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Tutto è spirito e lo spazio è un’illusione

Secondo Cartesio, l’intera realtà si presenta sotto due categorie fondamentali, il pensiero e l’estensione. La res cogitans, di natura psichica, è inestesa, libera e consapevole; la res extensa, di natura fisica, è estesa, limitata e inconsapevole.

Locke, meno di un secolo dopo di lui, non è più interessato a cosa sia la realtà in se stessa, ma a cosa la mente umana possa comprendere della realtà, e trova che nella mente umana vi sono le idee, intese come contenuti concreti o dati dell’esperienza, e che tutte le idee derivano dall’esperienza, e nulla vi è in essa di anteriore alla nascita, nulla cioè che sia innato. Nel suo empirismo radicale, egli però distingue le idee di sensazione, che derivano dalla realtà esterna, e le idee di riflessione, che derivano dalla realtà interna. Inoltre, le idee possono essere distinte in semplici, quelle, cioè, non suscettibili di essere scomposte in altre idee, ma che, a differenza delle idee chiare e distinte di Cartesio, non sono di per sé "vere", nel senso che non hanno un contenuto di verità, ma sono, semplicemente, dei dati presenti alla mente umana; e le idee complesse, nelle quali la nostra mente non è più un soggetto passivo, ma attivo, poiché è essa che le combina, le collega e le confronta. Sono idee semplici le idee di qualità primarie: l’estensione, la figura, il moto; sono idee semplici, ma di qualità secondarie, colori, suoni, sapori, odori, eccetera. Le une sono oggettive, le altre sono soggettive. Le idee complesse sono quelle riguardanti i modi (il numero, la bellezza, eccetera) e le sostanze. Le sostanze, a loro volta, non sono, come pensava Cartesio, quelle legate al pensiero e all’estensione, perché la sostanza non è una realtà metafisica, ma semplicemente una concomitanza di idee semplici, come la solidità e l’estensione, a torto sostanzializzate come estensione; oppure come il volere, lo scegliere, a torto sostanzializzate come pensiero.

Ad ogni modo, se per Cartesio l’estensione è un attributo della sostanza, mentre per Locke è una combinazione di idee semplici che ci inducono a inferire, ma a torto, l’idea di una realtà chiamata "sostanza", della quale non abbiamo, in effetti, alcuna idea chiara e distinta, per entrambi, nondimeno, l’estensione è qualcosa di evidente, sia che faccia parte di una realtà oggettiva, sia che si trovi nella nostra mente, come una realtà soggettiva. Lo spazio, per entrambi, è qualche cosa che si può definire come estensione: se una cosa possiede una estensione, allora esiste, ed esiste nello spazio, salvo poi vedere se tale spazio si trova all’esterno o all’interno della nostra mente. Il razionalista Cartesio e l’empirista Locke sono d’accordo almeno su questo: può sembrare poco, e invece è molto, perché gran parte della nostra concezione del reale si basa su ciò che noi pensiamo riguardo all’estensione, e dunque all’idea di spazio. In particolare, noi pensiamo che i corpi esistono in senso fisico, o anche in senso mentale, se hanno una estensione; perché dire "corpo", per noi, equivale, più o meno, a dire "spazio". E ciò sebbene già Hegel avesse osservato che la qualità è la più "povera" delle categorie, perfino più povera della quantità, essendo troppo mutevole, astratta e, perciò, in definitiva inutilizzabile per la conoscenza del reale. Siamo sicuri di sapere che cosa sia un corpo? Perché il fatto che la cultura moderna sia dominata da un greve materialismo di matrice positivista, forse fa velo alla mancanza di una approfondita riflessione su ciò che viene considerato auto-evidente, come l’esistenza e la natura dei corpi, e magari non lo è. Ora, noi pensiamo di sapere che un corpo è un ente che possiede una estensione e, possibilmente, una solidità (con l’eccezione dei corpi solamente pensati, come quelli visti in sogno, o immaginati nella fantasia, oppure evocati nel ricordo mediante la facoltà della memoria). Ma ne siamo proprio certi? Tutta la nostra convinzione si basa su una apparenza di auto-evidenza, che è, in ultima analisi, di origine cartesiana: come ci appare evidente che ciò che pensa, esiste, così ci appare evidente che ciò che ha una realtà fisica, possiede anche, per ciò stesso, una estensione. E se, invece, così non fosse?
Se la nostra idea di corpo come qualcosa che è definita dall’avere una estensione, poggiasse sul vuoto, e su quel vuoto noi l’avessimo conservata come parte del nostro bagaglio intellettuale, senza mai sottoporla realmente a verifica?

Ecco cosa scriveva, qualcosa come centocinquanta anni fa, un grande scienziato che è stato anche un grande cristiano e un grande santo, Francesco Faà di Bruno, in un piccolo, aureo libro intitolato Piccolo omaggio della scienza alla divina Eucaristia, del 1872 (da: F. Faà di Bruno, Uno scienziato dinanzi al’Eucaristia, Torino, Marietti, 1960, pp. 63-67):

1. La materia quale si presenta a un primo aspetto nei corpi non è dappertutto continua; ché, ove lo fosse, i fenomeni di compressibilità, di dilatabilità, i moti vibratori delle molecole ecc., sarebbero inesplicabili.

2. Se la materia, continua, estesa, nel senso cartesiano, esiste, essa non può trovarsi che nei così detti atomi. Che se non è tale in essi, noi ci riserviamo sempre a chiamare "atomo" quella porzione di corpo in cui essa lo sarà, cioè, quella in cui più non esisterà nessun vacuo: e lo denomineremo, per fissare un momento le idee, "atomo cartesiano".

3. Gli atomi, a cui arriva la scienza, sono già per sé stessi piccolissimi, di un’esiguità inconcepibile, per cui poco potrebbe valere al filosofo il considerarli come punti matematici. Ed infatti la fisica razionale, solo ammettendo che questi siano come tanti centri attivi di forze, arriva a spiegare tutti i fenomeni ottici, calorifici ed elettrici.

4. Qualunque sia il concetto che taluno può avere sugli atomi, nessun fenomeno è esplicabile se non si ammettono, associati o no agli atomi cartesiani, dei centri di forze.

Prendiamo dunque a considerare uno di questi atomi, in cui la materia è per ipotesi continua; ciò che si dirà di uno varrà per tutti.

Ed anzitutto siccome l’atomo cartesiano non può avere nessuna attività propria, siccome d’altra parte è pur necessario ammettere centri di forze, a men dire bisogna concedere che gli atomi cartesiani siano inutili. E se inutili, perché mai sarebbero? Forse perché dessi servono come luogo di rifugio per noi all’idea di estensione, di spazio continuamente occupato da un non so che, chiamato materia, basterà il reputarli necessari, veramente esistenti? Solamente badando a questi riflessi, il sano filosofo non dovrebbe più esitare tra gli atomi-materia e gli atomi-forza: perché i primi soli non spiegano nulla; i secondi, con o senza i primi, spiegano tutto.

Ma andiamo innanzi e dichiariamo una volta per tutte che L’ATOMO CARTESIANO NON PUÒ ESISTERE. Sia A questo atomo. La materia di questo atomo ha certo la sua sostanza. Se questa è incorporea, indivisibile, insomma non è ciò che comunemente intendesi per materia, la questione è risolta: questo ente indivisibile, sostanza della materia, è il nostro atomo appunto che cerchiamo, cui nulla più osta di supporre applicata una dote propria di attività. Che se la sostanza di A è pur materia, allora io suppongo tagliato l’atomo A con un piano un due parti B + C = A; ed osservo dapprima, e per ogni altra volta, che qualunque sia la divisione deve esservi la sostanza materia tanto in B come in C; poiché in ambe le parti vi è materia. Di B facciamo altre due parti, D, E; in ognuna ci sarà ancora la sostanza materia. Proseguiamo sempre in questo modo all’infinito. Terminerà questa divisione, cioè, si avrà una parte zero? Impossibile; perché dovrebbe esserlo l’antecedente. Se non termina, bisogna conceder che la sostanza materia deve trovarsi in una tal parte prossima a "zero" quanto si voglia. E questo equivale a dire che non esiste: poiché suddividendo PUR SEMPRE PER UN TEMPO INFINITO non per questo la si troverà giammai. Ne succederebbe ancora questo altro assurdo, che in uno spazietto limitato sarebbero contenute parti in numero infinto, essendo la divisione illimitata. Ora il numero infinito non esiste: la stessa idea di "numero" che "numera" contraddice all’idea d’infinito che si vorrebbe annettervi; e poi aggiungasi che ad un numero, per quanto grandissimo, se "numero", si può ancora addizionare un altro numero: e perciò l’infinito "numero" non è ancora l’infinito, piuttosto una chimera.

La sostanza dell’atomo materia dunque non esiste a meno di essere INDIVISIBILE.

Se essa dunque è indivisibile, l’ATOMO FORZA, il centro attivo, è il solo elemento costitutivo dei corpi che possa ragionevolmente ammettersi. Ed eccoci arrivati a quella sostanza, la quale appunto perché sostanza "deve, secondo un celebre assioma di s. Tommaso, potersi percepire solo coll’intelletto e non coi sensi" (Summa Th., III, q. 76, a. 7 c). IN CONCLUSIONE DUNQUE L’ESTENSIONE NON È UN PRINCIPIO ESSENZIALE DEI CORPI. Essa è solo una proprietà naturale derivante da un loro principio essenziale, cui non può nemmeno rappresentare se non per mezzo della forma cui si congiunge, a guisa d’un seme, il quale, sebbene contenga in sé virtualmente l’albero, non è però capace di riprodurlo se non per mezzo del calore, dell’umidità ecc.

Difficile, molto difficile impugnare questa lucida, serratissima argomentazione di Francesco Faà di Bruno; pressoché impossibile smentirla. La conclusione è chiara: non è vero che l’estensione è una qualità inerente ai corpi; non è vero che un corpo, per essere tale, deve occupare uno spazio. Ma questo, al contrario, è ciò che abbiamo sempre pensato: la nostra cultura, il nostro stesso orizzonte mentale, si fondano sul presupposto che i corpi hanno una estensione, che occupano uno spazio; se viene a cadere questa certezza, con che cosa la potremo sostituire? Come si definisce un corpo, se non per mezzo della qualità "estensione"? La forma? Ma è mutevole: ogni corpo può essere ristretto o esteso, mediante una pressione adeguata; anche i corpi più compatti e resistenti, per esempio mediante un temperatura che li porti allo stato di fusione. La solidità? È variabile: dipende, anch’essa, dalla pressione e dalla temperatura: sotto l’azione di una certa pressione e di una certa temperatura, i corpi solidi diventano liquidi, o gassosi, o viceversa. Il colore? Ma anch’esso è mutevole: nel corso della sua "vita", per esempio, una stella passa attraverso lo spettro luminoso, che va dal bianco, all’azzurro, al giallo, all’arancio, al rosso; senza contare la difficoltà di stabilire un sistema oggettivo per definirlo: basti pensare al problema del daltonismo. Evidentemente, dobbiamo rivedere la definizione di ciò che è un corpo. Alla luce del ragionamento di Faà di Bruno sulla divisibilità dello spazio all’infinito, e accogliendo la sua ipotesi, formulata con straordinario anticipo rispetto alla fisica contemporanea, da Einstein in poi, possiamo asserire che un corpo è essenzialmente un nodo di energia. L’energia si può manifestare in forma visibile, come nel caso di un organismo vivente, o essere racchiusa allo stato potenziale, come in un cristallo, ma è sempre fondamentalmente la stessa cosa: la capacità che possiede un corpo, o un sistema fisico, di compiere lavoro, indipendentemente dal fatto pratico che quel lavoro sia svolto oppure no. Ora, come è noto, per la fisica si dice lavoro una certa quantità di energia che viene scambiata fra due sistemi, allorché l’oggetto subisce uno spostamento.

Così, a una visione statica dei corpi, e quindi della realtà fisica, subentra una visione dinamica: se l’attributo fondamentale dei corpi è l’energia, e se l’energia è la capacità di compiere un lavoro, il quale si esplica mediante uno spostamento, ciò significa che tutto è perpetuamente in movimento e che non esistono corpi in quiete, per quanto ciò possa apparire ad uno sguardo superficiale. Di fatto, la quiete non esiste: e perfino le montagne, che paiono la cosa più stabile di tutte, sono soggette a innumerevoli processi di spostamento, vuoi per l’azione di immani forze tettoniche, che sollevano la superficie terrestre e vi formano delle pieghe, vuoi per l’azione degli agenti atmosferici, che modificano e livellano, nell’arco delle ere geologiche, le superfici di qualunque paesaggio terrestre. Il movimento riguarda, come si è accennato, anche i corpi celesti, le stelle, i pianeti, le nebulose, le galassie. D’altra parte, se i corpi sono una concentrazione di energia nello spazio, che cos’è lo spazio? Credevamo di sapere che lo spazio è ciò che caratterizza un corpo; anche il cosiddetto spazio vuoto, credevamo di sapere che è una certa quantità di atomi di azoto (78%), ossigeno (21%) e argon (1%), più altri gas e una certa quantità di vapore acqueo, i quali prendono la forma del "contenitore" in cui si trovano, che si tratti di una stanza chiusa oppure dell’atmosfera di un pianeta. Ma se lo spazio non esiste, ma esiste solo l’energia, allora lo spazio fisico è un’illusione e i corpi stessi, considerati come sussistenti nello spazio e occupanti uno spazio, sono illusori. Cominciamo a questo punto a intravedere un’altra realtà, quella di cui ci parla, da sempre, la religione, ma che noi, imbottiti di presunzione scientista, avevamo più o meno relegato tra le favole dell’infanzia: non esiste una netta linea di separazione fra la dimensione che consideriamo "fisica" e quella spirituale. E questo non nel senso che l’anima e gli enti spirituali siano fatti di atomi-energia, come pensano i materialisti, da Democrito a Epicuro ad oggi, ma nel senso che la materia-energia è solo l’involucro, labile e ingannevole, dello spirito. È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla (Gv. 6, 63).

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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