Ma i cattolici di sinistra, loro non sono divisivi?
21 Settembre 2017
Al bivio: o cristiani, o storicisti
22 Settembre 2017
Ma i cattolici di sinistra, loro non sono divisivi?
21 Settembre 2017
Al bivio: o cristiani, o storicisti
22 Settembre 2017
Mostra tutto

Il cristiano non si attende gli applausi, ma la croce

C’è un po’ troppa aria di festa intorno alla figura e al pontificato di papa Bergoglio, da parte dei suoi numerosi ammiratori e specialmente da parte dei non cattolici, o degli anticattolici, che in lui vedono, chissà perché, l’uomo giusto arrivato al momento giusto per le loro aspettative e per i loro progetti. C’è un po’ troppo trionfalismo e un po’ troppa aria di complicità; e la complicità è sempre un’intesa che si stabilisce, magari tacitamente, fra qualcuno e che è diretta contro qualcun altro. Contro chi è diretta la magnifica intesa e la manifesta complicità che regnano fra Bergoglio, con la sua neochiesa progressista e modernista, e i massoni e i radicali, gli Scalfari e le Bonino? Non sarà diretta, per caso, non diciamo contro i veri cattolici, cioè quelli che essi chiamano, con disprezzo e fastidio, "tradizionalisti", quasi fossero di una razza sub-umana scampata per avventura all’ultima glaciazione, ma, quel che conta davvero, contro il Vangelo di Gesù Cristo, il solo, l’unico autentico Vangelo, dato che non esiste un vangelo, come pure paiono credere costoro, di don Lorenzo Milani, o un altro di Enzo Bianchi, o un altro ancora di Walter Kasper, per non parlare del vangelo del cardinale Carlo Maria Martini, o di quello del medesimo Bergoglio. E non esiste un vangelo di padre Sosa Abascal (non potrebbe esistere, visto che padre Sosa sostiene l’impossibilità, per noi, di sapere esattamente quel che disse Gesù Cristo, non essendovi allora dei registratori per catturarne la viva voce), né un vangelo di padre Martin, né uno di monsignor Paglia o di monsignor Galantino. Non esiste niente di tutto questo, per fortuna, anche se ciascuno di codesti teologi e porporati, con inaudita arroganza intellettuale, ha preteso di atteggiarsi a "vero" interprete della Parola di Dio, laddove, per duemila anni, la Chiesa non aveva capito a sufficienza il Vangelo, non lo aveva meditato e approfondito a nel modo giusto, e le era sfuggita, guarda caso, la cosa più importante di tutte: l’infinta misericordia del Signore. Una misericordia così grande che non solo perdona, ma che quasi, quasi approva, anzi, approva senz’altro, la pratica dell’omosessualità, i preti sposati, le donne sacerdote, e perfino le separazioni e divorzi: tale è il chiarissimo significato del punto n. 303 della famigerata enciclica Amoris laetitia, nel quale Bergoglio arriva ad affermare che, in determinate circostanze (di complessità, di drammaticità, eccetera, eccetera), Dio non solo accetta, ma gradisce e perfino si aspetta dall’uomo il peccato, mediante la rottura del matrimonio cristiano: come se fosse un contratto qualsiasi e non un Sacramento, e, come tale, indissolubile.

Constatando e dicendo che c’è un po’ troppa aria di festa intorno a papa Francesco e ai suoi seguaci, non intendiamo dire che l’essere cattolici implichi, di per sé, atmosfere tetre e facce da funerale, anche se lo stesso Bergoglio sembra pensare questo dei cattolici che non è riuscito a conquistare, o a convincere, con le sue iniziative e il suo stile "pastorale", tanto è vero che uno degli epiteti irridenti e denigratori da lui adoperati, nel suo ricchissimo vocabolario di offese, contro costoro, è quello di signore e signora piagnisteo. No: intendiamo dire un’altra cosa, molto più semplice e perfettamente conforme alla lettera e allo spirito del Vangelo, beninteso quello con la maiuscola, il solo Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo: che il cristiano, proprio in quanto cristiano, cioè in quanto seguace di Gesù, è odiato dal mondo, così come il mondo ha odiato, e odiato fino alla morte sulla croce, Gesù stesso. Il quale ha detto esplicitamente ai suoi discepoli: Non c’è servo che sia superiore al suo padrone. Se hanno ascoltato me, ascolteranno anche voi; se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Vi scacceranno dalle sinagoghe. Anzi, verrà il giorno in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere il culto a Dio. E faranno queste cose perché non hanno conosciuto né il Padre, né me. Sono parole estremamente chiare; ed è strano che tutti questi teologi modernisti e questi preti progressisti, che hanno sempre le Scritture in bocca, come i protestanti (e mai la sacra Tradizione, come dovrebbe essere per i cattolici) non le citino mai, non le considerino affatto. Si direbbe, a vedere con quanta soddisfazione ricevono l’omaggio e l’applauso del mondo, che non solo le abbiano scordate, ma la pensino in tutt’altro modo.

Ci piace riportare qui una pagina di meditazione di don Ignazio Schinella, già docente preso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale, tratta dal suo libro Imparare il Cristo (Napoli, Edizioni Dehoniane, 1982, pp. 204-208):

L’IMPEGNO PER LA PREDICAZIONE, PER IL MINISTERO PORTA ALLA PASSIONE, ALLA MORTE. Cos’ la sofferenza del Maestro e quindi del discepolo nasce dal conflitto con la storia, dal vivo inserimento della vicenda della sua predicazione nella vita degli uomini del suo tempo. […]

La somiglianza e la conformità del ministero apostolico a quello del Maestro sono molto esigenti, radicali. Ogni ministero ha la "sua"croce ben diversa da quella degli altri, e ognuno deve portare la sua: "Chi non prende la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo" (Lc., 14, 27).

Il ministero, inserito nel quadro dell’obbedienza al Padre, porta a condurre una battaglia su molti fronti. […]

Se il nostro ministero camminerà rifacendo il sentiero del Signore non potrà non incontrare la croce: la passione, i giudizi, i mormorii della folla.

IL DISCEPOLO DEVE TEMERE QUANDO IL SUO MINISTERO NON INCONTRA RUMORE, DIFFICOLTÀ, quando la croce dell’incomprensione, della distorsione, della cattiveria degli altri non rende discutibile e sofferente la sua predicazione: "Beati sarete quando gli uomini vi odieranno, quando vi bandiranno e vi insulteranno e il vostro nome sarà proscritto come infame a causa del Figlio dell’uomo! Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché ecco, la vostra ricompensa sarà più grande in cielo; così infatti, i loro padri trattavano i profeti. ‘Ma guai a voi, o ricchi, perché avete ricevuto la vostra consolazione! Guai a voi che ora siete sazi perché patirete la fame! Guai a voi che ora ridete, perché sarete nel dolore e nel pianto! Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché in tal modo agivano i vostri padri verso i falsi profeti (Lc., 6, 22-26).

Scriveva s. Ignazio di Antiochia andando verso il martirio: "Fuoco e croce, branchi di bestie feroci, lacerazioni squartamenti, slogature delle ossa, taglio delle membra, stritolamento di tutto il corpo, i più crudeli tormenti del diavolo ben vengano tutti su di me, purché io possa raggiungere Gesù Cristo".

Il segno distintivo della predicazione evangelica è la croce, la passione, l’opposizione. Ma chi di noi oggi non è affascinato da questo tipo di croce che nasce a contatto con la storia, conseguenza di una predicazione autentica? È la croce che scaturisce dalla lotta contro l’ingiustizia, dall’impegno a favore dei diritti dei piccoli, è quella che noi stessi provochiamo con la stoltezza della predicazione. La croce è già presente nel fastidio che l’apostolo reca agli altri nel suo ministero.

Sono considerazioni in gran parte condivisibili (a parte lo scivolone finale sulla lotta per i "diritti dei piccoli" quale segno distintivo del ministero cristiano: Gesù non si batteva per i "diritti" dei piccoli, ma, semplicemente, perché ogni uomo venisse riconosciuto come tale, cioè come figlio di Dio, davanti al Padre celeste e davanti ai suoi fratelli). In particolare, ci sembra che ogni cristiano degno di questo nome dovrebbe scolpirsi nella mente queste parole: il discepolo deve temere quando il suo ministero non incontra rumore, difficoltà, quando la croce dell’incomprensione, della distorsione, della cattiveria degli altri non rende discutibile e sofferente la sua predicazione. Del resto, dovrebbe essere istintivo: come è possibile aspettarsi solo lodi e complimenti, inviti a cena e alla televisione, folle entusiaste e omaggi di statisti, quando Gesù, il Signore, il nostro divino ed unico Maestro, è stato calunniato, tradito, abbandonato, processato, flagellato, sputacchiato, insultato e crocifisso, come l’ultimo dei malfattori, e perfino sulla croce ha continuato a subire i lazzi e gli scherni dei suoi implacabili nemici? È una bella pretesa, quella di tanti cardinali e vescovi dei nostri giorni, di tanti giornalisti e insegnanti cattolici, quella di ricevere solo l’applauso del mondo, come se la croce fosse il simbolo della loro fede solo per un caso, e non li riguardasse affatto, quanto alla loro vita e al loro apostolato? Che si provino a parlare e agire veramente da cristiani, e vedranno come i sorrisi si muteranno in smorfie, gli applausi in contumelie, le lodi in insulti e maldicenze!

Il fatto è che costoro non ne hanno la benché minima intenzione; la croce non fa per loro: hanno deciso di godersi i vantaggi, la carriera, la poltrona; preferiscono fare i cristiani della domenica, i vescovi all’acqua di rose, i cardinali che sorridono a tutti e non sollevano mai obiezioni. Proibito parlare di tutto ciò che spiace al mondo: proibito parlare del peccato, del divorzio, dell’aborto, delle unioni omosessuali; proibito, a meno che se ne parli nella maniera che piace al mondo. Per lo stesso motivo, proibito parlare del Vangelo di Gesù come la via alla Verità, la sola: ciò potrebbe offendere i non cristiani, e la neochiesa non ha alcuna voglia di dispiacere alle altre religioni. Proibito, infine, parlare di dottrina, di dogmi, di comandamenti, di legge morale: ciò darebbe fastidio al mondo profano, e dunque, per vivere in buon accordo con esso, sono gli stessi preti modernisti e i loro degni vescovi che s’incaricano di attaccare chi osasse fare simili discorsi, di screditarlo, definendolo un fanatico, un integralista, una persona rigida, che alza muri e non vuole dialogare con il mondo. Già: il dialogo, il grande mito aperto dal Concilio Vaticano II, e degenerato sempre più in indifferentismo e relativismo. Ma quando mai Gesù è venuto per dialogare con il mondo? Niente affatto: è venuto per convertirlo; e al mondo che non si vuole convertire, che non vuole ascoltare la sua voce, Gesù ha volto le spalle: Io non prego per il mondo, ha detto al Padre, durante la solenne preghiera eucaristica dell’Ultima cena, intendendo dire: Non prego per coloro che appartengono al mondo e che vogliono chiudersi alla tua Verità.

Ora, ci sono due tipi di cristiani e due tipi di cattolici: quelli che hanno compreso e fatto proprio il discorso di Gesù relativo ai due padroni: non potete servire Dio e mammona; e quelli che non l’hanno compreso, forse perché non lo vogliono capire, e pretendono di arrivare a un compromesso fra ciò che piace a Dio e ciò che piace al mondo. Questi ultimi sono cristiani e cattolici soltanto di nome; nondimeno, se la raccontano così bene da sentirsi i soli, autentici cristiani e da permettersi di guardare dall’alto in basso gli altri, come gente da poco, che non ha capito il Vangelo e che si arrocca in una concezione elitaria del messaggio di Gesù. E la maschera che indossano è di una certa efficacia, indubbiamente: ciò che essi dicono di voler fare, sino ad auto-convincersene, non è di servire ipocritamente due padroni, ma di attualizzare il Vangelo, di renderlo accessibile alla mente e al cuore degli uomini d’oggi, di portarlo là dove esso non arriverebbe, se non andassero incontro ai "lontani". Detta così, sembra una cosa molto buona e molto bene intenzionata. Ma che cosa è accaduto, in effetti? Esattamente il contrario di ciò che essi dicevano di voler fare. Prendiamo il caso dei preti operai, nati in Francia negli anni ’50 del Novecento, poi diffusi anche da noi, in Italia, e in altri Paesi: avrebbero dovuto portare il Vangelo nelle fabbriche, per raggiungere quei milioni di operai che se n’erano allontanati, forse per sempre. Quel che è accaduto, però, è stato che invece di portare il Vangelo agli operai, essi hanno portato il marxismo nella Chiesa. Lavorando in fabbrica, a contatto con gli operai conquistato dall’ideologia comunista, un poco alla volta hanno finito per vedere il mondo da una prospettiva marxista: hanno diviso la società in buoni e cattivi, sfruttati e sfruttatori, borghesi e proletari, secondo gli schemi consueti, brutali e semplicistici della dottrina marxista. Così i preti operai, o molti di essi, sono diventati marxisti senza rendersene conto, senza saperlo, perfino credendo sinceramente di non esserlo, ma orgogliosi di aver parlato di Gesù dentro le fabbriche. Eppure l’importante non è che si parli di Gesù, ma bisogna vedere come se ne parla. Se Gesù viene ridotto alle dimensioni di un capo rivoluzionario, di un "Che"Guevara di duemila anni fa, e se il Vangelo si riduce a un preambolo del Capitale di Karl Marx, allora è persino preferibile che non se ne parli affatto, o che si riduca tutto il cristianesimo a una poetica leggenda. E se di Gesù parlano personaggi come Paglia, Galantino, Sosa, è impossibile che il credente ne ritragga un modello veritiero e autorevole. Costoro, infatti, sono troppo impegnati a godersi la loro celebrità, a fare la ruota come pavoni davanti ai complimenti del mondo, per essere testimoni credibili del Vangelo. Il testimone del Vangelo è credibile se pensa alla croce, se sa di andare incontro al martirio per la sua fedeltà al Maestro. E nei visi compiaciuti, ben curati e truccati di quei signori, pronti a esibirsi davanti alle telecamere degli studi televisivi; nei larghi sorrisi melliflui che sfoggiano presso i giornalisti, sempre pronti a profondesi nelle lodi del nuovo papa, ma del tutto privi di spiritualità e di raccoglimento, ciò che traspare non è l’apertura all’azione dello Spirito Santo, ma un immenso compiacimento per essere stati apprezzati e complimentati dal mondo…

Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.