Ora, almeno, sappiamo qual è la nostra religione
26 Ottobre 2017
Ma questa non è più la nostra religione
27 Ottobre 2017
Ora, almeno, sappiamo qual è la nostra religione
26 Ottobre 2017
Ma questa non è più la nostra religione
27 Ottobre 2017
Mostra tutto

O si sta con Bergoglio, o si è con Gesù Cristo

Nella meditazione mattutina dalla Casa Santa Marta, venerdì 19 maggio 2017, il papa Francesco ha detto, fra le altre cose:

Ma sempre c’è stata quella gente che senza alcun incarico va a turbare la comunità cristiana con discorsi che sconvolgono le anime: "Eh, no, questo che ha detto quello è eretico, quello non si può dire, quello no, la dottrina della Chiesa è questa"». […] Sono fanatici di cose che non sono chiare, come questi fanatici che andavano lì seminando zizzania per dividere la comunità cristiana. […] questo è il problema: quando la dottrina della Chiesa, quella che viene dal Vangelo, quella che ispira lo Spirito Santo — perché Gesù ha detto: "Lui ci insegnerà e vi farà ricordare quello che io ho insegnato" — diventa ideologia. [Ecco] il grande errore di questa gente: questi che andavano lì non erano credenti, erano ideologizzati, avevano un’ideologia che chiudeva il cuore all’opera dello Spirito Santo». Invece «gli apostoli sicuramente hanno discusso forte, ma non erano ideologizzati: avevano il cuore aperto a quello che lo Spirito diceva. […] Non dobbiamo spaventarci, quando sentiamo queste opinioni degli ideologi della dottrina. La Chiesa ha il suo proprio magistero, il magistero del Papa, dei vescovi, dei concili, e dobbiamo andare su quella strada che viene dalla predicazione di Gesù e dall’insegnamento e l’assistenza dello Spirito Santo: è sempre aperta, sempre libera. […] questa è la libertà dello Spirito, ma nella dottrina. [Invece coloro ] che sono andati lì, ad Antiochia, a fare chiasso e a dividere la comunità, sono ideologi. [Perché] la dottrina unisce, i concili uniscono sempre, la comunità cristiana. [Tuttavia] per loro è più importante l’ideologia che la dottrina: lasciano da parte lo Spirito Santo. Oggi mi viene di chiedere la grazia dell’obbedienza matura al magistero della Chiesa, quell’obbedienza a quello che la Chiesa ci ha insegnato sempre e ci continua a insegnare. [E così facendo] sviluppa il Vangelo, lo spiega ogni volta meglio, in fedeltà a Pietro, ai vescovi e, in definitiva, allo Spirito Santo che guida e sorregge questo processo. [Bisogna] anche a pregare per quelli che trasformano la dottrina in ideologia, perché il Signore gli dia la grazia della conversione all’unità della Chiesa, allo Spirito Santo e alla vera dottrina.

Ci sarebbero molte, moltissime cose da dire su questo discorso, e forse lo faremo, ma un’altra volta, in modo più completo. In pratica, qui il papa sostiene che la dottrina è sempre stessa, e che, però, il papa ed i concili la comprendono e la spiegano sempre meglio, il che è come dire che non è la stessa, perché un paesaggio rischiarato dalla luce non appare affatto lo stesso di quando era immerso nella penombra. Del resto anche lo stile sconnesso, sgrammaticato, zoppicante, riflette una obiettiva difficoltà: quella di arrivare a dire il contrario di ciò che si pone in premessa, ossia la perennità e l’immutabilità della dottrina. Il nostro professore di italiano, tanti anni fa, diceva che lo scrivere confuso è sempre la spia di un pensare confuso; e che, quando i pensieri sono chiari, è chiara anche la loro espressione. Tuttavia, in questa sede, non intendiamo approfondire tutte le contraddizioni, le tortuosità, le volute ambiguità di questo discorso, e nemmeno la stranissima alchimia per mezzo della quale Bergoglio arriva a dividere una dottrina buona, quella che unisce, da quella che divide, la quale è cattiva: ci basta, per adesso, fermare la nostra attenzione su quest’ultimo punto. Per lui, chi semina divisone è un malvagio, un fanatico, un nemico occulto della Chiesa, perché non tiene conto che il papa e i concili aggiornano la comprensione del Vangelo, mediante l’azione dello Spirito Santo. Evidentemente, per lui, lo Spirito Santo è progressista, dato che concede ai papi e ai concili di capire il Vangelo sempre di più, mano a mano che scorrono i secoli, rispetto ai primi papi e ai primi concili, i quali, al confronto, si vede che capivano ben poco. Significativa, ma casuale coincidenza: l’ultimo pontefice, cioè lui stesso, Francesco, e l’ultimo concilio, cioè il Vaticano II, del quale egli parla sempre e che dice di voler "semplicemente" applicare, ma in modo definitivo ed integrale, sono, per queste cose, quelli che hanno maggiore autorità in materia: quelli che hanno la maggiore comprensione della Rivelazione, dato che sono i più recenti. A parte questo capolavoro di modestia, resta il nocciolo della sua affermazione: se la dottrina cattolica crea divisioni, allora è "ideologia", e dunque una cosa cattiva; mentre quella che unisce è sempre buona, è la dottrina "vera". Ora, facciamo l’esempio di un precedente storico: quello dell’arianesimo. Nel IV secolo, c’è stato un momento in cui l’eresia ariana dilagava; i vescovi, il clero erano stati in gran parte conquistati da essa, e i pochi, strenui difensori dell’ortodossia, cioè della vera dottrina, come sant’Atanasio, erano isolati, calunniati, perseguitati. Ebbene: stando ai parametri stabiliti da Francesco, Ario era nel giusto e nel vero, perché la sua dottrina univa; Atanasio era nel torto e nell’errore, era un sobillatore di disordini e un fanatico, perché il suo irrigidirsi nella difesa della dottrina era una forma di "ideologia", cioè una cosa altamente nociva. Buono a sapersi: non fa una grinza sul piano logico, una volta che si siano poste quelle tali premesse. Il guaio è che le premesse sono totalmente, irrimediabilmente sbagliate; peggio: sono assolutamente anticristiane. La vera dottrina cattolica non crea divisioni all’interno della Chiesa? Ma quando mai? Ma se perfino Gesù Cristo ha detto, chiaro e tondo, di essere venuto, Lui stesso, a portare non la pace, bensì la spada?

Rileggiamoci quel passo del Vangelo di Matteo (10, 34-39) nel quale, con parole durissime, quasi sferzanti, Gesù respinge da se stesso l’immagine di un Maestro "buono", nel senso di "dolce" e sempre pacifico, precisando che la sua dottrina e la sua stessa Persona sono, di per sé, come si direbbe oggi (come direbbero Bergoglio e la neochiesa) sommamente divisive:

Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma una spada. So o venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.

E allora, come la mettiamo? Dobbiamo concludere, stando al ragionamento di Bergoglio, che Gesù era un fanatico; che usava il Vangelo per creare divisioni e, quindi, per introdurre fra gli uomini una nuova ideologia, un nuovo giogo che soffoca l’azione dello Spirito Santo? Gesù dichiara di essere venuto sulla terra a portare il massimo della divisione possibile: e annuncia che, a causa sua, le famiglie stesse si spaccheranno, genitori contro figli e figli contro genitori. Ed è logico e naturale che sia così: perché la Redenzione portata da Cristo manda su tutte le furie il suo nemico, il diavolo; e questi suscita l’odio contro i seguaci di Cristo, per cercar di arginare e soffocare la nuova dottrina. Strano che Bergoglio non abbia minimamente considerato la cosa da questo punto di vista: Gesù divide, necessariamente e inevitabilmente, perché il Bene suscita sempre la reazione del Male; i buoni suscitano il furore dei malvagi; la vita nell’amore e nel timore di Dio suscita, per reazione, una recrudescenza del peccato. Dunque, la divisione portata da Cristo non è stata anche voluta da Cristo: Cristo, in effetti, viene a portare la pace (cfr. il Vangelo di Giovanni, 14, 27: vi lascio la pace, vi do la mia pace), ma coloro che non lo accolgono, che lo rifiutano, che lo odiano e che vorrebbero vanificare la sua Redenzione, scatenano malumori, odio e persecuzione contro di Lui e contro i suoi seguaci. Non solo all’esterno, ma anche all’interno della Chiesa; perché anche all’interno della Chiesa si annidano i traditori, i nemici di Cristo e del Vangelo. Giuda Iscariote, colui che vendette Gesù per trenta denari, e che portò le guardie del Tempio ad arrestarlo, di notte, nell’orto degli olivi, come fosse stato un malfattore, armati di spade e bastoni, non era forse uno dei Dodici? Benché questo pensiero sia sconvolgente, pure bisogna farsene una ragione: i nemici di Cristo sono anche dentro la sua stessa Chiesa; vi si sono introdotti come lupi feroci nell’ovile, come dei serpenti pronti a mordere con il loro dente avvelenato. E questo produce divisione, se così vogliamo esprimerci: ma c’è una bella differenza fra coloro i quali lottano per difendere integro il Deposto della fede, ossia il vero, unico e perenne Vangelo di Gesù Cristo, e coloro i quali, invece, lottano per sopraffare la Verità, per introdurre il disordine, per falsificare il messaggio del nostro divino Salvatore. Come si fa a non distinguere fra gli uni e gli altri, fra la causa dei primi e quella dei secondi? E come si fa a qualificare come "ideologia" quella che crea divisioni, intendendo, però, proprio la stretta fedeltà al Vangelo, tanto è vero che lo stesso Bergoglio parla di persone "rigide" e le accusa, implicitamente, di essere simili ai farisei, nemici dell’apertura allo Spirito Santo, dei quali ha parlato nella prima parte della sua riflessione del 19 maggio scorso, e che qui, per ragioni di brevità, abbiamo omesso? In quella parte del suo discorso, a un certo punto, Bergoglio aveva citato quei primi cristiani giudaizzanti, i quali pretendevano dai pagani che si facessero circoncidere, prima di ammetterli al Battesimo nel nome di Cristo; per poi prendersela, come abbiamo visto, con quei cattolici di sempre, i quali dicono: Eh, no, questo che ha detto quello è eretico, quello non si può dire, quello no, la dottrina della Chiesa è questa. È chiaro contro chi si scaglia il papa Francesco: contro i suoi stessi critici; e quel passaggio, questo che ha detto quello è eretico, è un chiaro riferimento a se stesso e alle critiche che cominciano a piovergli addosso, per la sua scarsa o nulla fedeltà alla dottrina cattolica.

Dunque, se non altro, il papa sa che, presso certi ambienti della cattolicità, vi è chi lo considera eretico: è già qualcosa. Ma la sua risposta è questa: lui è nella vera dottrina, perché rimane aperto all’azione dello Spirito Santo; chi lo critica è nel torto, perché è chiuso ad essa. Sarà per questo che non ha degnato della benché minima risposta i quattro cardinali — Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner – che gli avevano presentato, rispettosamente e nelle dovute forme, i loro legittimi dubia all’ottavo capitolo della esortazione apostolica Amoris laetitia, chiedendo chiarimenti? E sarà sempre per questo che ha rifiutato loro anche una semplice udienza privata, che gli avevano successivamente domandato? Ora due di essi — Caffarra e Meisner — sono tornati alla casa del Padre, sempre senza aver ricevuto alcun segnale di risposta da parte del "misericordioso" e "francescano" papa gesuita; così lo scomodo quartetto è stato dimezzato. E sarà per questo che Beroglio non ha fatto una piega neppure davanti alla Correctio filialis, firmata da decine di eminenti studiosi e personalità del mondo cattolico — sessantadue, per l’esattezza, fra laici e religiosi -, chiedendo una correzione di sette punti di Amoris laetitia, sui quali grava il sospetto di eresia? Ha lasciato che i suoi fan rispondessero per lui, ribattendo punto su punto e rovesciando le insinuazioni di sospetta eresia; ma lui, niente: sempre zitto.

Eppure, Bergoglio è "buono": come potrebbe non esserlo, se ha scelto di chiamarsi come il Poverello di Assisi? E allora, ecco che chiude il suo velenoso attacco contro i suoi critici con una unzione veramente gesuitica: esorta, infatti, a pregare per quelli che trasformano la dottrina in ideologia, perché il Signore gli dia la grazia della conversione all’unità della Chiesa, allo Spirito Santo e alla vera dottrina (dice proprio così: "gli dia", e non "dia loro"; ma lasciamo correre: fosse solo la grammatica…). Fra l’altro, qui egli fissa i tre criteri in base ai quali si riconosce la falsa dottrina e la si smaschera: mancanza di amore per l’unità della Chiesa; mancanza di apertura allo Spirito Santo; mancanza di vera dottrina. Lasciamo perdere l’ultimo, che è, evidentemente, del tutto retorico e tautologico: la falsa dottrina si distingue dalla vera, per il fatto che è falsa. Vediamo gli altri due. L’unità della Chiesa? Ma se questo fosse un valore a sé stante, assoluto, allora realmente aveva torto Atanasio a scagliarsi contro l’eresia ariana; se l’unità viene prima di tutto, allora meglio l’eresia che la disunione. È questo che pensa, il papa? E poi il secondo: l’apertura allo Spirito Santo. Il criterio sarebbe giusto, se non avesse il difetto di presentare se stesso come il solo, legittimo e qualificato depositario di tale azione soprannaturale. Ma lo Spirito di Dio soffia dove vuole (cfr. Giov., 3, 8) non lo sa, questo, il papa? Se non lo sa, commette lo stesso errore di Pio XI, il quale, riferendosi al terzo mistero di Fatima, disse una volta, però parlando in privato (mentre Bergoglio getta in pubblico tutte le sue esternazioni, incurante del turbamento che provoca quotidianamente): Ma se io sono il capo della Chiesa, perché queste rivelazioni non sono state fate innanzitutto a me? Ma la premessa è errata: il papa è, sì, il capo della Chiesa (concetto che, peraltro, Bergoglio rifiuta, almeno a parole; perché, poi, quanto ai fatti, è tutta un’altra musica), ma ciò non significa che sia anche il primo beneficiario dell’azione dello Spirito. Dio infatti, si rivela a chi vuole e come vuole…

Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.