
Ma questa non è più la nostra religione
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28 Ottobre 2017Dio è capace di perdonare qualsiasi colpa, beninteso al peccatore che si pente profondamente del suo peccato e che domanda, lui stesso, di espiare il male commesso; non certo a colui che fa finta di pentirsi solo per scansare le conseguenze delle sue malvagie azioni. I cristiani, da parte loro, avendo per modello Gesù Cristo, devono anch’essi perdonare, o almeno sforzarsi di perdonare: perché vi sono realmente dei delitti così atroci, che nessuno, con le sole forze umane, riuscirebbe a perdonarli, se non chiedesse e ricevesse l’aiuto soprannaturale della grazia. E rimetti a noi i nostro debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, recita la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato: senza contare le parabole nelle quali esplicitamente tratta il tema del perdono dovuto al nostro prossimo, vista la generosità con cui il Padre è disposto a perdonare noi stessi. C’è, tuttavia, una cosa che non si può chiedere a un cristiano, e che sarebbe addirittura sacrilega, cioè domandargli di essere più generoso e più misericordioso di Dio stesso. Nessuno può essere più buono del Padre; e, se vi sono delle colpe che Dio stesso non perdona, neppure noi siamo tenuti a farlo. Sarebbe meglio per quest’uomo se non fosse mai nato (Matteo, 14, 21), dice Gesù di colui che si macchia del peccato contro lo Spirito Santo: parole terribili, di una durezza inaudita. E ancora: In verità vi dico: ai figli degli uomini saranno perdonati tutti i peccati e qualunque bestemmia avranno proferita; ma chiunque avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha perdono in eterno, ma è reo di peccato eterno (Marco, 3, 28-30): parole ancor più terribili, se mai fosse possibile. Non ha perdono in eterno: sono parole di Gesù, proprio del nostro Signore, checché ne dica padre Sosa, il generale dei gesuiti, il quale dubita che i Vangeli riportino fedelmente quel che Egli disse e fece nella sua vita terrena. Non è vero, dunque, che Dio perdonerà tutti e accoglierà tutti nella sua tenda, come ha affermato papa Francesco nell’udienza generale del 23 agosto 2017, concetto da lui ribadito anche in altre occasioni, e che, in pratica, equivale alla soppressione del Giudizio degli uomini da parte di Dio. Nessuno sarà giudicato, perché, dice il papa, tutto sarà salvato; tutto (udienza dell’11 ottobre). E allora, bisogna scegliere: o hanno ragione Gesù Cristo e il suo Vangelo, oppure hanno ragione il papa Francesco e i suoi numerosi fan e accoliti. Non possono aver ragione entrambi, per la contradizion che nol consente.
Ribadiamo, perciò, il concetto: nessuno è superiore a Gesù, nessuno può essere più buono del Padre; se vi è un peccato che non sarà perdonato da Dio, nemmeno noi possiamo perdonare quel peccato. Quel peccato è la bestemmia contro lo Spirito Santo: e, considerando il contesto del Vangelo in cui sono riferite le parole di Cristo, risulta chiaramente che Egli parla di quegli scribi e farisei i quali lo accusano di essere un indemoniato. Vengono subito alla mente le parole di papa Francesco: Gesù si è fatto diavolo e serpente; e vengono in mente le parole di Antonio Socci, che, in un articolo apparso su Libero, il 6 aprile 2017, osservava: Bergoglio arriva ad affermare che "Gesù si è fatto diavolo" e tutti fanno finta di nulla; individuando in questa, e in molte altre, provocazioni eretiche e sacrileghe di Bergoglio (come quando, commentando l’episodio della donna adultera, disse che Gesù fa un po’ lo scemo), non il frutto di una cultura teologica penosamente inadeguata e di una, diciamo così, irruenza caratteriale, bensì una precisa strategia, che egli sta attuando con metodica pazienza, senza mai deflettere dal suo scopo ultimo: destrutturare la dottrina cattolica e ridurre la Chiesa a un Circo Barnum, dove ciascuno può dire e fare tutto quel che gli pare e piace. Sempre nel Vangelo, Gesù ha anche affermato che, a colui che dà scandalo ai "piccoli" nella fede (che possono essere i bambini, ma anche quelle persone adulte che accolgono il Vangelo in santa semplicità di cuore) è meglio per lui che gli venga messa al collo una pietra da mulino e che venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli (Luca, 17, 2). Altro che perdonare tutti, salvare tutti e tutto, portare tutti nella tenda del Padre: questa non è la dottrina cattolica. E nemmeno noi siamo tenuti a perdonare chi tenta di alterare la Parola di Dio in maniera così subdola e maligna.
I signori della neochiesa stanno veramente scherzando con il fuoco: con il fuoco dell’inferno, le cui fiamme sono eterne e inestinguibili, come Gesù stesso ha detto e ammonito in numerose parabole, perché si stanno macchiando di un peccato imperdonabile. Ma si è mai visto e sentito, nel corso di duemila anni di storia della Chiesa e di duecentosessantasei pontificati, un papa che non lascia quasi passar giorno senza ferire gli orecchi dei fedeli con una nuova sparata, con una nuova espressione sconcertante, che colpisce dolorosamente le anime, che le disorienta, che le riempie di dolore e di amarezza, che le fa sentire sole e abbandonate a se stesse? Si è mai visto e sentito un papa che non si cura di tali effetti delle sue parole, diremmo imprudenti, se volessimo, e soprattutto se potessimo (e come, se lo vorremmo!), concedergli il beneficio del dubbio; ma molto, molto imprudenti; più che imprudenti: avventate, sconsiderate, intemperanti; il quale tuttavia non solo non se ne cura, non solo non si abbassa a rispondere a quei membri del clero e a quei laici, i quali, con rispetto e spirito filiale, gli domandano chiarimenti, ma ostenta quasi ogni giorno tutto il suo fastidio, la sua irritazione, il suo disprezzo per quei fedeli che non lo capiscono, che non riescono a tenere il passo con le sue cosiddette riforme? È questa la funzione del papa: seminare dubbi e turbamenti, non rispondere alle domande, offendere con un ricco vocabolario d’insulti quanti non condividono la sua volontà di cambiare la Chiesa (ma ne ha il diritto?), come lui stesso ha detto, e lo ha detto al gran principe della chiesa massonica, Eugenio Scalfari, interlocutore privilegiato delle sue interviste, nonché esegeta semiufficiale della sua azione apostolica? È questo l’esempio che ha dato Gesù Cristo ai suoi discepoli e alle folle alle quali si rivolgeva, Lui, il solo modello, il solo maestro, il solo capo della Chiesa cattolica, del quale il papa è un semplice vicario? Gesù turbava la fede dei suoi ascoltatori, adoperava espressioni irriguardose e blasfeme, non dava chiarimenti a chi glieli domandava, e derideva i suoi seguaci, o li insultava, quando non li trovava come avrebbe voluto che fossero? Non faceva, invece, esattamente il contrario? E non ha insegnato, con la parabola del Buon Pastore, che anche una sola pecorella gli era cara e preziosa, e che, per la sua salvezza, sarebbe andato a cercarla perfino in capo al mondo? Il Buon Pastore, lo dice Gesù, è colui che dà la sua vita per amore delle sue pecore: non colui che si fa bello e cerca l’applauso, facendosi ammirare con un agnellino sulle spalle, per la gioia dei fotografi; né colui che fa della demagogia a buon mercato, affermando che è buono l’odore di pecore, e che bisogna esserne intrisi.
L’odore di pecora non è buono; il Buon Pastore non ama lo sporco delle pecore, ma la pulizia delle pecore. Fuor di metafora: il Buon Pastore non ama le anime così come sono, ma le ama cercando di portarle tutte verso la grazia, che è la via della salvezza. Non ama i peccatori in quanto peccatori, ma in quarto anime da salvare. Se si confonde questo punto, si capovolge il Vangelo. Cristo non ama l’adultera perché è adultera; e, infatti, non le dice: Vai, e cerca di discernere quel che puoi fare e quel che non puoi fare nella tua situazione, che è oggettivamene complessa: io ti accompagnerò nel tuo percorso, in ogni modo e qualunque cosa tu decida; niente affatto: Gesù le dice: Vai, e non peccare più. C’è poco da fare: Bergoglio tace questo punto essenziale, decisivo, senza il quale il Vangelo non è più il Vangelo, ma diventa un altro vangelo, un anti-vangelo, un contro-vangelo: Gesù non è venuto a perdonare i peccatori impenitenti, ma a esortare i peccatori al pentimento e alla conversione. Non è venuto a benedire e santificare il peccato, ma a mostrare agli uomini la strada per uscire dalla palude mortifera del peccato. Non è venuto per dire agli uomini, sprofondati nel peccato: Rimanete pure lì, se non potete fare altro, se non potete far di meglio; io vi capisco: vi capisco così bene, che non mi aspetto null’altro da voi, se non che restiate nel peccato, come si evince, senza alcuno forzo e alcuna forzatura, dal famigerato paragrafo 303 della esortazione apostolica Amoris laetitia. I vari don Gallo, i vari monsignor Paglia, i teologi alla Enzo Bianchi, confondono le carte proprio su questo punto e danno a intendere che a Gesù piacciono i peccatori. Niente affatto: Egli ama tutti gli uomini e prova una speciale tenerezza verso i peccatori, perché vede le loro anime in pericolo mortale; per questo si spende per la loro salvezza, ed è pronto a dare la vita per essi: ma non ama per niente i loro peccati, anzi, li detesta, e quel che ama nei peccatori, è la loro possibilità di redimersi, gettandosi ai piedi del Padre e domandando umilmente perdono. Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non son più degno di essere chiamato tuo figlio: questo fa dire al figlio prodigo; non esalta di certo il peccatore, ma insiste sulla necessità del pentimento.
Ma quel che stanno facendo i seguaci della neochiesa e i neopreti progressisti è proprio questo: sdoganare il peccato, relativizzarlo, liberalizzarlo, proclamarlo giusto e santo, perfino gradito a Dio, chiamando proprio Dio a garante delle loro bestemmie. Essi affermano che Dio vuole la "felicità" e la "realizzazione" della persona, dove intendono semmai la licenza di peccare impunemente, e contraddicono consapevolmente sia la lettera che lo spirito del Vangelo, nonché duemila anni di dottrina dei Padri della Chiesa, dei Dottori, dei Santi, e dello stesso Magistero ecclesiastico. Nemmeno i papi più corrotti del Rinascimento, nemmeno un Alessandro VI Borgia, i cui vizi sono quasi innominabili, ebbero l’ardimento di chiamare Gesù a testimone del loro buon diritto di peccare: era rimasto loro quel briciolo di decenza per cui peccavano, sì, ma non osavano coinvolgere e impegnare la dottrina nelle loro dissolutezze. Ma che dire di un James Martin, gesuita americano molto noto nel suo Paese, il quale galvanizza le organizzazioni LGBT con i suoi libri e i suoi articoli, il cui motivo ricorrente è la perfetta liceità della pratica omosessuale, del cosiddetto matrimonio omosessuale, del sacerdozio omosessuale e perfino, a sentir lui, della santità omosessuale (nel senso che parecchi Santi, a suo dire, erano gay), e che nessuno dei suoi superiori, a cominciare dal generale, quel Sosa Abascal che ha negato l’esistenza del diavolo e che ha messo fortemente in dubbio l’attendibilità dei quattro Vangeli, sia mai intervenuto per domandargli conto delle sue incredibili affermazioni; senza che nessuno gli abbia mai chiesto: Ma padre Martin, che cosa DIAVOLO sta dicendo?
Ecco quel che non possiamo perdonare, e proprio in quanto cattolici. Possiamo perdonare le offese, gli insulti, le calunnie, le aggressioni e perfino le persecuzioni; ma non possiamo perdonare coloro i quali deliberatamente, scientemente, perversamente, alterano la dottrina con l’obiettivo specifico di capovolgerla, di sovvertire il Vangelo, di trasformarlo in una giustificazione per fare tutto ciò che piace al mondo, per il relativismo etico, per l’uso e l’abuso della libertà che Dio ha dato agli uomini, non perché si abbandonino alle loro passioni disordinate, degradandosi al livello delle bestie, ma perché vivano la vita buona, cercando Lui e adorando Lui soltanto, e amando il prossimo nel suo Nome. La loro opera non è solamente perversa: è diabolica. È la bestemmia contro lo Spirito: l’equivalente di quel che facevano farisei e scribi, quando accusavano Gesù di scacciare i demoni per mezzo del demonio, cioè di essere un indemoniato, i cui poteri venivano dal maligno. In effetti, costoro stanno cercando di trasformare la parola di Dio nel suo esatto opposto, nel nuovo vangelo di satana. Abbiamo citato il caso di James Martin e delle sue idee a proposito della pratica omosessuale, che fanno rima con la cultura laicista della peggior specie (si ricordi che, quando vennero approvate le "nozze gay" negli Stati Uniti, Barack Obama, che più di ogni altro le aveva volute, parlò di una vittoria dell’amore: a tal punto può arrivare lo stravolgimento del senso etico). Potremmo fare decine di altri esempi: ormai la neochiesa ha perso ogni ritegno e si è lanciata in una specie di anti-crociata, il cui obiettivo dichiarato è il sovvertimento del Bene e del Male: non per nulla padre Martin — ancora lui! — afferma che il "vero" peccato non è affatto l’omosessualità, bensì l’omofobia: cioè la repulsione verso il vizio contro natura. E questa sarebbe ancora la dottrina cattolica? Questi sono i gesuiti, questi sono i sacerdoti di oggi? Sono costoro i pastori del gregge, le guide che segnano la direzione da tenere nella notte della modernità? È alle loro parole, ai loro gesti, al loro esempio che dovremmo affidarci, e affidare il bene delle nostre anime, lasciandoci condurre là dove essi stanno andando? Ma dove stanno andando, esattamente? Forse, non lo sanno nemmeno loro, almeno fra le truppe del clero modernista. Ma i generali, i pezzi grossi, i cardinali, loro sì che lo sanno, o credono di saperlo: verso una religione post-cristiana e sostanzialmente anticristiana; verso un nuovo paganesimo, nel quale la Parola di Cristo sia distrutta dall’interno, proprio nella pretesa d’interpretarla nel suo "autentico" significato, che, a quanto pare, era sfuggito alla Chiesa per circa duemila anni. La verità è che il paganesimo non è mai morto: ha accettato la sfida e lentamente, lentissimamente, ha abbracciato, triturato e digerito il cattolicesimo dei tiepidi…
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