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Rut, la pagana che si converte per amore filiale

Il Libro di Rut non ci offre solamente un splendido esempio di virtù domestiche e di perfetto amore tra nuora e suocera, che sopporta ogni avversità e resiste a ogni tribolazione, anche dopo la morte dei rispettivi mariti, quando gli obblighi reciproci, secondo l’uso e la mentalità del tempo, erano stati sciolti dalla falce inesorabile della morte; è anche l’esempio di come possa farsi sentire, attraverso il rispetto, l’ammirazione e l’amore nei confronti di una persona, il richiamo del vero Dio, al di sopra di tutte le voci e di tutte le convenzioni di questo mondo.

Ecco come il Libro di Rut descrive, con espressioni toccanti, questo processo di conversione al vero Dio, che passa attraverso il sentimento di sublime devozione filiale, di autentica pietas da parte di Rut, la nuora — bisnonna del futuro re Davide – nei confronti della suocera, Noemi (traduzione della Bibbia di Gerusalemme, 1, 1-18):

Al tempo i cui governavano i giudici, ci fu nel paese una carestia e un uomo di Betlemme di Giuda emigrò nella campagna di Moab, con la moglie e con i suoi due figli. Quest’uomo si chiamava Elimélech, sua moglie Noemi e i suoi due figli Maclon e Chilion; erano Efratei di Betlemme di Giuda. Giunti nella campagna di Moab, vi si stabilirono. Poi Elimélech, marito di Noemi, morì ed essa rimase con i due figli. Questi sposarono donne di Moab, delle quali una si chiamava Orpa e l’altra Rut. Abitavano in quel luogo da circa dieci anni, quando anche Maclon e Chilion morirono tutti e due e la donna rimase priva dei suoi due figli e del marito.

Allora si alzò con le sue nuore per andarsene dalla campagna di Moab, perché aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane. Partì dunque con le due nuore da quel luogo e mentre era in cammino per tornare nel paese di Giuda Noemi disse alle due nuore: "Andate, tornate ciascuna a casa di vostra madre; il Signore usi bontà con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me! Il Signore conceda a ciascuna di voi di trovare riposo in casa di un marito". Essa le baciò, ma quelle piansero ad alta voce e le dissero: "No, noi verremo con te al tuo popolo". Noemi rispose: "Tornate indietro, figlie mie! Perché verreste cin me? Ho io ancora figli in seno, che possano diventare vostri mariti? Tornate indietro, figlie mie, andate! Io sono troppo vecchia per avere un marito. Se dicessi: Ne ho speranza, e se anche avessi un marito questa notte e anche partorissi figli, vorreste voi aspettare che diventino grandi e vi asterreste per questo dal maritarvi? No, figlie mie; io sono troppo infelice per potervi giovare, perché la mano del Signore è stesa contro di me". Allora esse alzarono la voce e piansero di nuovo; Orpa baciò la suocera e partì, ma Rut non si staccò da lei. Allora Noemi le disse: "Ecco, tua cognata è tornata al suo popolo e ai suoi dei; torna indietro anche tu, come tua cognata". Ma Rut rispose: "Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole se altra cosa che la morte mi separerà da te". Quando Noemi la vide così decisa ad accompagnarla, cessò di insistere.

Se commovente ed esemplare è il sentimento di pietà filiale che lega Rut, ancora giovane e in età da potersi senz’altro risposare, alla suocera Noemi, che ha perso marito e figli e che non può offrirle più nulla, nemmeno i mezzi per sopravvivere nel suo paese, ma deve emigrare e tornare dai suoi, non meno esemplare è il sentimento che porta Rut, la moabita, la pagana, a convertirsi al Dio della suocera, che per lei è un Dio straniero, ma al quale si rivolge per amore e per fedeltà incondizionata alla suocera: il tuo Dio sarà il mio Dio. Rut, dunque, non solo si dimostra pronta a rinunciare a tutto, anche a un possibile nuovo matrimonio, pur di restare insieme a lei; ma anche a rinunciare ai suoi dei e alla sua religione, per abbracciare la religione dell’altra. E, se si considera quanto fosse importante la religione nella vita dei popoli antichi, certo assai più che nella società odierna, non si può non restare colpiti dalla radicalità di una tale scelta, che implicava l’adozione d’un nuovo orientamento di tutta la vita interiore da parte della donna.

Questo racconto ci ricorda che, per giungere a Dio, esistono varie strade, e una di esse passa proprio per la decisione maturata da Rut, la moabita, ossia per il sentimento di ammirazione, affetto e fiducia totali nei confronti di una persona che viene vista come un modello, per la sua saggezza e la sua autorevolezza. Dio si serve degli uomini per convertire altri uomini, il che deve far riflettere sulla estrema importanza che la nostra stessa vita, per quanto appartata e apparentemente insignificante possa apparirci, può rivestire, come un eventuale modello di riferimento per gli altri, per qualcuno che ci guarda e che ci osserva, e, forse, prova un certo grado di rispetto, ammirazione, stima e fiducia, nonché di affetto, nei nostri confronti. E non è neppure necessario che noi ne siamo consapevoli. La nostra vita, per quanto possa essere solitaria e schiva, si svolge pur sempre in mezzo ad altri esseri umani; e nessuno può sapere, o prevedere, quanto una singola vita, per il solo fatto di esserci, possa esercitare un’influenza sulla vita di altri esseri umani. Vi sono persone le quali, senza nemmeno saperlo, riconducono a Dio delle anime che erano alla sua ricerca, e che, da sole, non sarebbero riuscite a trovarlo. Non è merito loro; è Dio che agisce per mezzo di loro: nondimeno, è innegabile che la fedeltà alla propria chiamata, la vocazione alla santità, ciascuno nel proprio piccolo, nel proprio ambito di vita, creano le condizioni favorevoli affinché chi è lontano da Dio trovi un modello a cui riferirsi, un esempio di cui servirsi per colmare, o accorciare, la distanza che ancora lo separa dalla meta. Forse si tratta di persone che non sanno neppure di essere alla ricerca di Dio; è Lui che lo sa, leggendo nel profondo della loro anima: ed è Lui che mette sulla loro strada un altro essere umano, il quale, magari senza neanche saperlo, svolge la funzione di tramite. Siamo tutti operai inutili; ma Dio, nella sua infinita sapienza e misericordia, può servirsi anche dell’ultimo operaio per suscitare cose grandi, per attirare molti fino a Sé. Uno scrittore, per esempio, anche sen non fa vita sociale, anche se non esce mai di casa, può raggiungere altre persone per mezzo dei suoi libri: ebbene, anche questo potrebbe essere uno strumento di cui Dio si serve per chiamare a Sé coloro i quali lo stanno cercando. E la stessa cosa può accadere per mezzo di un malato, immobilizzato nel suo letto di ospedale; e perfino di un bambino di pochi anni, la cui purezza e innocenza possono ridestare i migliori sentimenti anche in un’anima indurita nella cattiveria, o sprofondata nei peggiori disordini morali.

Naturalmente, il ruolo più ovvio e naturale è quello che spetta ai genitori: sono loro che esercitano la maggiore influenza sulla vita dei loro figli; e questo è pur sempre vero, anche nell’era della televisione, di internet e dei telefonini cellulari. Ma anche uno sconosciuto, anche una persona qualsiasi, può rivelarsi decisiva nel rompere la corazza che tiene imprigionato un altro essere umano e lo separa dalla verità divina. Questo significa che ciascuno di noi ha una grande responsabilità: forse qualcuno ci guarda, un bambino, un collega, uno sconosciuto; e forse qualcuno ci prenderà a modello per le sue scelte esistenziali e morali. L’impegno a vivere la vita buona, quindi, nel rispetto di sé e del prossimo, nella fedeltà ai valori morali, dovrebbe essere di tutti e non solo di quanti – genitori, maestri, sacerdoti – lavorano nel campo educativo o svolgono, comunque, una funzione educante. I nostri gesti, le nostre parole, il nostro atteggiamento, forse, sono osservati da qualcuno, e da essi possono dipendere molte cose. Ma se ciò è vero nel bene, lo è anche nel male; e questo rende la nostra responsabilità ancora più grande. Vi sono situazioni nelle quali l’intera vita di una persona può essere segnata irreparabilmente da un gesto d’incosciente, brutale egoismo, del quale chi lo ha compiuto si dimenticherà poco tempo dopo: ma non se ne dimenticherà mai chi lo ha subito. Un bambino che sia stato abusato da un adulto, ne avrà la vita segnata; e, forse, non riuscirà mai più a ricostruire il proprio equilibrio interiore. Immensa, schiacciante, è la responsabilità di un adulto che si macchia d’un simile misfatto; e, se si tratta di una persona che riveste una finzione educativa, la sua colpa diventa, se possibile, ancora più grave; anche perché a tali crimini non esiste praticamente rimedio, e, quel che è peggio, essi tendono a riprodursi, in una spirale senza fine, perché un bambino che ha subito violenze sessuali, o d’altro genere, tende, da grande, a riprodurre, sugli altri il male che lui stesso ha subito; e vi è un’alta probabilità che stabilirà dei legami affettivi malati, nei quali cercherà inconsciamente proprio quel tipo di emozioni e di sentimenti che ha vissuto all’epoca in cui la sua vita è stata irreparabilmente sconvolta dal male.

E adesso ritorniamo a Rut, la moabita. È una donna ancor giovane, che non teme di affrontare una vita di stenti e di solitudine pur di rimanere accanto alla suocera, alla quale la legano un tenero affetto, una devozione filiale. Se poi le cose andranno diversamente, se troverà l’amore di un uomo, il ricco e generoso Booz, se si sposerà e conoscerà ancora le gioie della famiglia; se avrà la sorte di essere bisnonna del re Davide e, quindi di svolgere un ruolo, sia pure indiretto, nelle vicende del popolo al quale ha deciso, lei straniera, di legarsi, per affetto verso la madre del suo primo marito, ebbene, tutto questo fa parte dei piani di Dio e della sapienza di Dio, perché si tratta di sviluppi umanamente imprevedibili. Anche da questo lato, dunque, la storia di Rut ci ricorda quanto siano fallaci le umane previsioni e i calcoli basati sulla nostra esperienza, perché Dio conosce le vie che noi non conosciamo, ed Egli sa condurci alla meta in una maniera che, talvolta, è sorprendente, perché sfida tutte le nostre aspettative e la nostra presunta ragionevolezza. Secondo i suoi disegni, pertanto, può accadere che l’improbabile diventi realtà, e che quanto era, invece, estremamente probabile, non si compia mai: le sue vie non sono le nostre, i suoi fini non sono i nostri. Epoche più religiose della nostra lo sapevano, e lo sapevano anche i nostri nonni: quando dubitiamo di poter risolvere una certa situazione con le nostre forze, forse faremmo bene a rivolgerci a Dio e chiedere a Lui la luce, il consiglio, la forza, la direzione, il significato.

Esistono molte vie per giungere a Dio, e Rut ne ha scelta una: quella del cuore, dell’amore nei confronti di una persona credente. Se si ritiene una persona meritevole di fiducia, allora anche le sue scelte spirituali e religiose acquistano una credibilità, una concretezza, un realismo che può conquistare altri individui. Esiste anche la via razionale, quella dei filosofi; ma anch’essa, a un certo punto, comporta un "salto" nella dimensione della fede: la ragione non è autosufficiente, arriva il momento in cui anch’essa deve riconoscere il propri limite, e chiedere l’illuminazione della grazia, che è un dono concesso dall’alto e non una orgogliosa conquista umana. In tal modo Noemi, con la sua bontà, con la sua saggezza, con la sua credibilità, ha trascinato anche la giovane Rut nella fede per quel Dio che lei, fino ad allora, non aveva abbracciato, pur avendo vissuto per molti anni con un uomo che credeva in Lui. Evidentemente, la fede del marito non era paragonabile a quella della suocera; la bontà, la saggezza, la credibilità di lui, non reggevano il confronto con quelle di sua madre. Le idee, gli esempi, le proposte di vita, camminano sulle gambe degli uomini: una certa idea può anche essere bellissima, può affascinarci con il suo splendore, ma finché non la vediamo incarnata in un essere umano, finché non la vediamo farsi carne e sangue e operare in mezzo alla società, attraverso la vita di un altro essere umano, quell’idea, per quanto ricca di fascino, resterà pur sempre un’idea, una cosa astratta, che si ammira da lontano, ma che non ha il potere di cambiare la nostra stessa vita. Perché ciò accada, è necessario che quell’idea trovi il suo prolungamento, la sua realizzazione, in un altro essere umano, il quale, pur con i suoi eventuali limiti e difetti, la sappia vivere concretamente in maniera tale, da convincerci della sua effettiva bontà. Per credere nella bontà della famiglia, ad esempio, bisogna aver incontrato, almeno una volta, una famiglia realizzata e felice, i cui membri si vogliono bene per davvero e sanno fare del proprio meglio per sostenersi a vicenda nel cammino dell’esistenza. E lo stesso vale per la fede in Dio: se non incontriamo nemmeno un vero cristiano, un vero cattolico, difficilmente le pur sublimi pagine del Vangelo avranno il potere di smuoverci, di entrare nella nostra vita sino a trasformarla radicalmente, facendo di noi delle persone nuove. È terribile pensare che, come esistono degli esempi che trascinano verso il bene, esistono pure quelli che trascinano verso il male. E non parliamo solo della malvagità ordinaria, ma anche di quella deliberata, organizzata e veramente diabolica, ad esempio quella dei cultori della magia nera e del satanismo. Il male che possono fare tali persone, anche sul piano morale, ai loro simili, è incalcolabile. Non bisogna nemmeno, tuttavia, sopravvalutare il loro ruolo: per quanto grande esso sia, sarà pur sempre inferiore a quello del bene. Una sola persona buona può innescare una spirale virtuosa capace di spezzare la catena del male. Non certo colle sue forze, tuttavia, né per suo merito: ma sempre e solo col volere e l’aiuto di Dio…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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