
La strategia dei piccoli passi
13 Novembre 2017
Per poter reagire, bisogna comprendere
14 Novembre 2017Da anni andiamo cercando la radice più profonda della deriva relativista, materialista ed edonista che sta travolgendo, insieme alla società civile, anche la Chiesa cattolica, benché i cattolici progressisti ed i membri modernisti del clero abbiano la strana pretesa che non di una deriva si tratti, ma di un rinnovamento, di un approfondimento della fede, di una maggior penetrazione del significato delle Scritture; e crediamo d’aver trovato la risposta complessiva, che comprende tute le altre risposte parziali, in un passo del Vangelo di Giovanni, che qui riportiamo (5, 31-47) e nel quale Gesù parla, senza essere accettato, anzi, suscitando critiche e malumori, ai suoi stessi discepoli, molti dei quali lo abbandonano:
Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera; ma c’è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace. Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché possiate salvarvi. Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce.
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha andato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. Ma voi non volete venire a me per avere la vita.
Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma io vi conosco e so che non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo? Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c’è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me: perché di me egli ha scritto. Ma se non credete ai suoi scritti, come potete credere alle mie parole?
Il passaggio chiave, per rispondere alla domanda: come è possibile la presente deriva relativista, materialista ed edonista?, è il seguente: Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma io vi conosco e so che non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo? In queste parole, Gesù descrive perfettamente la situazione in cui la fede viene messa alla prova dalla sua testimonianza, cioè dalla sua vita stessa: i seguaci di Mosè, allora, come oggi i pretesi seguaci di Gesù, si rifanno ad un’autorità stabilita ab antiquo, ma, nel presente, mostrano d’essere miopi come talpe, non sanno vedere, non vogliono riconoscere quella Verità che è lì, proprio lì, davanti a loro, e finiscono per rifiutarla, per disprezzarla e per allontanarsi da essa: e tutti questo perché in loro non abita l’amore di Dio, ma la brama di darsi gloria gli uni con gli altri. In altre parole: affinché Dio dimori nell’uomo, è necessario che l’uomo si svuoti del proprio io, che rinunci alle proprie ambizioni, che allontani ogni desiderio di gloria per se stesso, perché solo così potrà fare spazio ed accogliere la volontà di Dio, in tutta pienezza e in perfetta fedeltà e obbedienza. Se permane anche solo un residuo di vanità, di superbia, di egoismo, la volontà di Dio non trova spazio sufficiente e non riesce ad operare quella trasformazione interiore che, sola, permette la rinascita dell’uomo vecchio in un uomo nuovo, divenuto figlio di Dio per mezzo della testimonianza di Gesù Cristo.
Ma se la superbia non muore, se la brama di onori e riconoscimenti permane, se l’io continua a dominare, dispotico e narcisista, al centro dell’anima, allora la presenza di Dio diventa impossibile, e non restano che umane passioni e umane vanità, per quanto possano ammantarsi dei segni e delle forme esteriori del culto cattolico. Ed è appunto lo spettacolo al quale stiamo assistendo. Tutti questi cardinali, arcivescovi e vescovi che indulgono alla raffinata vanità di far vedere e far sapere all’universo mondo quanto sono umili (anche se abitano in bei palazzi), di proclamarsi "sacerdoti di strada",e che vogliono far vedere quanto amano i poveri, e ostentano ogni giorno la loro carità a buon mercato (perché a loro non costa nulla) invocando, da parte degli altri, accoglienza, solidarietà e inclusione verso il diluvio di falsi profughi che si abbatte sulle nostre coste e alle nostre frontiere, permettendosi anche di entrare a gamba resa nel dibattito politico e sposando in pieno la causa del politically correct, quella della sinistra progressista e moralista, buonista e immigrazionista, nonché femminista, abortista, omosessualista, ecologista e ambientalista (ma Gesù Cristo non aveva forse detto: Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio?), tutti costoro, anche se recitano la parte dei buoni, dei pietosi e dei misericordiosi, vanno cercando, e quasi mendicando, il consenso, l’approvazione, l’applauso delle piazze, e, nello stesso tempo, anche l’approvazione dei governi (beninteso progressisti; non di quello russo, per esempio, e neanche di quello americano, ora come ora) e dei poteri forti, dei grandi banchieri, i quali, guarda un po’ che coincidenza, in fatto di migranti, accoglienza e diritto di cittadinanza, la pensano proprio come loro, cioè come la pensava, a suo tempo, un certo Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi, e come la pensa, ai nostri giorni, un certo George Soros. È piuttosto curioso, vero? Quando si dice il caso…
E come gonfiano le penne, simili ad altrettanti pavoni; come gongolano, come scoppiano di soddisfazione, codesti cardinali, arcivescovi e vescovi massoni e modernisti, mentre si complimentano e si felicitano l’uno con l’altro, si battono le mani gli uni gli altri, e magnificano reciprocamente le loro virtù di misericordia, di tenerezza, di solidarietà verso gli ultimi, mentre la stampa li fotografa, i giornalisti li lodano, la televisione li celebra, e un esercito di zelanti sacerdoti e di sedicenti uomini di cultura "cattolici" fa ala al loro passaggio, senza mai stancarsi di ripetere, come fossero dei mantra, le frasi fatte e dolciastre e le formule di rito, lodando fino alle stelle la veracità, la schiettezza, la commovente e francescana coerenza del loro "cristianesimo", nel momento stesso in cui tutti loro lo stanno abbassando e degradando al livello di una delle tante ideologie di questo mondo, senza trascendenza, senza spiritualità, senza afflato mistico, e soprattutto senza ombra di umiltà e di modestia, ma solo a un insieme di slogan progressisti e buonisti, a una proposta politica e sociale tutta terrena, interamente laica, nella quale la parola "soprannaturale" non entra neanche per sbaglio! Si prenda, a titolo di esempio, il commento del cardinale di Chicago, Blaise Cupich, sulla strage avvenuta il 5 novembre 2017 in una chiesa del Texas, costata la vita a ventisei persone, fra le quali ben quattordici bambini: come ha notato il sito Ignatius Insight, egli non ha speso neanche una parola sul male, sul peccato, su Gesù Cristo, su Dio, sulla vita eterna, sul Giudizio finale, sull’inferno e il paradiso. Niente di tutto ciò: zero assoluto. Solo un vaghissimo accenno a "pensieri e preghiere", ciò che potrebbe dire anche un teosofo, un buddista, uno gnostico, un cabalista, un occultista. In compenso, ampi discorsi sulla necessità di porre dei limiti alla vendita delle armi, sul controllo della salute mentale dei cittadini da parte dello Stato, e così via. Oh, per carità: cose anche abbastanza ragionevoli e condivisibili. Ma sono discorsi di questo genere che i fedeli si aspettano, da un uomo di Chiesa, dopo un tragedia come quella della cittadina nei pressi di San Antonio? Si aspettano di sentire le stesse frasi, gli stessi concetti che appartengono ai discorsi dei politici; oppure si aspettano una parola di riflessione e di consolazione cristiana? Ma se è sufficiente che un ministro di Dio parli di controllo nella vendita delle armi e di verifiche sullo stato di salute mentale dei cittadini, allora a che serve la religione, e che ci sta a fare la Chiesa cattolica? È sufficiente rivolgersi ai politici, o ai sociologi, agli psicologi, agli psichiatri. Tutti i problemi, tutte le questioni si riducono a problemi e questioni di politica, sociologia, psicologia, psichiatria. La religione non serve, la Chiesa è superata. A meno che, pensano codesti cardinali e vescovi massoni e progressisti, la Chiesa si metta a parlare lo stesso linguaggio del mondo. In tal modo, credono d’averle guadagnato il diritto di sopravvivere.
Ma come fanno a condurre il gregge dei fedeli, i pastori che vivono nel ricatto di questa cultura secolarizzata e laicista? O la religione rinuncia a se stessa, e smette di parlare di Dio, e tace sul peccato, sulla grazia, sull’anima e sull’eternità, oppure merita di sparire? E dunque, per non sparire, ecco che i cardinali, i vescovi e i sacerdoti diventano loquaci su tutte le questioni politiche, sociali, economiche, giuridiche, sindacali, culturali, ma non dicono praticamente più nulla di cattolico. Lo fanno per non essere discriminati, per non sentirsi inutili, per evitare il disprezzo del mondo, oppure lo fanno perché hanno introiettato a fondo, e sin troppo, la sciagurata affermazione del papa Francesco, che Dio non è cattolico? Dispiace dirlo, ma se un membro del clero vive in un tale complesso d’inferiorità nei confronti della società profana; se pensa di essere una persona inutile e buona a nulla, a meno che smetta di fare il sacerdote e si comporti, pensi e parli solo ed esclusivamente come un politico, un sociologo, un sindacalista, eccetera, ossia in maniera perfettamente laica e secolarizzata, ebbene, in tal caso quel sacerdote non è degno di essere tale: è stato consacrato per sbaglio; che lasci la tonaca e vada a vivere nel mondo, secondo il mondo e come piace al mondo, e che lasci il suo posto, la sua parrocchia, la sua diocesi, alle cure di un sacerdote più degno di lui. Di un sacerdote il quale, per primissima cosa, non si vergogni di essere un ministro del nostro Signore Gesù Cristo.
Costoro, invece, si vergognano di essere sacerdoti: non parlano di ciò di cui dovrebbero parlare, si vergognano perfino di andare in giro vestiti da sacerdoti, e si camuffano da laici, coi loro maglioni, le loro giacche, i loro jeans: bravi, complimenti. Si sentiva la mancanza di preti così, che giocano a nascondino con il loro essere preti. E si sentiva la mancanza dei vescovi "di strada", l’ultima invenzione della neochiesa progressista e modernista: vescovi che, come quello di Chicago, non nominano il Signore neanche davanti ai peccati più raccapriccianti; o come quello di Santiago de Compostela, in Spagna — per la cronaca, si chiama Julian Barrio — che consacra sacerdoti due uomini omosessuali, apertamene conviventi; oppure come quello di Anversa, Johan Bonny, che invoca a voce alta la celebrazione del "matrimonio" gay da parte della Chiesa cattolica. Ora, al di là delle singole opinioni sui diversi temi sociali, culturali, psicologici, il punto fondamentale non è che un sacerdote, o un vescovo, non possano esprimere delle private opinioni, per quanto dovrebbero aver cura di farlo sempre con molta discrezione, tenendo ben distinta da esse la loro funzione pastorale, e quindi astenendosi, nel modo più assoluto, dall’utilizzare il pulpito, e lo spazio dell’omelia all’interno della santa Messa, per tenere concioni d’intonazione profana, siano esse progressiste o conservatrici, di destra o di sinistra. Il punto non è tanto quello che dicono, ma quello che non dicono. Signore, e da chi andremo?, chiede san Piero a Gesù Cristo, il quale ha domandato ai dodici se vogliono andarsene anche loro, dopo che altri discepoli si sono allontanati, scandalizzati o delusi dalle sue parole. E aggiunge, il buon Pietro: Tu solo hai parole di vita eterna! Ecco di cosa deve parlare, innanzitutto, un membro del clero cattolico, quello vero, non quello modernista travestito da clero cattolico: deve parlare della vita eterna. Nei suoi discorsi, nelle sue omelie, in tutto il suo modo di porsi, i fedeli devono percepire il profumo della vita eterna. Non si tratta di arte oratoria: si tratta di solidità della fede e, anche, di coerenza di vita. Il sacerdote è un alter Christus: responsabilità altissima, missione sublime in un mondo, come il nostro, sempre più radicalmente secolarizzato, e che, di Dio, non vuole sentir parlare in alcun modo. Ed ecco che il pastore cattolico ha due possibilità innanzi a sé: o fare come i Paglia, i Galantino, i Sosa, eccetera, cioè dir le cose che piacciono al mondo, cercare la popolarità facile tra i nemici della Chiesa, e sminuire, "smitizzare" (com’essi dicono), perfino ridicolizzare le cose più sacre della religione cattolica, a cominciare dalla dottrina; oppure accettate la sfida del mondo, e rivolgere agli uomini che hanno fame e sete di Dio, anche se non lo sanno, e la cui vita è angosciosa e disperata, anche se non ne conoscono la causa, quelle parole di vita eterna le quali, sole, accendono una luce nelle tenebre, e gettano un raggio di speranza nei cuori desolati. Questa è la missione del sacerdote: riaccendere, confermare, rafforzare la fame e la sete di Dio nel cuore degli uomini; mostrare alle anime la via del Cielo. Questa, e non altra. Se fa altro, vuol dire che quel prete ha sbagliato strada, ha sbagliato vocazione, e rischia di essere di scandalo, per quanto possa essere, magari, bene intenzionato. Un vero sacerdote non deve parlare come fa il mondo, ma come Gesù, che aveva parole di vita eterna…
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