O.N.G.: chi sono e da dove vengono?
4 Agosto 2017
«Anche tra voi ci saranno dei falsi maestri»
6 Agosto 2017
O.N.G.: chi sono e da dove vengono?
4 Agosto 2017
«Anche tra voi ci saranno dei falsi maestri»
6 Agosto 2017
Mostra tutto

Brutta e cattiva la suora che non fa l’elemosina

Imperversa più che mai il buonismo idiota, è diventato la divisa obbligatoria del politically correct e segna l’ultimo stadio, probabilmente irreversibile, dell’incretinimento dell’essere umano e della sua degradazione da persona, capace di sentimenti e di pensieri propri, a tubo digerente – per dirla con Maurizio Blondet -, capace solo di replicare e imitare i pensieri e i sentimenti altrui: quelli veicolati, diffusi e imposti dai grandi mezzi di (dis)informazione di massa.

Il buonismo, naturalmente, si sposa con il progressismo e con il modernismo: sono tre cose che vanno sempre di pari passo, specialmente nella neochiesa gnostico-massonica dei tempi di papa Bergoglio. Il buonismo, per essere dalla parte "della gente", meglio ancora "dei poveri" (quelli politicamente e sindacalmente riconosciuti, protetti e garantiti: i cosiddetti migranti e i falsi profughi, per esempio, non i pensionati italiani che devono sopravvivere con trecento euro al mese); il progressismo, per essere dalla parte della modernità, o, quanto meno, per essere sempre in dialogo con essa, sincero e costruttivo, ci mancherebbe; il modernismo, per sostituire al vangelo dell’amore il vangelo del buonismo e della modernità, vale a dire un anti-vangelo il cui scopo è la totale sovversione, lo stravolgimento e il capovolgimento del vero Vangelo di Gesù Cristo, per sostituirlo con una contro-religione puramente umana, mirante all’autocelebrazione dell’uomo, dopo aver annacquato e dissolto tutte le religioni oggi esistenti, ma specialmente il cristianesimo, che, ad un tale obiettivo, fa problema più di tutte.

Può succedere, per esempio, che un settimanale di gossip, adatto a dei lettori che sono dei tubi digerenti più che delle creature pensanti, ci sia una rubrica fissa di argomento religioso, chi lo sa il perché; e che essa sia tenuta, ogni settimana che Dio manda, da un sacerdote, anzi, da un vescovo addirittura: nel caso di cui vogliamo parlare, dal vescovo di Ascoli Piceno, monsignor Giovanni D’Ercole, elevato a tale dignità da papa Francesco il 12 aprile 2014. La rivista è Settimanale Nuovo, di Cairo Editore, direttore responsabile Riccardo Signoretti; la rubrica in questione s’intitola, forse non troppo modestamente, Gente di fede; il numero in questione, il penultimo, il numero 30 del 3 agosto 2017; il titolo in questione, Una suora può far finta di non vedere un mendicante? Ecco ima domanda di quelle toste, che fanno morire dalla voglia di conoscere la risposta giusta. Ed ecco il sottotitolo, chilometrico, che contiene appunto la risposta e che mirabilmente riassume tutta l’etica, nonché la dottrina sociale, della neochiesa dell’era bergogliana: Bisogna sempre aiutare chi è in difficoltà: lo dice Gesù nel racconto del giudizio universale. Perché, se non siamo disposti a farlo, non possiamo dire di amare Dio.

Fino a pochi ani fa, un vescovo cattolico, per ovvie ragioni di coerenza, di sensibilità e di buon gusto, non avrebbe accettato di tenere una rubrica simile – adornata da una foto personale in stile un tantino autoreferenziale di non pochi anni prima – proprio sulla stampa-spazzatura, dove l’articolo più etico e più intelligente che sia dato d’incontrare è dedicato al seno rifatto dell’attrice X o al fulgore degli addominali del cantante Y, oltre che ai loro amori, tradimenti, divorzi, pettegolezzi e immondizie d’ogni genere. Fino a pochi anni fa, l’idea che un vescovo potesse mescolare le sue parole ad articoli di tal genere, e ad una pioggia di fotografie di corpi seminudi, con tutto il sottofondo ideologo con che ciò comporta in termini di visione rozzamente edonista e consumista della vita, dove la cosa più importante da sapere è se davvero la celebre coppia sta divorziando, e se la nota soubrette Tal dei Tali si è rifatta le labbra, o le natiche, e così via, sarebbe parsa un’idea assolutamente incongrua e peregrina, presa a prestito da qualche filmaccio a luci rosse, di quelli che giravano una volta, per la consolazione dei soldati di leva in libera uscita. Oggi è realtà. E sappiamo bene con quali argomenti codesti vescovi e preti progressisti difendono delle scelte di questo tipo: andare fra la gente, portare il vangelo nelle strade, evangelizzare le periferie, in questo caso nel senso morale più che nel senso fisico del termine. Insomma, il programma classico del modernismo — che è, si badi e si tenga bene a mente, non un certo tipo di cattolicesimo, ma un’eresia, proclamata tale dal sacro Magistero fin dal tempo di san Pio X -: fare in modo che il vangelo sia reso attuale per gli uomini del nostro tempo. Tutta la faccenda dei preti di strada e dei vescovi di strada (nonché, a monte, dei preti operai) nasce da questo grande equivoco e da questa somma demagogia. Sarebbe come dire che, per portare il vangelo alle prostitute, i preti devono andare sulle strade statali, di notte; per portarlo ai drogati, si devono mescolare in mezzo agli spacciatori, nei quartieri malfamati; e per portarlo ai buddisti, cioè, pardon, per "dialogare" coi buddisti (convertirli, ci mancherebbe altro: quale indelicatezza, anche solo il pensarlo!), bisogna fare come il generale dei gesuiti, Sosa Abascal (quello, per la cronaca, che ha affermato di non sapere cosa Gesù abbia realmente detto, visto che al suo tempo non c’erano i registratori; e che, in un’altra occasione, ha detto che il diavolo non esiste, è solo un simbolo del male), entrare in un tempio buddista, inginocchiarsi in mezzo agli altri e pregare, o meditare, alla loro maniera, insomma farsi buddista pure lui.

Ma vediamo da vicino il pezzo sulla insensibilità della suora cattolica che non si ferma a fare l’elemosina al povero mendicante.

LETTORE: Ho letto su "Nuovo" la sua risposta alla lettera sui cristiani che non danno l’elemosina. È peggio, secondo me, quando a non fare la carità è una suora: l’ho visto cin i miei occhi a Bologna, di fronte al Duomo. La monaca è passata davanti a un mendicante e ha girato la testa dall’altra parte. Se questo è l’esempio che dà la Chiesa…

Bernardo, Bologna [segue la foto, immortalata dal signor Bernardo, che ritrae la scena.]

VESCOVO D’ERCOLE: Gentile signor Bernardo, vorrei risponderle con la storia dell’incontro accaduto a me con Pierluigi, un senzatetto che sostava davanti alla parrocchia. La gente che andava in chiesa se lo trovava tra i piedi. Alcuni lo scansavano, altri proprio non lo sopportavano. Mi chiedevo come si potesse conciliare la devozione con il disprezzo di un povero sventurato. Ho abbozzato per un po’ fino a quando mi è capitato di leggere a messa il racconto del giudizio universale. In questa pagina Gesù è chiaro: alla fine della vita, quando ci si presenta dinanzi a lui, ci chiederà solo se avremo dato da mangiare all’affamato, da bere all’assetato, aiutato i poveri e accolto i bisognosi. Mi sono arrabbiato molto e ho parlato di Pierluigi, spiegando che se non siamo disposti ad aiutare chi incontriamo sul nostro cammino non possiamo dire di amare Dio che nemmeno vediamo. Da quel giorno è ambiato tanto l’atteggiamento della comunità. C’era chi gli portava da mangiare, chi gli dava vestiti, chi lo invitava a casa: alla fine lo si considerava un amico. Trascorrono mesi e un giorno Pierluigi sparisce. Tempo dopo mi dicono che è morto e che tra le poche cose che aveva c’era una lettera: "In caso di bisogno, specialmente di morte, avvisare la mia famiglia". Seguiva il nome della parrocchia col mio numero di telefono. Con l’aiuto della comunità ho preparato un funerale solenne: c’era tanta gente. Niente corone, solo un mazzo di garofani rossi e un biglietto: "La famiglia che hai scelto ti ringrazia. Ci hai insegnato a vivere concretamente il Vangelo.

Siamo qui in presenza di un vero e proprio concentrato di buonismo politicamente corretto, spacciato, con molta faccia tosta, per la dottrina ufficiale obbligatoria della Chiesa, o a ciò che di essa ha preso il posto, vista la dichiarata antipatia di papa Bergoglio per la dottrina cattolica (cfr. la sia omelia nella messa di Santa Marta del 19 maggio sorso). Alcune osservazioni preliminari: dalla foto si evince chiaramente che il mendicante in questione è un professionista della mendicità, probabilmente uno zingaro che simula Dio sa quali spaventosi malanni fisici: se ne sta in ginocchio e protende il bicchiere di plastica, per ricevere le monetine, praticamente strisciando a terra, in un gesto di una teatralità sconcertante. Fare la carità a questo tipo di persone non solo è sbagliato, ma immorale: incoraggia la loro pigrizia e offende i veri bisognosi, che, di solito, non fanno i teatranti ma chiedono aiuto in maniera dignitosa. Secondo: quel bravo lettore che se ne va in giro a caccia di suore insensibili ed egoiste, armato di telefonino per immortalare la loro mancanza di carità, e si è autonominato zelante spia e poliziotto della nuova morale buonista, avrebbe meritato una risposta ben diversa, per esempio: Ma lei dove lo ha letto, sul Vangelo, che si deve strare in agguato del bene non fatto dal fratello, per denunciarlo pubblicamente e farlo mettere alla gogna? Lei non ha mai sentito dire, per esempio da un certo Gesù Cristo: IPOCRITA!, PERCHÉ STAI A GUARDARE LA PAGLIUZZA NELL’OCCHIO DI TUO FRATELLO, E NON VEDI LA TRAVE CHE HAI NEL TUO?Tu, piuttosto, invece di spiare cosa fa o non fa il tuo fratello (o la tua sorella), che cosa fai di buono, per gli altri, e non solo in senso materiale? Perché, detto per inciso, non c’è solo la povertà economica. Terzo: non ci risulta che le suore siano particolarmente ricche, né che se ne vadano a spasso con le tasche piene di soldi; e le strade delle nostre città sono invase da un tale esercito di mendicanti professionisti, che, se una suora dovesse fermarsi a fare la carità ad ognuno di loro, dovrebbe uscire dal convento con almeno mille euro, e arriverebbe a destinazione dopo quattro giorni.

Ciò premesso, vediamo quel che dice il monsignore, oltre a far stampare la foto in questione, che "inchioda" la suora brutta e cattiva alle sue responsabilità, cioè oltre a premiare la vergognosa delazione dei "buoni" nei confronti dei "cattivi" (sarebbe come se una maestra facesse appendere in classe la foto scattata a tradimento da uno dei suoi alunni, che mostra suo fratello, suo padre o suo cugino nell’atto di gettare una cartaccia sul marciapiede, e ciò allo scopo di far capire l’importanza dell’ecologia e di un comportamento civile da parte dei cittadini verso l’ambiente). In pratica, il vescovo non risponde direttamente, ma cita un fatto a lui accaduto e si dilunga in quel che dovrebbe essere un racconto edificante, che suona, guarda caso, come un’apologia di se stesso, della sua persona e della sua pastorale, della serie: Guardate che bravo sono stato: io, io solo, ho agito con umanità, e ho insegnato ai miei parrocchiani ad essere delle persone caritatevoli. Dunque, monsignor D’Ercole ci dice che fuori del suo duomo c’era un povero Lazzaro, e che i suoi parrocchiani non gli davano nemmeno una briciola di pane, peggio del ricco Epulone; finché un giorno, leggendo il Vangelo, a Messa, s’è acceso di sacra indignazione, è sbottato, li ha rimproverati come Gesù coi profanatori del tempio, dopo di che il poverino è diventato la mascotte della parrocchia, tutti se lo contendevano, tutti lo volevano, erano tutti pazzi di lui; e quando è morto gli hanno organizzato un funerale di prima classe, come se fosse morto il Presidente della Repubblica. Bravo, monsignore: e voialtri, canaglie, perché non applaudite? E se non piangete di ciò, razza di vipere, che di che cosa siete soliti piangere? Peccato che il monsignore si dimentichi di dirci la sola cosa che avrebbero avuto, per noi, un qualche significato, e cioè: in che senso quel signor Pierluigi era un senzatetto? Essere senzatetto è una condizione, non una professione. Aveva perso il lavoro? In tal caso, lei o qualcuno dei suoi bravi parrocchiani avete fatto qualcosa per trovargliene un altro, magari umile, ma decoroso, per non dover vivere di accattonaggio, che dignitoso non è? Era un invalido (ne dubitiamo, altrimenti ce l’avrebbe detto, per far più impressione)? In tal caso, qualcuno si è interessato perché non aveva una pensione d’invalidità, e perché qualche struttura pubblica non poteva offrigli assistenza? Il fatto è che lei e quelli come lei hanno bisogno che ci siano delle persone così, per far loro l’elemosina e fare in modo che tutto il mondo sappia quanto siete generosi. E visto che le piace citare le parole di Gesù, perché non cita queste (Mt 6, 1): Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini, per essere da loro ammirati?

Ma noi sappiamo bene perché lei ci ha raccontato questo apologo (autoincensamento a parte). Lei, come tutti gli altri membri della neochiesa buonista, progressista e modernista, volete convincere i fedeli, con le armi del ricatto morale (se non fate così, non siete dei veri cristiani!) a fare buon viso all’auto-invasione del nostro Paese da parte di milioni di falsi profughi africani, che condurrà alla sua (cioè, nostra e dei nostri figli) rapida islamizzazione; anzi, volete che noi vi collaboriamo con il massimo entusiasmo. Volete che facciamo tutto il possibile per consentire a queste orde umane di sommergerci, e volete che lo facciamo di buon grado, senza borbottare, ma, al contrario, sorridenti e gioiosi. E volete persuaderci che questo è il vero Vangelo. Perché nessuno vi ha visti prendervela tanto calda, finché si trattava dei poveri italiani, gente che ha perso il lavoro con la crisi finanziaria, o che il lavoro non l’ha mai trovato, pur cercandolo: il vostro buonismo è scattato quando le nostre coste sono state prese d’assalto dai barconi provenienti dall’Africa. Ah, barconi di disperarti, senza dubbio; tutti in fuga da guerra e fame, tutti assolutamente bisognosi e meritevoli di essere accolti, mantenuti, spesati, commiserati e lasciati liberi di fare tutto quel che gli pare: spaccio di droga, prostituzione, criminalità, disprezzo del nostro modo di vivere e della nostra (e vostra?) religione…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.