
Ristabilire la sicurezza, l’identità e la sovranità
20 Aprile 2018
Di che cosa abbiamo paura?
21 Aprile 2018Un amico, ieri sera, sparecchiata la tavola dal cameriere, diceva, quasi parlando a stesso, mentre fissava il boccale di birra che aveva davanti a sé: Io, in vita mia, non ho mai saputo cosa sia il rancore. Ora lo so, lo sto provando. Ho perso le staffe quando un "migrante" ha suonato alla porta di casa mia, per vendermi non so cosa. Mi son messo a gridare, mia moglie e mia figlia mi hanno rimproverato, mi hanno chiesto se son diventato matto. Matto forse no, ma rancoroso sì. Vedendo quel che succede in Italia, da alcuni anni a questa parte; di come il governo — tutti i governi, di ogni colore politico, si comportano verso gli italiani, specialmente i poveri e quelli impoveriti dalla crisi, e come si comportano verso questo falsi profughi che hanno solo diritti, fin dal primo istante in cui mettono piede nel nostro Paese, e ogni pretesa dei quali è legge; e vedendo come molto, troppi di loro si muovono con spavalderia, con arroganza, delinquono, si approfittano della situazione in tutti i modi, spacciano droga, rapinano, ci riempiono le strade di prostitute e transessuali, ebbene, davanti a questo spettacolo offensivo, inverecondo, insopportabile, sento di essere diventato un altro, non mi riconosco più. Mi hanno cambiato, mi hanno fatto diventare intollerante e scopro di avere un profondissimo rancore, sentimenti che non sapevo neppure cosa fossero.
Lo ascoltavo, fissavo a mia volta il bicchiere ormai vuoto, mentre il locale si era quasi svuotato degli ultimi clienti, e non sapevo letteralmente che cosa dirgli. Che dirgli, infatti? Non è il primo, e nemmeno il secondo, né il terzo, che mi ha fatto un discorso del genere, negli ultimi tempi, un discorso disperatamente sincero, quasi un grido di aiuto; altri non l’hanno fatto, ma i loro gesti, i loro sguardi hanno parlato per loro: in molte persone abbiamo riscontrato la stessa evoluzione, da una iniziale benevolenza, piena di comprensione e di compassione, a una chiusura, a un rifiuto, a una rabbia trattenuta sempre più a stento. Non tanto verso i falsi profughi e le loro crescenti pretese, quanto verso quella Italia che li incoraggia a venire, che li asseconda nelle loro false domande di accoglienza, che garantisce loro, sottobanco, che più nessuno li rimanderà a casa, che possono star tranquilli; e che li alloggia con tutti i comfort, li lascia poltrone nell’ozio, li mantiene gratis due anni, tre anni, concede loro di fare per successive richieste di riconoscimento dello status di profughi, dopo la prima la seconda, dopo la seconda la terza, senza rischiare nulla per aver mentito, per aver barato, per aver finto di essere scappati da chissà quali guerre e calamità, e tutto a spese nostre, le richiese di asilo, il soggiorno, il vitto e l’alloggio, sempre beatamente senza far nulla di nulla, mantenuti gratis con la musica e il collegamento internet assicurati, infatti sono sempre in strada a telefonare, eppure lo sappiamo tutti quanto costa telefonare, e quindi ci domandiamo tutti chi paghi loro anche il telefono, da dove vengano i quattrini, e la risposta la sappiamo già, anche se quasi non oseremmo farla per non avere la triste conferma della nostra servitù, della nostra colpevole dabbenaggine fatta passare per accoglienza. E abbiamo visto crescere e montare la rabbia, specie da parte dei cattolici, anche nei confronti di una falsa chiesa e di un falso clero che tutti i santi giorni predicano, esortano, comandano di accogliere questi nostri fratelli nel Signore, questi angeli mandati da Dio stesso (per usare l’espressione dell’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi), i quali hanno tutti i diritti di venire, anzi, dobbiamo pure sentirci in colpa se qualche barcone affonda, è colpa nostra, è tutto colpa nostra, la povertà dell’Africa e dell’Asia, la desertificazione del Sahel, i tifoni, i maremoti, la siccità, probabilmente anche l’eventuale caduta di un asteroide, siamo noi europei, noi occidentali, noi banchi a coltivare l’egoismo, siamo brutti e cattivi, pensiamo solo a noi stessi, siamo delle brutte persone, ci dovremmo vergognare, ogni bambino che muore di fame è colpa di ciascuno di noi. E poco importa se un africano come il cardinale Robert Sarah esorta i suoi compatrioti a non emigrare, a restare sulla loro terra: il signor Bergoglio dice: Venite, venite tutti qui, che c’è posto — in Italia, mica in Vaticano — e se lo dice lui, allora è giusto…
Attenzione: il mio amico non si vantava di quel suo scoppio d’insofferenza; non era per nulla fiero di aver perso le staffe con una persona che, in se stessa, non era colpevole di nulla: si limitava a prendere atto, non senza una profonda amarezza, della trasformazione che era avvenuta in lui, nell’arco di pochissimi anni. Avvenuta in lui, ma non a caso, non per una sua scelta o volontà, bensì per una situazione che da lui non dipende, né da me o da alcun singolo cittadino, ma che è stata creata precisamente da quanti dovrebbero servire lo Stato italiano e porre il suo bene, il suo interesse e i suo effettivi bisogni, davanti a tutto il resto, prima di qualsiasi altra considerazione. E quel che è accaduto a lui, è accaduto a milioni e milioni di italiani, passati da un atteggiamento di bonarietà e di simpatia umana a un atteggiamento di disgusto e di assoluta contrarietà nei confronti di una situazione complessiva che è percepita come sommamente ingiusta, immorale, inaccettabile, come un vero e proprio rovesciamento del normale rapporto che dovrebbe unire la società agli individui: quello della società che tutela i suoi figli e non che li tratta assai peggio di come tratta dei perfetti sconosciuti, venuti in massa non si sa dove, non si sa perché, non si a quale titolo, ma con la ferma pretesa di essere accolti in ogni modo, anche se in Italia c’è la crisi, ance se l’economia è in affanno, anche se non c’è lavoro neppure per i suoi figli, e con il modo di fare di chi non accetta un rifiuto, di non si sommette alle leggi altrui, di chi, anzi, pretende che gli altri, in casa loro, si inchino alle loro necessità, alle loro usanze e alle loro tradizioni. Di qui le donne islamiche che se ne vanno tranquillamente a spasso con il velo, o con il burqa, sebbene la legge italiana lo vieti, e sebbene un cittadino italiano che vada in giro con il volto reso irriconoscibile, anche solo da un casco da motociclista, rischi di essere fermato dalla polizia per aver commesso un reato ben preciso. Ma quelle donne, quale vigile, quale poliziotto o carabiniere oserà mai fermarle? E, se anche lo facesse, si può stare più che certi che un magistrato di sinistra darebbe immediatamente torto al servitore dello Stato e darebbe ragione alla donna straniera che non ha rispettato le leggi italiane, che se ne è fatta beffe. E i parenti delle donne islamiche ricoverate in ospedale, i quali pretendono che i parenti machi delle donne italiane, ricoverate nello stesso reparto o nella stessa stanza, se ne stiano lontani, per rispetto verso le loro donne? Non è questo un voler imporre le proprie consuetudini agli altri, in casa altrui? Non è una somma dimostrazione di arroganza, e la prova provata del fatto che costoro non hanno la benché minima intenzione, non diciamo di integrarsi, come berciano in continuazione, come dei dischi rotti, i buonisti e i migrazionisti di casa nostra, i paladini e gli avvocati della società multietnica e multiculturale, adoperando parole delle quali, evidentemente, non conoscono il reale significato; ma neppure di rispettare le leggi dello Stato che li ha accolti e del popolo che si stringe un poco e che accetta questa non semplice convivenza, benché sia già affitto da tanti problemi e difficoltà in casa propria, per fare posto a loro? Tutte queste persone che violano impunemente le nostre leggi e che disprezzano e offendono le nostre consuetudini e tradizioni, come si comportano, in casa loro, di fronte a degli stranieri che facciano anche solo la centesima parte di ciò che essi fanno qui da noi? Come viene trattato un europeo, in Marocco, che non rispetti le leggi marocchine? Come viene trattato un cristiano, in Pakistan, che non si adegui alle consuetudini islamiche, ad esempio che beva liquori, magari in pubblico? E qualcuno ci sa dire perché, se deve andare in vista dal papa, la signora Boldrini, campionessa delle lotte femministe, si presenta in ciabatte e a capo scoperto, mentre se deve ricevere un notabile arabo si affretta a coprirsi il capo con il velo? E perché, se viene in vista in Italia il presidente dell’Iran, si coprono le statue che raffigurano dei nudi e a tavola si fa sparire il vino, mentre non ci risulta che la signora Bonino abbia mai fatto una battaglia affinché le donne siano libere di guidare l’automobile in Arabia Saudita, neppure quelle occidentali che si trovano lì in visita, o di passaggio? Ora, Boldrini e Bonino rappresentano precisamente le punte avanzate della cultura migrazionista, quella che pretende che tutti gi italiani si stringano un poco per fare posto, in casa propria, a qualche milione di africani islamici (i quali, grazie all’incremento demografico, saranno decine di milioni fra due generazioni, vale a dire la maggioranza della popolazione); e se proprio loro adoprano due pesi e due misure, uno per "capire" e favorire in ogni modo gli stranieri, e un altro perché gli italiani facciano un passo indietro e si adattino a delle situazioni anomale, che vengono loro imposte dai nuovi arrivati, si può facilmente immaginare come tutto questo andrà a finire: con la completa sottomissione, anche psicologica e morale, del popolo italiani, e alla fine, nella sua scomparsa nel grande mare di un miscuglio razziale la cui nota dominante sarà, comunque, quella religiosa: islamica, ben s’intende. Certo che un papa come il signor Bergoglio neanche il più speranzoso seguace del profeta Maometto avrebbe potuto mai desiderarlo, neppure nei suoi sogni più ottimistici…
La rabbia, il rancore, lo steso razzismo — se vogliamo chiamar le cose con il loro nome, senza girarci attorno per pudore o ipocrisia — nascono precisamente da qui: dal sentimento offeso della dignità nazionale e della identità italiana e cristiana, dal sentimento d’ingiustizia davanti ai due pesi e alle due misure che lo Stato adopera da un lato coi suoi figli e dall’altro con degli stranieri, i quali sovente non si sa nemmeno chi siano e con quali intenzioni siano venuti qui da noi, a chiedere accoglienza, ma non per lavorare onestamente, bensì a caccia di fortuna o peggio, con la precisa intenzione di delinquere, come si può intuire dalla loro propensione a rilasciare false generalità, e anche dal numero sproporzionato di baldi giovanotti che scoppiano di forza e di salute rispetto alle poche donne, bambini e alla quasi totale assenza di anziani. Se fossero dei veri profughi, la percentuale dei diversi gruppi non dovrebbe essere esattamente opposta: una maggioranza di vecchi, donne e bambini denutriti, e quasi nessun giovane maschio? E così, al mattino, nelle nostre città si assiste a uno stranissimo spettacolo che si svolge come su due binari paralleli: da una parte i cittadini italiani, che si recano al lavoro e si affrettano per timbrare il cartellino; dall’altro gli stranieri nullafacenti, le schiere di falsi profughi che si disperdono per i giardinetti a spacciare droga, o che bighellonano sui viali e si stravaccano sulle panchine ad ascoltare musica e telefonare a tutto spiano, senza un pensiero al mondo, tranne quello di rientrare nei centri di accoglienza per consumare a sbafo sia il pranzo che la cena. È evidente che qualcuno ha tirato la corda un po’ troppo; e che la corda, alla fine, si è spezzata. Di ciò dobbiamo fare le più vive felicitazioni e i più sinceri compimento al signor Bergoglio e al signor Galantino, alla signora Boldrini e alla signora Kyenge, a tutto il neoclero e ai politici di sinistra, i giornalisti progressisti della grande stampa e i professori ex sessantottini per nulla pentiti, i sindacalisti arrabbiati che non sanno difendere i lavoratori o i pensionati italiani ma che si prendono infinitamente a cuore la causa dei delinquenti clandestini, e i giovani dei centri sociali, quelli che cantano Quant’è bello far le foibe da Trieste in giù, i quali, agendo tutti insieme appassionatamente, sono riusciti nel modo più brillante in una impresa obiettivamente non facile: trasformare il popolo più pacifico, più paziente, più tollerante di questo mondo in un popolo d’incazzati che non hanno più neppure un briciolo di pazienza e di capacità di sopportazione; un popolo ormai vicino ad esplodere per la collera che lo agita e, più ancora, per la totale perdita di speranza che le cose possano mai cambiare ed aggiustarsi, che possano ritornare "normali". Laddove, per normali, non s’intende assolutamente nulla di strano, di esagerato o di estremista, nulla di "fascista", nulla di razzista: semplicemente, il fatto che i politici italiani pongano il bene e l’interesse nazionale dell’Italia al primo posto, non solo riguardo all’invasione africana ed asiatica mascherata da accoglienza umanitaria, ma in ogni ambito possibile, dalle imposizioni della Banca centrale europea alle autolesionistiche sanzioni economiche contro la Russia; e che gli uomini della Chiesa cattolica la smettano di favorire in ogni modo l’invasione islamica e d’indebolire o distruggere la fede cattolica nei fedeli, scardinando le basi della dottrina e della morale, glorificando i campioni dell’aborto e dell’eutanasia, sdoganando la sodomia e i cosiddetti matrimoni omosessuali, e proclamando falsità storiche intollerabili, come la sincera volontà riformatrice di Lutero o la non necessità, per gli ebrei, di convertirsi a Gesù Cristo per ristabilire l’alleanza con Dio. Arrivati a questo puto, vicinissimi a questa situazione limite, oltre la quale non può esserci che il diluvio, di una cosa c’è bisogno, più che di qualsiasi altra: che questa rabbia, questa amarezza, questo rancore, non si sfoghino in forme sterili, scomposte o incivili, ma si organizzino in una protesta decisa, tenace, incrollabile, affinché i traditori del bene dell’Italia e della religione cattolica siano cacciati, tanto dallo Stato che dalla Chiesa, e il loro posto venga preso da persone che amano la Patria e la religione trasmessaci dai nostri padri. I quali non sono Pannella o Scalfari; non sono i campioni di un laicismo internazionalista che si riduce a fare da servitore dei grandi poter finanziari (sconcertante e scandalosa la convergenza d’interessi, e perfino di lessico, fra Soros e Bergoglio); ma che sono san Francesco, san Tommaso, Dante e santa Caterina da Siena.
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