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Siamo giunti al bivio: e adesso?

Il padre domenicano Giovanni Cavalcoli, in un articolo pubblicato sulla rivista telematica L’isola di Partmos più di un anno fa, intitolato Il papato crocifisso (il 9 giugno 2016), constatando il caos liturgico, pastorale e dottrinale imperante nella Chiesa odierna, poneva la seguente alternativa: o riprendere centinaia e centinaia di membri del clero che stanno diffondendo codesto caos (ma chi dovrebbe farlo? la Congregazione per la Dottrina della Fede? questa Congregazione?), oppure lasciar le cose come stanno, in attesa che ci pensi lo Spirito Santo:

… Come a San Giovanni XXIII, nel suo famoso discorso di apertura del Concilio Vaticano II, dell’11 ottobre 1962, a questo Papa non piacciono le "suggestioni di certe persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni esse non vedono che prevaricazione e rovina". Anche a papa Francesco "sembra di dover dissentire da codesti profeti di sventura", che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo". Ovviamente, Papa Francesco sa che dovrà giungere la fine del mondo, ma non ritiene che questo sia il momento. Piuttosto si tratta di portare a compimento l’opera riformatrice del Concilio.

Senonché Papa Giovanni, che, come è noto, si attendeva una "nuova Pentecoste", non previde il fraintendimento di quelle sue parole. Infatti avvenne, sin dagli anni dell’immediato post-concilio, che il confronto con la modernità promosso dal Papa e dal Concilio, non fu inteso nel senso giusto, ossia come assunzione critica dei valori della modernità alla luce del Vangelo, ma come assolutizzazione idolatrica e acritica della modernità e scelta, nel Vangelo, interpretato alla maniera protestante, soltanto di ciò che compatibile con la modernità così intesa.

Nel frattempo, e con perversa coerenza logica, sempre per un fraintendimento delle parole del Papa, si rinunciò a contrastare e a ribadire gli errori della modernità, i quali invece, con inqualificabile dabbenaggine o raffinata astuzia, furono portati alle stelle come profezie dei tempi nuovi, come se la Chiesa del pre-Concilio si fosse sbagliata a condannarli Non ci voleva altro per una rinascita in grande stile del modernismo, cosa denunciata già nel 1966, purtroppo invano, da Jacques Maritain, il quale parlò del modernismo attuale come "polmonite" a confronto del modernismo-raffreddore dei tempi di san Pio X. Ormai il modernismo è talmente penetrato nel campo della teologia e nella pubblicistica cattoliche, nelle diocesi, negli istituti religiosi, negli istituti accademici della Chiesa, nella gerarchia, nella Santa Sede e tra i collaboratori del Sommo Pontefice, che la Congregazione per la Dottrina della Fede è adesso davanti ad un’alternativa drammatica, mai verificatasi prima in tutta la stria della Chiesa. Ha perso il controllo della situazione, come se dieci vigili urbani dovessero regolare il traffico di Roma. Per qualche teologo di puta, la Congregazione per la Dottrina della Fede è un focolaio di reazionari, che converrebbe chiudere e sostituire con l’ecumenismo diretto dal Cardinale Walter Kasper, richiamato in servizio. Per non essere intervenuti a tempo, circa 50 anni fa, a causa di un imprudente temporeggiare, minimizzare e tergiversare, per un’eccessiva indulgenza mancanza di vigilanza, di perspicacia e di coraggio, i vescovi hanno consentito al modernismo di invadere la Chiesa come una specie di metastasi. […]

Adesso non ci sarebbero che due alternative: o procedere a norma di diritto canonico, ma allora bisognerebbe processare e censurare decine per non dire centinaia di persone tra prelati, docenti, teologi, religiosi e sacerdoti nel mondo; oppure rinunciare a intervenire confidando nella Divina Provvidenza. Lasciamo che il grano e il loglio crescano assieme in attesa del Giorno del Giudizio, o di tempi migliori. "Il perverso continui pure ad essere perverso, l’impuro continui ad essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora" (Ap. 22, 11).

La conclusione era di non lasciar solo il Papa, il quale è bene intenzionato, ma ha il difetto di agire in modo imprudente, di circondarsi di collaboratori discutibili, di venire male interpretato, eccetera: insomma, molte parole per dire che il papa non si tocca, e, anche se lo si può, per taluni aspetti, criticare, la sua piena legittimità è fuori discussione. Non sappiamo se, a distanza di oltre un anno, con il decorso sempre più rapido che ha preso la metastasi modernista, e con un Luis Francisco Ladaria Ferrer (altro gesuita, altro spagnolo) quale nuovo Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, amico della linea gay dilagante in Vaticano, padre Cavalcoli abbia, magari in cuor suo, cambiato opinione. Comprendiamo benissimo il disagio e l’autentica sofferenza di un religioso, di un sacerdote, il quale assiste allo scempio e alla auto-distruzione della Chiesa in atto in questi giorni; comprendiamo e rispettiamo anche i suoi scrupoli di coscienza, ai quali, del resto, non può essere immune neppure un laico, se amante di Gesù Cristo e della sua Chiesa: in particolare, lo scrupolo di dare scandalo, sia pure con le migliori intenzioni, rispetto all’unità della Chiesa stessa, contribuendo a gettare ancor più nel disagio e nella sofferenza tutti quei cattolici che vedono ciò che sta accadendo, ma esitano a trarne delle conclusioni radicali e, quindi, sono angustiati anche per il timore di un possibile scisma. Una prova di questa situazione intricata, sia sul piano teologico e pastorale, che sul piano umano, è data proprio dalla vicenda de L’isola di Patmos, dalla cui redazione, nel 2015, è uscito padre Antonio Livi, un teologo di grande spessore, per disaccordi sulla linea editoriale insorti sia nei confronti di padre Cavalcoli, sia, e forse più, di don Ariel Levi di Gualdo. In particolare, sembra di capire che padre Livi rimproveri ai suoi amici una eccessiva tendenza a schematizzare, a semplificare il discorso teologico, in tempi in cui, secondo lui, è più che mai necessario precisare e distinguere, per non fare di tutta l’erba un fascio e per non confondere ulteriormente i fedeli; e, inoltre, il fatto di porre quasi sullo stesso piano la critica ai modernisti e quella ai lefebvriani; ricordando, secondo noi assai opportunamente, che, mentre il modernismo è una eresia, anzi, una sintesi di tutte le eresie, come lo definì san Pio X, condannato da un solenne ed apposito documento del Magistero, l’enciclica Pascendi Dominci gregis, ben diverso è il discorso per monsignor Lefebvre, che è stato scomunicato, sì, per aver nominato dei vescovi senza autorizzazione, ma non è mai incorso in alcuna eresia, né ha mai subito censure o condanne sul piano dottrinale.

Questo travaglio, questa intima lacerazione, questa difficoltà di scegliere e mantenere una linea coerente in un momento così drammatico a carico d’incognite, da parte di quei membri del clero i quali vedono la deriva modernista e il caos complessivo in cui è piombata la Chiesa, ma temono di peggiorare la situazione prendendo posizione apertamente contro il papa e la sua azione magisteriale, noi li comprendiamo e li rispettiamo profondamente. D’altra parte, per dove sono arrivate ormai le cose e per i danni e i pericolosi gravissimi che incombono sulle anime, ci sembra che il tempo della prudenza sia passato e che sia giunto il tempo delle scelte: tanto più che lo scisma, di fatto, esiste già all’interno della Chiesa, e la responsabilità di esso ricade interamente sul clero modernista e, in modo particolare, su papa Francesco, il quale, fin dal primo momento, non ha fatto altro che accentuare la spaccatura, imprimere un’accelerazione vorticosa alle "riforme" di segno post-conciliare, spazzar via con disdegno tutto ciò che, ai suoi occhi, sa di "vecchio" e "superato", a cominciare dai Francescani dell’Immacolata, sottoposti a un trattamento indegno, commissariati, umiliati, praticamente sequestrati, senza che nessuno abbia mai domandato al papa di rendere conto delle ragioni della sua azione, il che già di per sé dimostra in modo fin troppo eloquente quanto buio, conformista e servile sia il clima che si è instaurato nella Curia romana, ma anche in tutte le altre realtà della Chiesa cattolica, da quel 13 marzo 2013 in cui venne eletto questo papa, in seguito alle repentine e sconcertanti "dimissioni" del suo predecessore, Benedetto XIV. Partire, come fa padre Cavalcoli, dalla bona fides di Bergoglio e lanciare l’appello: Non lasciamolo solo, se non è un mero espediente tattico, è, puramente e semplicemente, una enorme ingenuità; così come ci sembra peccare di minimalismo e d’ingenuità tutta l’analisi storica che egli delinea della rinascita del modernismo in seno alla Chiesa, dal Concilio Vaticano II in poi. Si direbbe che, secondo lui, il Concilio, almeno nelle intenzioni di papa Giovanni XXIII (ma sono già due cose diverse: chi è stato la vera mente del Concilio, il papa o alcuni padri conciliari, come Karl Rahner?), fosse ottimamente intenzionato, ma poi il suo indirizzo è stato pervertito e capovolto, non si sa bene da chi, strumentalizzando quelle ottime intenzioni, e portandolo ad un esito diametralmente opposto a quello inizialmente immaginato. Così pure, sembra che la deriva post-conciliare della Chiesa in senso modernista sia stata opera di singole personalità di teologi, cardiali, vescovi, sacerdoti, eccetera, e che i loro "errori" non siano stati fermati per tempo solo perché è mancata la perspicacia, o il coraggio, o la vigilanza. Significativo è il paragone dei dieci vigili urbani che devono dirigere il traffico di una grande città come Roma. Ma le cose non stanno così, e non stavano così neppure negli anni ’60 del secolo scorso: non era il modernismo che stava penetrando nella Chiesa, era la Chiesa che aveva abbracciato il modernismo; e non sarebbe stato possibile perseguire singolarmente gli eretici modernisti, semmai sarebbe stato più facile contare quelli che non si erano lasciati infettare. Tutto questo perché il modernismo non ha conquistato la Chiesa per una tendenza spontanea e naturale, benché vi sia stato anche questo aspetto, ossia il diffondersi di una mentalità secolarizzata fra i credenti e i membri del clero, alla luce della quale non aveva e non ha senso che la Chiesa si "opponga" alla civiltà moderna, né che prescriva ai suoi seguaci una morale troppo austera; ma il punto centrale è che il modernismo ha conquistato la Chiesa grazie ad una congiura mondiale di vastissima proporzioni, diretta da una sapiente regia, avvalendosi di un piano strategico minuzioso, capillare, metodico, scientificamente predisposto. Una congiura mondiale che parte da molto lontano, almeno da quel 1717 in cui la Massoneria si è insediata ufficialmente nel cuore di Londra e ha incominciato il suo tenebroso cammino di conquista delle società occidentali; e che realizza un decisivo salto di qualità fra XIX e XX secolo, laddove il modernismo riconosciuto e condannato da Pio X è stato solo un aspetto di questa congiura, in realtà molto più ampia, molto più ramificata, molto più "intelligente", appunto perché condotta secondo uno schema pianificato in maniera scientifica e sostenuto dai settori che contano, a livello mondiale, della stampa, dell’editoria, del mondo accademico, della politica, dell’economia, della finanza. Il Vaticano II non è stato altro che il momento in cui le fila di questa congiura sono state riunite in un solo fascio, e il modernismo ha gettato la maschera, sostenuto dalla massoneria e da quelle forze politiche che miravano alla distruzione della Chiesa: il comunismo sovietico da una parte, le democrazie massoniche dall’altra. Guarda caso, è stato allora – cioè in piena persecuzione dei cattolici polacchi, ungheresi, russi, ecc. – che la Chiesa ha varato, cinicamente, la sua Ostpolitik; ed è da allora che la Chiesa italiana, francese, tedesca, olandese, ha incominciato a guardare con aperta simpatia alle ideologie di sinistra, ad apprezzare i loro sforzi per la giustizia sociale, a lodarle per la loro volontà di migliorare le condizioni di vita di milioni di persone (?), fino a produrre, essa stessa, delle correnti ispirate al marxismo, come la teologia della liberazione.

Alcuni pensano che la strategia della Chiesa, dal Concilio in poi, e specialmente adesso, sia quella di "abbracciare il mondo" non per amore della modernità, ma per non perdere il dialogo con essa. È la stessa cosa. Se si abbraccia un serpente velenoso per non perdere il contatto con esso, ci si espone al suo morso e lo si fa certamente con piena cognizione di causa. Però, ribattono quei tali, oggi le chiese sono di nuovo frequentate, e perfino i confessionali; la gente guarda di nuovo al papa con fiducia e speranza. Sarà. Ma le piazze piene non sono la stessa cosa delle chiese piene; e se pure le chiese fossero piene, cosa che non è, bisognerebbe vede qual è la fede che quei "cattolici" professano. Come ha osservato Ariel Levi di Gualdo, molti di essi pensano, e qualcuno anche dice: "Francesco sì, Chiesa no; Francesco sì, Dio no!"; poi si presentano in confessionale non per confessare i peccati e chiedere l’assoluzione, ma per inveire contro la Chiesa ottusa e retriva e per pretendere di essere già a posto con la loro coscienza, concludendo: Ah, se i preti fossero tutti come papa Francesco! Se sono questi i successi vantati dai fautori di Bergoglio, ci pare che non serva alcun commento. Resta perciò la domanda: poiché siamo giunti a un bivio, che fare? Continuare a parlare, come padre Cavalcoli, della solitudine del papa e del dovere di aiutarlo, o dire apertamente che questo papa è la rovina della Chiesa e urge un intervento dei vescovi per fermarlo e impedirgli di portare a compimento la sua opera funesta, per la quale, del resto, è stato eletto dai poteri oscuri? Dio, lo sappiamo, separerà il grano dal loglio. Intanto, però, non c’è il pericolo che il grano perisca?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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