La sofferenza dell’innocente è scandalo per il mondo, mistero di grazia per il cristiano
16 Luglio 2017
O tornare alla santità della famiglia, o sparire
17 Luglio 2017
La sofferenza dell’innocente è scandalo per il mondo, mistero di grazia per il cristiano
16 Luglio 2017
O tornare alla santità della famiglia, o sparire
17 Luglio 2017
Mostra tutto

Una lezione più che mai attuale: come san Pio X smaschera i falsi riformatori

Con l’enciclica Editae Saepe, nel terzo centenario della canonizzazione di san Carlo Borromeo, il 26 maggio 1910, san Pio X, a tre anni di distanza dalla solenne scomunica del modernismo, mostrava di considerare tutt’altro che chiusa la battaglia contro tale eresia, o meglio, come l’aveva definita, contro tale "sintesi di tutte le eresie"; e, infatti, partiva dall’apologia del santo arcivescovo ambrosiano per riportare il discorso sulla drammatica attualità, caratterizzata da una sottile, pericolosissima penetrazione di idee eretiche nel corpo della Chiesa, non presentate apertamente come tali dai loro fautori, e, quindi, sovente non riconosciute nella loro vera natura dai fedeli e da una parte dello stesso clero.

Tre cose, in questa enciclica, colpiscono enormemente il lettore moderno e particolarmente il cattolico, specie se giovane, perché certo non avvezzo al linguaggio, e soprattutto ai concetti, che in essa trovano espressione, e alla visione del mondo e della Chiesa ad essa sottesi. Il cattolico dei nostri giorni è stato cresciuto dal clero, o dalla maggioranza di esso, a pensare a Dio sempre e solo in termini di misericordia, perdono, indulgenza, e all’uomo, soprattutto all’uomo, sempre e solo in termini di legittime aspirazioni, di diritti, di giusti obiettivi, di sacrosante battaglie per la giustizia, l’uguaglianza, eccetera. Ebbene, la visione di san Pio X è totalmente diversa. Con il piglio di un papa medievale — e usiamo l’espressione in senso elogiativo, perché il Medioevo è stato un lungo periodo di altissima civiltà spirituale — egli non si fa mettere in soggezione da alcun rispetto umano e dice chiaramente che i nemici della Chiesa sono sia fuori, sia dentro di essa; e che il cristiano non deve lasciarsi intimidire, ma deve piuttosto combatterli a viso aperto. Non solo: egli afferma che la natura umana, in se stesa, nei suoi istinti, è rivolta al male piuttosto che al bene, e che, senza l’aiuto di Dio, non riuscirà mai a dominare la propria parte peggiore: ragion per cui è necessario ritornare integralmente a Cristo ed instaurare omnia in Christo. Citando la Genesi, Pio X ricorda che i sentimenti e i pensieri dell’animo umano sono proclivi al male, per cui è necessario combattere i vizi e gli errori perché, come dice san Paolo, sia distrutto il corpo del peccato e più non serviamo al peccato (Romani, 6, 6). Questo è un altro concetto semplicemente scandaloso per i teologi, i vescovi e i preti dei nostri giorni, o, quanto meno, per moltissimi di loro — e, ultimamente, anche per il papa. Oggi, un simile discorso sarebbe semplicemente inaccettabile; e una enciclica pontificia che affermasse simili convinzioni susciterebbe una ribellione generale. Tutti, dal più potente cardinale all’ultimo insegnante di religione nelle scuole elementari, si sentirebbero non solo autorizzati, ma in dovere di gridare allo scandalo, di esigere le scuse e la ritrattazione del papa, di negare che un tale documento appartenga legittimamente al Magistero, e, molto probabilmente, eserciterebbero pressioni fortissime affinché il papa rassegnasse le sue dimissioni, essendosi dimostrato palesemente incapace di reggere in maniera adeguata la barra del timone della navicella di san Pietro. Del resto, non stiamo parlando di fantascienza, ma di cose già viste. Settori molto importanti del mondo cattolico non hanno forse fatto ostruzionismo al pontificato di Benedetto XVI, sin dal primi giorno, e non si sono dati pace se non quando egli ha realmente rassegnato le dimissioni? E Benedetto XVI esprimeva concetti molto, ma molto più tenui e morbidi di quelli affermati da san Pio X; il quale, peraltro, non parlava affatto a titolo personale, non dava voce a una sua personale concezione, ma diceva forte e chiaro ciò che tutti i papi prima di lui, ciò che da sempre il Magistero, in comunione con la Chiesa tutta, avevano ininterrottamente sostenuto: nulla di nuovo, nulla di diverso. Semmai, era il mondo profano ad essere profondamente cambiato; ed era una sua diretta emanazione, la massoneria, ad essersi introdotta al’interno della Chiesa, ad aver conquistato una parte dell’alto clero ed allora si accingeva a sferrare, appunto da dentro di essa, la più massiccia e pericolosa offensiva che questa abbia mai dovuto sostenere nel corso della sua storia due volte millenaria. In questo senso, eccezionali furono le circostanze in cui san Pio X si trovò a reggere il timone della Chiesa; non fu lui a imprimerle una svolta conservatrice — al contrario, egli fu un grande papa riformatore, dall’ambito dei seminari, al diritto canonico, alla musica sacra -, ma fu il cambiamento complessivo verificatosi negli ultimi tempi, palesemente all’esterno della Chiesa, occultamente al suo interno, a costringerlo a scende in campo con energia e decisione, qualcuno dice con durezza, per schiacciare la testa della serpe che minacciava di mordere, e infettare con il suo veleno, tutto il corpo della sposa di Cristo.

Questa è stata la sua funzione storica e questa è stata la sua grandezza di uomo e di pontefice: l’aver visto il pericolo, averlo compreso e giustamente valutato, e aver mobilitato tutte le forze sane per contrastarlo e per distruggerlo. E se non ci è riuscito, tranne che in superficie, ciò si deve al fatto che i suoi collaboratori, e, più in generale, la maggioranza del clero, i teologi, gli intellettuali laici che pure si dicevano figli obbedienti e fedeli della Chiesa, non lo compresero, non lo ascoltarono, anzi, spesso, in privato, lo criticarono, lo dissero esagerato, lo accusarono di aver ingigantito la minaccia, di aver dato corpo ai fantasmi (ed è lo stesso giudizio che danno ora quasi tutti gli storici "cattolici"): mentre egli fu il più lucido, il più lungimirante, il più saggio e il più leale pontefice che potesse dirigere la Chiesa in quei frangenti, e, insomma, decisamente il migliore fra tutti quelli allora possibili. Perciò, al presente, e giunte le cose al punto in cui sono, due sole eventualità possono darsi: o il pericolo dell’eresia modernista è, miracolosamente, cessato, e la sua ombra è scomparsa dall’orizzonte della Chiesa; oppure essa ha trionfato occultamente, ha condotto la Chiesa all’apostasia, e solo per questa ragione i cattolici di oggi non riescono neppure a intendere il linguaggio di san Pio X, né a capire perché si affannasse tanto nella sua battaglia contro i mulini a vento. Di solito, gli intellettuali cattolici dei nostri giorni, anzi, di qualche anno fa — perché, negli ultimissimi anni, la situazione si è ulteriormente aggravata, per non dire che sta precipitando — se la cavavano con una soluzione salomonica: sostenevano che, sì, Pio X aveva visto giusto e aveva avuto tutte le ragioni di combattere il modernismo, però, nello stesso tempo, dicevano che aveva esagerato, che si era servito di metodi discutibili, di sapore poliziesco e quindi poco "cristiani" (evidentemente, la severità è da costoro considerata estranea al Vangelo) e che tutta l’ultima parte del suo pontificato si era incupita, rivelando una tendenza eccessiva al pessimismo e quasi alla misantropia. Questa, ad esempio, è stata la linea adottata, nella sua biografia di san Pio X — che pure è una delle più "favorevoli" a papa Sarto, e in cui gli si fa credito, almeno, di non aver scambiato lucciole per lanterne e di non essersi inventato, o quasi, l’eresia modernista – dallo storico Gianpaolo Romanato (Rusconi, 1992): giusta la condanna del modernismo, ma sproporzionata la reazione e troppo carica di valenze negative sul piano antropologico complessivo. Ma questa, evidentemente, non è una diagnosi coerente con le proprie premesse. Infatti, se il percolo non esisteva, allora Pio X era un pazzo, e non bisognava farlo santo; se esisteva, e adesso nessuno ne parla più, allora l’unica spiegazione possibile di tale silenzio è che l’eresia modernista abbia conquistato la maggioranza del clero cattolico e dei fedeli cattolici, al punto da renderli inconsapevoli di trovarsi nell’apostasia e da indurli a guardare con un sorrisetto di superiorità, o di disprezzo, le angosce e le preoccupazioni che travagliarono quel papa, e dalle quali scaturirono documenti come Lamentabili, Pascendi e Editae Saepe.

Dicevamo che tre cose colpiscono il lettore in quest’ultima enciclica di san Pio X. La prima è la mancanza di rispetto umano, di "diplomazia", nel senso bizantino e compromissorio del termine: egli parla con franca lingua, dice: sì, sì, e no, no, proprio come ha comandato di fare Gesù Cristo; non ha riguardi per i nemici della Chiesa, è preoccupato unicamente dell’integrità della dottrina e della difesa di quest’ultima dalla minaccia dell’eresia. La seconda è l’implicito parallelismo fra il protestantesimo e il modernismo, accomunati dalla smania di novità e specialmente dal desiderio di togliere, dalla dottrina cattolica, il pungiglione che la rende sgradita agli uomini moderni: il senso del limite e del mistero, il senso della piccolezza umana, e, nello stesso tempo, il dovere dell’uomo, di questo piccolo uomo, fragile e peccatore, di lottare con tutte le sue forze per vincere le tentazioni e ritornare a Dio, collaborando alla sua opera salvifica, ma non già alle proprie condizioni, con orgoglio e con la pretesa di capire, bensì rimettendosi in tutto alla sua Grazia, e, quindi, accettando con la fede anche ciò che la ragione non riesce a comprendere. La terza è, appunto, la chiarezza con cui il papa ribadisce che la natura umana, dopo il Peccato originale, è irrimediabilmente corrotta, per cui gli uomini hanno più che mai bisogno di Dio nella loro vita, perché, senza di lui, non riescono a fare il bene, non riescono neppure a vedere quale sia il loro stesso bene: parole e concetti profetici, se si pensa che il conto alla rovescia era già cominciato e che, quando venne pubblicata la Edita Saepe, mancavano appena quattro anni allo scoppio della Prima guerra mondiale, l’atto iniziale del lungo e furiosi suicidio della civiltà europea.

Per ciò che riguarda la franchezza del parlare, basti sapere che, quando l’enciclica venne pubblicata, in Germania suscitò un putiferio, perché san Pio X, servendosi di un espressione paolina (tratta da Filippesi, 18, 19), definiva i luterani uomini materiali, il cui Dio è il ventre. Il kaiser Guglielmo II (luterano), quando la lesse, esclamò: Perbacco, questo è il colmo! È un’impertinenza del tutto inaudita!, e ne proibì la pubblicazione sulle gazzette ufficiali tedesche (episodio riferito nel libro di Josef Gelmi, I papi, Milano, Rizzoli, 1986, p. 246). L’espressione è certamente forte, tuttavia – si provi a riflettere spassionatamente – non è forse tale da cogliere perfettamente nel segno? E non solo per quanto riguarda la personale biografia di Lutero, che conferma in pieno la giustezza di quel giudizio; se si pensa al protestantesimo odierno, o a quel poco che di esso rimane (perché, nei Paesi protestanti, la verità è che la quasi totalità delle persone si è puramente e semplicemente allontanata da una religione che parla un po’ troppo secondo le categorie di questo mondo), non si nota forse che la cosa principale che lo contraddistingue, a tanti secoli dalla sua nascita, è la tendenza a scusare, a giustificare la debolezza umana e a ricavarne, di conseguenza una morale più che mai rilassata? Pecca fortemente, ma credi ancor più fortemente, diceva Lutero. Si badi: non diceva: e pentiti ancor più fortemente, bensì: credi ancor più fortemente; come se si potesse credere senza pentirsi dei propri peccati. Di qui, alla negazione e alla rimozione del peccato, il passo non è poi così lungo. Non dice nulla il fatto che, in Svezia, vi sia una donna vescovo, sposata con un’altra donna, con la quale vive felice e contenta, e che celebra le "sacre" funzioni sotto i paramenti di ministro di Dio? Non c’è alcuna contraddizione fra codesto modo di vivere e ciò che è scritto nella Bibbia, compreso il Nuovo Testamento? E non c’è nulla di strano nel fatto che i fedeli protestanti trovino cose del genere assolutamente normali e del tutto compatibili con il Vangelo di Gesù Cristo? Essi, naturalmente, se inviati a riflettervi, risponderanno che si tratta di un progresso: che il "loro" cristianesimo è più adulto e maturo di quello dei cattolici (o, per meglio dire, dei cattolici vecchio stampo, cioè di prima dell’era Bergoglio). Ma è proprio vero? E poi, il cristianesimo è soggetto a cambiamenti? La dottrina cattolica è fatta per mutare nel corso del tempo? Può essa dichiarare buono e giusto ciò che ha riprovato e condannato per secoli, unanimemente, senza ombra di dubbio o d’incertezza?

San Pio X, nell’enciclica Editae Saepe, distingue due tipi di cristiani riformatori, i veri e i falsi: come esempio dei primi, cita i padri del Concilio Vaticano I; dei secondi, i luterani. La differenza è che i primi si lasciano condurre dallo Spirito Santo, gli altri, gonfi d’orgoglio, pretendono di capovolgere la dottrina e, con essa, la morale: se ci si salva solo con la fede, le opere sono inutili e l’impegno a vivere secondo il Vangelo diventa superfluo e velleitario. Non solo: essi si riempiono la bocca con parole come cultura e civiltà, mentre mirano a sovvertire la dottrina della Chiesa. Quindi avviene che noi uniti con Cristo nella Chiesa "cresciamo per ogni cosa in Lui che è il capo, Cristo, dal quale il corpo tutto prende l’accrescimento proprio per la perfezione di se stesso nella carità" (Efesini, 4, 15-16), e la Chiesa madre viene sempre più ad avverare quel mistero della volontà divina, "di restaurare nella ordinata pienezza dei tempi tutte le cose in Cristo" (Efesini, 1, 9-10). Ma per giungere a ciò, ossia ad un sano rinnovamento della Chiesa nella piena fedeltà a Cristo, è necessario impegnarsi nella santità di vita, coerenti con la dottrina cattolica. Infatti i falsi riformatori cercano la loro gloria, quelli veri, la gloria di Cristo; i falsi riformatori servono i propri interessi, non quelli di Cristo; essi confidano nelle forze umane, laddove gli altri sperano solamente in Cristo.

Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.