È inutile cercare sull’atlante l’isola Caprona
3 Giugno 2018
Il trucco modernista c’è, e si chiama Karl Rahner
4 Giugno 2018
È inutile cercare sull’atlante l’isola Caprona
3 Giugno 2018
Il trucco modernista c’è, e si chiama Karl Rahner
4 Giugno 2018
Mostra tutto

L’eroismo cristiano non è più una virtù?

L’eroismo cristiano ha cessato di essere una virtù? I nostri avi, i nostri nonni, fino a non molti anni fa, erano convinti che lo fosse; non solo: erano convinti che l’eroismo fosse assolutamente necessario, per affrontare degnamente i cimenti della vita. Inoltre, erano persuasi che l’eroismo non è una virtù puramente umana; che il cristiano può ottenere questa virtù necessaria, rivolgendosi a Dio con suppliche e preghiere, ma certo non se la può dare da se stesso. E, di fatto, non li abbiamo visti vivere in maniera eroica, chi accanto a una moglie o a un marito paralizzati, a un padre o a una madre affetti da demenza senile, e assisterli con dedizione, con premura, con pazienza inesauribile, per anni ed anni, apparentemente senza stancarsi? Non li abbiamo visti dedicarsi anima e corpo a un figlio nato con una grave malformazione o con un grave ritardo cognitivo, senza lamentarsi, anzi, con una serenità che aveva qualcosa di sovrumano? E, in realtà, era qualcosa di sovrumano: veniva dal Cielo, non era un prodotto della volontà umana.

In un discorso tenuto il 29 ottobre 1951 alle partecipanti al congresso della Unione Cattolica Ostetriche, Pio XII, fra le altre cose, aveva affermato:

 

Perciò non lasciatevi confondere nella pratica della vostra professione e nel vostro apostolato da questo gran parlare d’impossibilità, nè per ciò che riguarda il vostro giudizio interno, né per ciò che si riferisce alla vostra condotta esterna. Non prestatevi mai a qualsiasi cosa contraria alla legge di Dio e alla vostra coscienza cristiana! È fare torto agli uomini ed alle donne del nostro tempo il crederli incapaci di un eroismo continuo. Oggi, per molti motivi (forse sotto la stretta della dura necessità od anche alle volte al servizio dell’ingiustizia) l’eroismo è esercitato in un grado ed in una misura che, nei tempi passati, si sarebbe creduto impossibile. Perché dunque questo eroismo, se veramente lo esigono le circostanze, dovrebbe essere ristretto nei limiti segnato dalle passioni e dalle inclinazioni della natura? È chiaro; colui che non vuole dominarsi non lo potrà fare; e chi crede di potersi dominare, contando unicamente sulle sue forze, senza cercare sinceramente e con perseveranza il soccorso divino, resterà miseramente deluso.

 

Il discorso di Pio XII era specificamente rivolto agli sposi e verteva intorno all’etica sessuale cristiana, che considera la riproduzione come il fine supremo dell’unione coniugale; pure, ci sembra che le parole di quel grande pontefice possano e debbano essere intese anche in un senso molto più ampio, e cioè riferite a tutto l’insieme della vita morale della persona. Del resto, sarebbe un grave errore pensare che l’eroismo è una virtù che veniva richiesta ai cristiani solo in lontane epoche storiche, ad esempio durante le persecuzioni degli imperatori romani; oppure che riguardi solo ere categorie di persone e certe specialissime situazioni, ad esempio i missionari o gli asceti che vogliono praticare integralmente la ricerca costante d Dio, isolandosi dal modo. A parte il fatto che il tempo delle persecuzioni non è mai finito, come ben sanno i cristiani che vivono, oggi, in Pesi come la Siria o l’Iraq, l’eroismo non è solo quello dei missionari e non è solo quello degli asceti, bensì è una virtù caratteristica della vita cristiana in quanto tale: perché dire cristianesimo significa dire anche eroismo, necessariamente e ordinariamente. Tutti i cristiani sono chiamati all’eroismo, perché tutti sono chiamati alla santità:opinare diversamente, sarebbe ricadere in una forma di gnosticismo, in un manicheismo come quello dei catari, con una piccola élite di "perfetti" che vogliono vivere integralmente la dimensione cristiana, e una massa di fedeli di seconda scelta che si accontentano di seguirli da lontano, ma guardandosi bene dal sobbarcarsi gli stessi sacrifici e le medesime prove. L’eroismo, al contrario, è sempre necessario e tutti sono chiamati a essere eroi, con l’aiuto di Dio, perché la vita è una guerra fra il bene e il male e quindi c’è bisogno, come in tutte le guerre, che i soldati possiedano spirito d’abnegazione, tenacia, perseveranza, sobrietà, coraggio… ed eroismo, appunto. Qualcuno ha osservato che sono beati quei popoli i quali non hanno bisogno di eroi. Noi non siamo d’accordo, perché sarebbe come dire che la guerra è finita: ma ciò non è vero, perché il male non disarma, non disarmerà mai, e chi vuol far credere il contrario è un imbecille o un traditore. Finché ci troviamo nella condizione terrena, nulla è mai definitivamente acquisto, nulla è conquistato senza pericolo: esistono le tentazioni, perché esiste il male; e, se vi sono le tentazioni, vi è anche la possibilità della caduta. Per ciascuno, in qualsiasi momento; nessuno è al riparo, nessuno può ritenersi fuori pericolo. Valga per tutti, e sempre, il terribile ammonimento del Peccato originale: cosa mancava, ad Adamo ed Eva, nel Giardino dell’Eden, per essere pienamente felici e per godersi, in perfetta serenità, il dono inestimabile della familiarità e dell’amicizia con Dio? Eppure, si direbbe che il clero dei nostri giorni, sulla scia dei teologi della "svolta antropologica", Karl Rahner in testa (il quale, appunto, ha trasformato il cristianesimo in una specie di gnosticismo heideggeriano) la pensi in tutt’altra maniera. Si direbbe che, per i pastori del terzo millennio, non solo non ci sia più bisogno della virtù dell’eroismo, ma che l’eroismo non sia più nemmeno desiderabile: che non sia più nemmeno una virtù, ma una specie di anticaglia, un pezzo da museo tanto inutile quanto ingombrante. Roba dell’Ottocento, insomma; roba da libro Cuore, da Piccola vedetta lombarda o da Piccolo scrivano fiorentino.  Si prenda, a titolo di esempio e dopo aver riletto e meditato le parole di Pio XII: non lasciatevi confondere da questo gran parlare d’impossibilità, il § 303 della esortazione apostolica Amoris laetitia, in cui si parla della condizione dei divorziati risposati, o passati a una nuova convivenza, e che, nondimeno, desiderano ricevere la santa Eucarestia:

 

A partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti, possiamo aggiungere che la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio. Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno.

 

Sì, avete capto bene: ciò che dice il signor Bergoglio, in questa pretesa esortazione apostolica, è che ciascuno può prendere la propria coscienza come garante della propria assoluzione, dopo aver violato la santità del sacramento matrimoniale; che tale violazione è ciò che un simile "cristiano" può offrire a Dio, con onestà e sincerità (guarda dove si vanno a mettere l’onestà e la sincerità…). Ma c’è di più ancora, e di peggio: si chiama Dio a testimone ed assolutore del peccato, cioè lo si chiama ad abolire la legge che Lui stesso ha stabilito, quella della indissolubilità del vincolo matrimoniale. In altre parole, si dice che Dio è pago di chiederci di restare nel peccato, e più non ci domanda. Dio, infatti, in questa prospettiva, è ben cosciente della complessità delle situazioni nelle quali ci troviamo invischiati, nonché dei "condizionamenti concreti" (perché, se fossero solo teorici, allora, forse…) che limitano la nostra libertà di scegliere. E così, di fatto, non c’è più il peccato, non c’è più il peccatore: c’è una "complessità" nella quale, chi sa come (vallo a sapere!), le persone vengono a trovarsi; e siccome la situazione è complessa, e i condizionamenti concreti sono tali e tanti, allora anche la legge morale bisogna che divenga elastica, finché svanisce, si dissolve: resta solo la coscienza soggettiva, la quale dice sì al peccato, anzi, si rifiuta di chiamarlo peccato, cosa che, del resto, fa anche il buon Dio. E tutti vissero felici, peccatori e contenti.

Oppure si prenda ciò che ha detto don Paolo Cugini, parroco di una chiesa di Reggio Emilia e ormai famoso per le sue "veglie di preghiera" contro quell’orribile peccato che è l’omofobia (qui il peccato torna a far capolino nella dottrina di un certo neoclero, ma, guarda caso, a diventar peccato è l’orrore del peccato…), il quale, intervistato dai suoi amici omosessualisti di Gay News, ha testualmente dichiarato: Già facciamo fatica noi preti a vivere la castità. Immaginarsi se la si può imporre a persone laiche, pur credenti. Come dire che, per duemila anni, abbiamo scherzato, ma ora è venuto il tempo di parlar sul serio. Con queste parole, si prendono duemila anni di dottrina morale cristiana e li si butta nel cesso. La castità, che razza di fatica improba: non ce la facciamo noi preti a osservarla, e come potremmo imporla ai laici, quantunque notoriamente peccatori? Il tutto con la pretesa di non essere ipocriti, quindi con l’intenzione di far colpo per la "franchezza", per la "sincerità". Peccato soltanto che questo non sia più cristianesimo. Questa è immondizia, allo stato puro. Si tratta, né più, né meno, di una delle cento, mille facce di un unico processo in corso, ordinato da un’unica strategia (anche se gli utili idioti di turno non si accorgono neppure di servirla), il cui scopo è la graduale, costante, irreversibile naturalizzazione del cristianesimo. Si tratta di trasformare il cristianesimo, la religione del soprannaturale, della grazia, dell’infinita potenza e dell’inesauribile amore di Dio, in una cosa di questo modo, molto ragionevole, molto come di deve, molto discreta e per niente invasiva. Una faccenda di ordinaria amministrazione, che si sappia adeguare ai tempi e ai ritmi della nostra vita, che tenga nel debito conto la nostra natura umana, anzi, che rifletta, rispecchi e santifichi la nostra debolezza umana. Una "religione" immanente, che mette Dio sullo sfondo e divinizza, di fatto, l’uomo, perché trasforma tutto ciò che è umano, a partire dagli istinti, in qualcosa di fatale, di necessario e d’inevitabile. L’istinto sessuale, per esempio (ma è solo un esempio): come si potrebbe pensare d’imbrigliarlo, di ostacolarlo, si sublimarlo? Eh, no; finché si scherza, va bene; ma se si parla sul serio, come si potrebbe predicare la castità? Figuriamoci l’eroismo, poi: neanche a sognarselo. Via, bisogna essere realisti. I preti sono uomini, la carne è debole; e se la carne è debole, allora nessuno deve pretendere dagli uomini ciò che è umanamente impossibile.

Da bravi eretici, costoro hanno preso solo metà della parola di Dio, quella che fa loro comodo: ossia che la carne è debole. Si sono ben guardati dal prendere anche l’altra metà, ossia che lo Spirito è pronto. Ma lo Spirito, bisogna chiederlo: è la grazia di Dio, che scende dall’alto, e che rende gli uomini capaci di qualsiasi abnegazione, di qualsiasi prodezza, di qualsiasi eroismo: ma solo dopo che essi si sono spogliati del loro piccolo io, viziato e capriccioso, che vuole sempre un capriccio diverso, e non è mai contento di nulla, perché le sue voglie sono inesauribili. Una volta che l’uomo si è spogliato di questo piccolo io, ecco che muore in lui l’uomo vecchio e nasce l’uomo nuovo, il  vero figlio di Dio. Non tutti gli uomini sono figli di Dio: lo sono quelli che desiderano esserlo, che vogliono esserlo, che chiedono di esserlo. Gli altri, sono figli della carne e hanno per patrono il diavolo, che della carne si serve per condurli lontano da Dio.

Questa è la verità, per quanto difficile possa risultare guardarla in faccia. La neochiesa che insegna cose come quella affermata nel § 303 di Amoris laetitia, non è più la vera Chiesa cattolica, ma è una falsa chiesa diabolica, ispirata da satana per la perdizione degli uomini. Sì, è duro, è durissimo dire queste cose: pure, bisogna farlo, per il bene delle anime e per la chiarezza e la verità della dottrina cristiana. Ci sono in gioco, come diceva Kierkegaard, il paradiso e l’inferno: mica poco. C’è in gioco il nostro destino eterno. E, davanti a una realtà così sconvolgente, come si può essere timidi, reticenti, insinceri? Lasciamo ad altri l’arte della diplomazia. C’è un tempo per tacere, e c’è un tempo per parlare: e questo è tempo di parlare. Chi non parla, è connivente col male; chi tace, è come se assentisse. Guai a noi se non parlassimo; come diceva san Paolo rivolto a se stesso, guai a noi se non annunciassimo il Vangelo. Quello vero, però: quello di Gesù Cristo, morto e risorto per suggellarlo con il suo stesso sangue e con la sua stessa gloria. Non il falso vangelo, annacquato e taroccato, insegnato da don Cugini o dal signor Bergoglio. E che ciascuno si assuma la responsabilità delle proprie parole. Noi ci assumiamo quella delle nostre. Ci conforta, in un frangente così scabroso, tale da far tremare le vene e i polsi a qualunque mortale, il pensiero che le nostre parole non sono affatto "nostre", non ce le siamo date da soli, non sono il frutto di una sapienza umana, ma sono quelle, eterne, perfette e immutabili, insegnate da Gesù in Persona, quando venne sulla terra per mostrare a noi uomini la sola via che porta al Cielo.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.