzati" implica un ragionamento di tipo ideologico, che andrebbe quantomeno chiarito. Anche definire "risibile" la tesi che essi facessero parte di un com0plotto filo-giudaico evidenzia un us scorretto del linguaggio,. Uno storico cerca di privare le sue affermazione, non liquida cin un’alzata di spalle le tesi che non collimano con le sue convinzioni. Una tesi non può essere definita preventivamente risibile oppure seria: una tesi deve essere discussa e vagliata, con argomenti e dati di fatto. Ora, gli argomenti che Di Nola porta a proprio sostegno sono una articolo anonimo di un cattolico progressista, che si assume il compito di denunciare il complotto dei complottisti (se ci è permesso il gioco di parole), e al quale lascia il lavoro "sporco" di equiparare il libro di Pinay alle tesi neo-naziste degli antisemiti irriducibili, e la citazione di un articolo di De Felice apparsa, guada caso, su una rivista che s’intitola "La rassegna mensile di Israel", evidentemente a garanzia della sua assoluta obiettività e imparzialità.

E non basta. Per lui, chiunque condivida le perplessità nei confronti della svolta filo-ebraica del Concilio, come don Luigi Cozzi, non può essere che un oscuro seminatore di odio, sovvenzionato da ambienti innominabili dell’alto clero. La sua requisitoria contro la figura di don Cozzi (della quale ci siamo occupati in due precedenti articoli: Un prete tradizionalista e "complottista" molto, ma molto scomodo: Luigi Cozzi, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 28/03/09, e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 22/01/18; e Ripensare il Rinascimento e la modernità per capire meglio il mondo attuale, sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 19/10/17) ottiene in un lettore abituato a pensare con la propria testa, l’effetto contrario a quello che si propone: suscita un certo interesse non scevro di simpatia. È l’eterogenesi dei fini, e vale un po’ per tutto l’insieme della cultura politicamente corretta che, per settant’anni, è vissuta di rendita sulle tesi e i pregiudizi di un antifascismo di maniera: il risultato della sua crociata permanente contro il "fascismo" è stato che, alla fine, gli elementi storici che si volevano insabbiare o rimuovere per sempre, tornano a suscitare interesse e curiosità. È paradossale, ma è così. I libri di don Cozzi, La stella, la croce la svastica, e L’uomo tra misteri, miti e menzogne, sono oggi pressoché introvabili; eppure, per leggerne alcune citazioni abbastanza estese, si prestano benissimo libri, o dovremmo ritorcere "libelli", come quello del Di Nola. In un certo senso ci troviamo in una situazione simile a quella degli studiosi che vogliono conoscere il pensiero di un autore pagano come Celso ma, non esistendo più la sua opera Contro i cristiani, devono ricorrere agli ampi estratti conservati grazie a uno scrittore cristiano, Origene, che li ha citati proprio per confutarli. La cultura antifascista e democratica degli ultimi settant’anni ha fatto sparire tutte le opere "maledette" o le ha seppellite sotto strati di esecrazione, come i Protocolli dei savi anziani di Sion, dichiarandole senz’atro dei clamorosi falsi storici (ma perché ha tanta paura di un falso, da non consentirne neppure la ristampa e la libera discussione?). Eterogenesi dei fini: ciò che è stato condannato all’oblio riappare grazie allo zelo dei custodi del politicamente corretto, e offre spunti di lavoro e riflessione agli spiriti liberi di oggi. Perciò, grazie a Di Nola per aver conservato estratti dei libri di don Cozzi: anche se non era certo sua intenzione, le citazioni sono sufficienti a stimolare la curiosità di un lettore che possieda un po’ di spirito critico. Partendo da quei frammenti, benché citati con ben altri fini, si possono fare nuove ipotesi di lavoro…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.