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Ci serve uno spirito nuovo per uscire dalla palude

Nella crisi odierna di tutti i valori, di tutte le certezze, di tutte le verità; nella confusione ogni giorno crescente che regna nella stessa Chiesa cattolica, dove la voce di falsi pastori e di teologi eretici diffondono un senso di smarrimento e un atteggiamento di umana superbia, che allontanano le anime da Dio e le gettano in una tenebra sempre più fitta, abbiamo bisogno che l’autentico Magistero ci indichi nuovamente, come è stato per millenovecento anni e come, purtroppo, al presente più non avviene, le rette vie da seguire per ritrovare il nostro Signore Gesù Cristo, e, insieme con Lui, la pace con noi stessi e con i nostri simili: perché solo in Lui l’uomo realizza se stesso e può costruire una società giusta, mentre lontano da Lui, egli cade in preda alle passioni disordinate e finisce per autodistruggersi.

Il 24 dicembre 1942, ormai terminata la battaglia di El Alamein e in pieno svolgimento quella di Stalingrado, e mentre il mondo intero era sconvolto dal conflitto più terribile che si fosse mai visto, al punto da minacciare un oscuramento dell’intera civiltà umana, con stermini di massa di intere popolazioni, un grande pontefice, l’ultimo grande pontefice del XX secolo, Pio XII, lanciò un messaggio per la pace e la ricostruzione mondiale che scaturiva da una profonda riflessione e da una puntuale analisi, dal punto di vista cristiano, della crisi morale che aveva condotto i popoli e le nazioni ad un tale punto di barbarie, e prospettava, con chiarezza di pensiero e notevole lungimiranza, le strade per uscire da quella tragica situazione e gettare le basi per una ricostruzione complessiva delle relazioni umane, sia a livello individuale e familiare, sia a livello politico ed economico, nazionale e internazionale.

È cosa triste, e indice della confusione nella quale versa oggi la cultura cattolica, che la grandezza e la profondità del pensiero di quel grande papa, che fu Eugenio Pacelli, venga misconosciuta, e che le sue acute riflessioni e le sue sagge proposte siano sminuite proprio da studiosi di matrice cattolica, il tutto nel segno di quel progressismo e quel neomodernismo che sono ormai d’obbligo, la divisa del cattolicesimo politically correct, per il quale non vi è stato altro concilio ecumenico, nella storia della Chiesa, che il Vaticano II, prima del quale la Chiesa versava in un deplorevole stato di arretratezza, chiusura e provincialismo, e dopo il quale essa, dialogando fraternamente e fiduciosamente con il mondo – cioè con i suoi peggiori nemici, i quali mai avevano o hanno deposto le armi per distruggerla – si è avviata nel solco delle magnifiche sorti e progressive. Per esempio, nel libro antologico di Giuseppe Battelli Cattolici. Chiesa, laicato e società in Italia (1796-1996), pubblicato da una storica e gloriosa casa editrice cattolica, la S.E.I. di Torino (1997, p. 120) quel radiomessaggio, uno dei testi più toccanti e più densi di pensiero, di saggezza e di speranza cristiana, viene definito un radiomessaggio dai toni apocalittici, come se "apocalittica" non fosse invece la situazione nella quale esso venne concepito e pronunciato, e non già il messaggio in se stesso, che è, al contrario, quanto mai ricco di fede, speranza e carità.

Oppure è l’esplicito appello di Pio XII a una rinnovata "Crociata" ciò che disturba i cattolici progressisti e politicamente corretti? Anche da ciò si vede fino a che punto la cultura cattolica, che crede di aver fatto chissà quali passi avanti per merito del Concilio, altro non ha fatto che infeudarsi e rimpicciolirsi davanti ai più vieti luoghi comuni della cultura laica e secolarizzata di matrice illuminista e anticristiana, per i quali parole come "crociata", "inquisizione", "processo a Galilei", "spirito tridentino" sono altrettanti capi d’accusa e altrettante ammissioni di colpa, una colpa dalla quale la Chiesa odierna si deve emendare, anche a costo di rinnegare se stessa e diventare ingiusta, in sede di giudizio storico, nei confronti del proprio passato, prendendo per buone e facendo proprie tutte le critiche e le calunnie dei suoi nemici e sbarazzandosi, quasi con impazienza, di tutto ciò di cui dovrebbe, invece, andare fiera, perché non solo non è motivo di vergogna ma dovrebbe essere, semmai, motivo di vanto e di legittimo orgoglio, testimoniando che essa sola, nei momenti più bui della storia del mondo, ha tenuto sempre accesa la fiaccola della Verità soprannaturale e, di conseguenza, anche una visione realmente umana dei problemi umani, laddove ideologie barbare e disumane avrebbero voluto porre gli uomini in conflitto insanabile con se stessi e con le altre classi sociali o con gli altri popoli.

Ci sembrano più che mai meritevoli di attenta riflessione le parole pronunziate da Pio XII nel suo radiomessaggio della vigilia di Natale del 1942, nel momento culminante della Seconda guerra mondiale, ma già con l’occhio rivolto, oltre gli orrori bellici che sarebbero duranti ancora due anni e mezzo, a quel futuro di pace e di ricostruzione, soprattutto morale e spirituale, cui l’Europa e il mondo intero anelavano ansiosamente:

Oggi più che mai scocca l’ora di riparare; di scuotere la coscienza del mondo dal grave torpore, in cui i tossici di false idee, largamente diffuse, l’hanno fatto cadere; tanto più che, in questa ora di sfacelo materiale e morale, la conoscenza della fragilità e della inconsistenza di ogni ordinamento puramente umano è sul disingannare anche coloro, che, in giorni apparentemente felici, non sentivano in sé e nella società la mancanza di contatto coll’eterno, e non la consideravano come un difetto essenziale delle loro costruzioni. Ciò che chiaro appariva al cristiano, che, profondamente credente, soffriva dell’ignoranza altrui, chiarissimo ci presenta il fragore della spaventosa catastrofe dell’odierno sconvolgimento, che riveste la terribile solennità di un giudizio universale, persino agli orecchi dei tiepidi, degl’indifferenti, degl’inconsiderati: una verità, cioè, antica, che si manifesta tragicamente in forme sempre nuove, e tuona di secolo in secolo, di gente in gente, per bocca del Profeta: «Omnes qui Te derelinquunt, confundentur: recedentes a Te in terra scribentur: quoniam dereliquerunt venam aquarum viventium, Dominum» (Ier 17,13). Non lamento, ma azione è il precetto dell’ora; non lamento su ciò che è o che fu, ma ricostruzione di ciò che sorgerà e deve sorgere a bene della società. Pervasi da un entusiasmo di crociati, ai migliori e più eletti membri della cristianità spetta riunirsi nello spirito di verità, di giustizia e di amore al grido: Dio lo vuole! pronti a servire, a sacrificarsi, come gli antichi Crociati. (…)

1° DIGNITÀ E DIRITTI DELLA PERSONA UMANA. Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società, concorra da parte sua a ridonare alla persona umana la dignità concessale da Dio fin dal principio; si opponga all’eccessivo aggruppamento degli uomini, quasi come masse senz’anima; alla loro inconsistenza economica, sociale, politica, intellettuale e morale; alla loro mancanza di solidi principi e di forti convinzioni; alla loro sovrabbondanza di eccitazione istintive e sensibili, e alla loro volubilità; favorisca, con tutti i mezzi leciti, in tutti i campi della vita, forme sociali, in cui sia resa possibile e garantita una piena responsabilità personale, così quanto all’ordine terreno come quanto all’eterno; sostenga il rispetto e la pratica attuazione dei seguenti fondamentali diritti della persona: il diritto a mantenere e sviluppare la vita corporale, intellettuale e morale, e particolarmente il diritto ad una formazione ed educazione religiosa; il diritto al culto di Dio privato e pubblico, compresa l’azione caritativa religiosa; il diritto, in massima, al matrimonio e al conseguimento del suo scopo, il diritto alla società coniugale e domestica; il diritto di lavorare come mezzo indispensabile al mantenimento della vita familiare; il diritto alla libera scelta dello stato, quindi anche dello stato sacerdotale e religioso; il diritto ad un uso dei beni materiali, cosciente dei suoi doveri e delle limitazioni sociali.

2° DIFESA DELLA UNITÀ SOCIALE E PARTICOLARMENTE DELLA FAMIGLIA. Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società, rifiuti ogni forma di materialismo, che non vede nel popolo se non un gregge di individui, i quali, scissi e senza interna consistenza, vengono considerati come materia di dominio e di arbitrio; cerchi di comprendere la società come un’unità interna, cresciuta e maturata sotto il governo della Provvidenza, unità la quale, nello spazio ad essa assegnato e secondo le sue peculiari doti, tende, mediante la collaborazione dei diversi ceti e professioni, agli eterni e sempre nuovi fini della cultura e della religione; difenda la indissolubilità del matrimonio; dia alla famiglia, insostituibile cellula del popolo, spazio, luce, respiro, affinché possa attendere alla missione di perpetuare nuova vita e di educare i figli in uno spirito, corrispondente alle proprie vere convinzioni religiose; conservi, fortifichi o ricostituisca, secondo le sue forze la propria unità economica, spirituale, morale e giuridica: curi che i vantaggi materiali e spirituali della famiglia vengano partecipati anche dai domestici; pensi a procurare ad ogni famiglia un focolare, dove una vita familiare, sana materialmente e moralmente, riesca a dimostrarsi nel suo vigore e valore; curi che i luoghi di lavoro e le abitazioni non siano così separati, da rendere il capo di famiglia e l’educatore dei figli quasi estraneo alla propria casa; curi soprattutto, che tra scuole pubbliche e famiglia rinasca quel vincolo di fiducia e di mutuo aiuto, che in altri tempi maturò frutti così benefici, e che oggi è stato sostituito da sfiducia colà ove la scuola, sotto l’influsso o il dominio dello spirito materialistico, avvelena e distrugge ciò che i genitori avevano istillato nelle anime dei figli.

3° DIGNITÀ E PREROGATIVE DEL LAVORO. Chi vuole che la stella della pace spunti e resti sulla società, dia al lavoro il posto da Dio assegnatogli fin dal principio. Come mezzo indispensabile al dominio del mondo, voluto da Dio per la sua gloria, ogni lavoro possiede una dignità inalienabile, e in pari tempo un intimo legame col perfezionamento della persona; nobile dignità e prerogativa del lavoro, cui in verun modo non avviliscono la fatica e il peso, che sono da sopportarsi come effetto del peccato originale, in ubbidienza e sommissione alla volontà di Dio. Chi conosce le grande Encicliche dei Nostri Predecessori e i Nostri precedenti Messaggi non ignora che la Chiesa non esita a dedurre le conseguenze pratiche, derivanti dalla nobiltà morale del lavoro, e ad appoggiarle con tutto il nome della sua autorità. Queste esigenze comprendono, oltre ad un salario giusto, sufficiente alle necessità dell’operaio e della famiglia, la conservazione ed il perfezionamento di un ordine sociale, che renda possibile una sicura, se pur modesta proprietà privata a tutti i ceti del popolo, favorisca una formazione superiore per i figli delle classi operaie particolarmente dotati di intelligenza e di buon volere, promuova la cura e l’attività pratica dello spirito sociale nel vicinato, nel paese, nella provincia, nel popolo e nella nazione, che, mitigando i contrasti di interessi e di classe, toglie agli operai il sentimento della segregazione con l’esperienza confortante di una solidarietà genuinamente umana e cristianamente fraterna. (…)

4° REINTEGRAZIONE DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO. Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla vita sociale, collabori ad una profonda reintegrazione dell’ordinamento giuridico. Il sentimento giuridico di oggi è spesso alterato e sconvolto dalla proclamazione e dalla prassi di un positivismo e di un utilitarismo ligi e vincolati al servizio di determinati gruppi, ceti e movimenti, i cui programmi tracciano e determinano la via alla legislazione e alla pratica giudiziale. Il risanamento di questa situazione diventa possibile a ottenersi, quando si ridesti la coscienza di un ordinamento giuridico, riposante nel sommo dominio di Dio e custodita da ogni arbitrio umano; coscienza di un ordinamento che stenda la sua mano protettrice e punitrice anche sugli inobliabili diritti dell’uomo e li protegga contro gli attacchi di ogni potere umano. Dall’ordinamento giuridico voluto da Dio promana l’inalienabile diritto dell’uomo alla sicurezza giuridica, e con ciò stesso ad una sfera concreta di diritto, protetta contro ogni arbitrario attacco. (…). 

5° CONCEZIONE DELLO STATO SECONDO LO SPIRITO CRISTIANO. Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società umana, collabori al sorgere di una concezione e prassi statale, fondate su ragionevole disciplina, nobile umanità e responsabile spirito cristiano; aiuti a ricondurre lo Stato e il suo potere al servizio della società, al pieno rispetto della persona umana e della sua operosità per il conseguimento dei suoi scopi eterni; si sforzi e adoperi a sperdere gli errori, che tendono a deviare dal sentiero morale lo Stato e il suo potere e a scioglierli dal vincolo eminentemente etico, che li lega alla vita individuale e sociale, e a far loro rinnegare o ignorare praticamente l’essenziale dipendenza, che li unisce alla volontà del Creatore; promuova il riconoscimento e la diffusione della verità, che insegna, anche nel campo terreno, come il senso profondo e l’ultima morale e universale legittimità del «regnare» è il «servire».

Presupposto e centro focale della riflessione di Pio XII è la conoscenza della fragilità e della inconsistenza di ogni ordinamento puramente umano, nonché il disingannare coloro, che, in giorni apparentemente felici, non sentivano in sé e nella società la mancanza di contatto coll’eterno. Già da sola questa riflessione, peraltro ovvia per un cattolico, e nondimeno tanto spesso dimenticata o trascurata, ci trasporta ad un’altezza straordinaria: ci fa vedere, come a volo d’uccello, la fragilità e l’inconsistenza delle costruzioni esclusivamente umane, politiche, economiche, sociali, intellettuali, e ci suggerisce, nel contempo, il correttivo e il rimedio a tale fragilità e a tale inconsistenza: il ritorno delle anime a Dio, la rinnovata confidenza nella roccia su cui si fonda chi costruisce qualcosa, qualunque cosa — un’opera dell’intelligenza, una famiglia, una impresa economica, uno Stato – nel nome di Dio e sotto la sua protezione. Nello stesso tempo, non possiamo non notare, per contrasto, di quanto si sia allontanata da questa sana e spirituale concezione della società e della storia la pastorale e perfino la dottrina della neochiesa modernista dei nostri giorni: una prassi nella quale il senso del divino, della trascendenza, del soprannaturale, tende a restare sempre più sullo sfondo, se non addirittura a scomparire, mentre al centro di tutto si sente parlare sempre e solo dell’uomo, delle cose umane, delle opere umane, delle speranze umane e dei diritti umani. E quando si sente un importante personaggio, come l’arcivescovo Sánchez Sorondo, asserire che in Cina, oggi, si è realizzato un ordine sociale molto vicino a quello prospettato dalla dottrina sociale della Chiesa, non si può non rabbrividire, sia per la leggerezza e la superficialità del giudizio da un punto di vista puramente umano, alla luce della chiara verità teologica che il Regno di Dio annunciato da Gesù Cristo non è di questo mondo, sia pensando a come quel regime politico, tanto ammirato da Sorondo per le sue conquiste sociali ed economiche, sia un regime ateo, materialista, spregiatore di ogni diritto civile, negatore della vera libertà religiosa, persecutore dei veri cattolici (non di quelli falsi, tanto cari al falso papa Bergoglio e al regime comunista di Pechino), fautore della pena di morte a tutto campo, prevaricatore nella vita delle famiglie e nell’esercizio della procreazione, nemico implacabile dell’autodeterminazione dei popoli (vedi il caso dei tibetani), propugnatore di un liberismo economico addirittura selvaggio, che favorisce i facili guadagni e alimenta forti sperequazioni sociali, e che, nello stesso tempo, si pone con estremo sprezzo nei confronti della natura e dell’ambiente, inquinando l’atmosfera, la terra e i fiumi, senza limite alcuno, come ben dovrebbe sapere monsignor Soronodo, che è il Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, ed esponente di quella visione del rapporto uomo/natura, di ispirazione bergogliana (e falsamente francescana) che è perfino più ambientalista ed ecologista di quanto sia specificamente cristiana e cattolica.

Il concetto della Crociata, poi, evocato da Pio XII, e l’esortazione a tutti i cattolici a farsi altrettanti crociati, certo non è in linea con la pastorale dei vari Perego, Cipolla, Lorefice, Tisi, per non parlare della pseudo teologia di Enzo Bianchi, ma, in compenso, è perfettamente in linea con il vero spirito cristiano: che è spirito di sacrificio, di rinuncia, di lotta, di affermazione della verità contro la menzogna; tutte cose che richiedono anche la capacità di impegnarsi strenuamente in un mondo che tende a contraddire continuamente il Vangelo, a ostacolare i piani di Dio, a deridere o perseguitare gli operatori del Bene e a esaltare e magnificare i cattivi maestri, consapevoli o inconsapevoli agenti del male, anzi, del Male con la maiuscola. Ed è tanta la cattiva coscienza di costoro, la loro somma ipocrisia, che non si peritano di tesser le lodi di personaggi come Pannella o Bonino, che tanto si sono impegnati a introdurre nell’ordinamento giuridico "conquiste" come il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, le unioni omosessuali; e intanto si stracciano le vesti se un politico che non gradisce la loro linea politica sui migranti si permette di tirar fuori il Vangelo e il Rosario durante un comizio: perché l’esclusiva del Vangelo ce l’hanno loro soltanto, che mai s’immischiano di politica, e quanto al Rosario, del quale non parlano affatto, si capisce che non tocca ad altri lodarlo e giurare su di esso, perché non sopportano che qualcuno parli di quelle cose, prettamente cattoliche, che essi, nel loro progressismo e nel loro modernismo, poco apprezzano e forse, in cuor loro, disprezzano. Infine i cinque punti fondamentali, attorno ai quali, per Pio XII, deve ruotare un progetto di ricostruzione morale e civile dell’umanità, su basi di vera giustizia — dignità della persona; difesa della coesione sociale e della famiglia; dignità e tutela del lavoro; restaurazione di un ordine giuridico veramente umano e ispirazione cristiana dello Stato — possono essere considerati anche oggi di estrema validità e d’insuperata saggezza e coscienza del vero bene umano. Infatti, si ritorna sempre al punto centrale: affinché gli uomini possano godere d’un ordinamento complessivo che sia davvero sulla loro misura, non su quella della tecnica o della finanza, è necessario che tornino umilmente a Dio…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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