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Signore, insegnaci a pregare

Ci siamo domandati spesso come sia stato possibile che la Chiesa in generale, e i singoli cristiani in particolare, si siano potuti allontanare così in fretta dalla retta via; come sia potuto accadere che, nel giro di neppure due generazioni, siano scivolati nella completa indifferenza, o, peggio, nella vera e propria apostasia, che, per il fatto di essere, in molti casi, inconsapevole, o solo parzialmente conscia di sé, non è tuttavia meno miserevole e lamentabile, né meno disastrosa per la vita dell’anima, di quanto lo sarebbe se fosse pienamente voluta e consapevole. In altre parole: quale è stato il fattore decisivo che ha determinato un fatto così sorprendente, così sconcertante e così inquietante: il distacco di milioni di anime dal Vangelo, l’oblio della verità cristiana e il tralignamento di una parte consistente del clero, che ha trascinato con sé, nella propria cecità e nei propri errori, la gran parte della massa dei fedeli? Perché, fra le tante cause che si possono addurre, alcune di tipo sociologico e psicologico, altre di tipo eminentemente pratico, economico e materiale, e specialmente il generale mutamento nello stile di vita dei membri della società contemporanea, deve pur esservi stata una causa decisiva, che ha reso possibile a tutte le altre di trovare il modo per abbarbicarsi e produrre i danni che oggi sono sotto gli occhi di tutti (o, almeno, di tutti quelli che sono disposti a vederli), così come i semi delle erbacce si insinuano nella terra del giardino e trovano il modo, crescendo, di soffocare i fiori e le piante ornamentali, trasformando un luogo ameno e ridente in un malinconico deserto.

Ebbene: dopo aver molto riflettuto, siamo propensi a credere che la causa fondamentale dell’attuale crisi religiosa, della gravissima crisi in cui versa la Chiesa e del pericolo in cui si trovano le anime, sedotte da false dottrine spacciate per autentiche, e da interpretazioni aberranti del Vangelo, che hanno il solo scopo di togliere il pungiglione della condanna dei nostri vizi e della nostre passioni disordinate, per cullarci nella diabolica illusione che Dio li approvi, li giustifichi e addirittura li santifichi: che la causa essenziale di tutto ciò risieda nella progressiva trascuratezza dell’abitudine di pregare. Ciò che teneva le anime dei credenti, e, nello stesso tempo, la Chiesa tutta, strettamente unita alla Verità, cioè al Signore Gesù Cristo, era la consuetudine della preghiera. Ciò che rendeva forti e saldi nella fede i nostri nonni e i nostri genitori, ciò che rendeva sicuri e autorevoli i sacerdoti, ciò che rendeva fervidi di spiritualità i monaci e la monache, ciò che animava di zelo e di buona volontà i laici, ciò che consentiva ai teologi e ai biblisti di servire utilmente la causa di Dio, illuminando il cuore e la mente dei fedeli, era l’abitudine della preghiera. Ciò che consentiva ai cattolici di fronteggiare con animo impavido le tribolazioni della vita, le malattie, le angustie economiche, le difficoltà del lavoro, le incomprensioni familiari, e di tenere a bada le tentazioni, di reprimere in se stessi l’invidia, la gelosia, la malevolenza, l’ira, l’avidità, la lussuria; ciò che addolciva le anime e le rendeva pietose e comprensive davanti a chi si trovava nel bisogno (e non a chi vi si trovava per professione, ma a chi vi si trovava per eventi sfortunati ed eccezionali), era la preghiera. Ciò che impediva loro di montare in superbia nella lieta fortuna, e li tratteneva dallo scivolare nella disperazione nella cattiva sorte, era l’abitudine alla preghiera. Ciò che li aiutava a vivere con fede e nella fede, ciò che li assisteva nella meditazione del Vangelo, ciò che li temprava di fronte alle sfide provenienti da una società sempre più irreligiosa, e ciò che teneva unite le famiglie, per quante difficoltà e sofferenze vi potessero essere al loro interno, ricordando sempre che la famiglia nata dal matrimonio cristiano si trova sotto la speciale protezione di Dio, e che a chi bussa verrà aperto, e a chi domanda verrà dato, era l’abitudine alla preghiera frequente, intensa, fervorosa. E ciò che ha reso fragili i legami familiari; fragili le persone di fronte alle prove dell’esistenza; fragili di fronte alla perdita del posto di lavoro, o alla difficoltà di trovarlo, o di fronte all’abbandono della persona amata, o al tradimento di un amico, così fragili da scivolare nella depressione e da accarezzare l’idea del suicidio, è l’abbandono della preghiera.

I nostri nonni e, in parte, i nostri genitori, pregavano molto; pregavamo moltissimo. I nonni recitavano frequentemente il santo Rosario; anche in casa, non solo in chiesa; anche durante lo svolgimento dei lavori quotidiani. Era la preghiera a renderli così sereni e a farli vivere in pace con se stessi; era la preghiera che li spingeva a canticchiare mentre lavoravano, a sopportare con pazienza le contrarietà, ad accettare le sconfitte o le delusioni, e a non montarsi la testa nella buona fortuna; era la preghiera a rendere limpidi i loro sguardi, parchi i loro discorsi, misurate le loro parole. Perché chi ha l’abitudine di pregare spesso, comprende la bellezza della contemplazione e la sconvenienza di sprecare molte parole per fare discorsi futili o sciocchi. In colui che prega spesso, si accende come una luce interiore, come una seconda vista, che lo rende lungimirante davanti al prossimo, pacato e ragionevole in tutte le situazioni, lo fortifica nelle sue virtù e lo rende amico di Dio: e nell’amicizia con Dio si trovano tutti i beni spirituali di cui l’uomo ha bisogno per vivere degnamente e serenamente la propria esistenza terrena, fino all’appuntamento finale con Lui. Chi prega molto, non ha più il terrore della morte: terrore della morte che è, invece, un tratto caratteristico dell’uomo moderno, proprio perché mostra quanto egli si sia allontanato da Dio e dall’abitudine a pregare.

Ma che cos’è, in se stessa, la preghiera? In che cosa consiste, esattamente?

Una risposta la si può trovare, oltre che nel Vangelo e negli altri libri del Nuovo e dell’Antico Testamento, nei Racconti di un pellegrino russo, uno dei libri di ascetica più diffusi e più amati nel mondo ortodosso, insieme alla Filocalia, scritto fra il 1853 e il 1861 e pubblicato, anonimo, nel 1881, nel quale un santi starec insegna al pellegrino la "preghiera di Gesù", o "preghiera del cuore" (da: Racconti di un pellegrino russo; traduzione dal russo di Milli Martinelli, introduzione di Cristina Campo, Milano, Rusconi Editore, 1977, 1998, Primo racconto, pp. 31-34):

" […] Ma che cos’è l’orazione? E come s’impara a pregare? Su questi problemi, sebbene fondamentali ed essenziali, molto raramente i predicatori della nostra epoca ci offrono precise illuminazioni; perché essi sono più difficili di tutti i loro numerosi ed elevati ragionamenti e richiedono conoscenze mistiche e non solo una preparazione scolastica. E la cosa più triste è che questa loro saggezza vana ed elementare li induce a misurare Dio con la misura umana. Molti, a proposito dell’orazione, ragionano in maniera del tutto aberrante, pensando che i mezzi preparatori e le buone azioni generino l’orazione, mentre, al contrario, è l’orazione che genera le buone azioni e tutte le virtù. In questo caso, essi scambiano a torti i frutti e i risultati dell’razione con i mezzi per raggiungerla, e così ne svalutano il potere. Questo è assolutamente contrario alla sacra Scrittura: infatti così insegna l’apostolo Paolo: ‘Raccomando dunque innanzi tutto che si elevino suppliche’ (1 Tim., 2, 1). Il primo insegnamento dell’Apostolo sull’orazione è che essa viene prima di tutto: ‘Raccomando dunque innanzi tutto che si elevino suppliche’. Molte buone opere sono richieste al cristiano, ma quella di pregare deve essere la prima, perché senza l’orazione non si può compiere nessun’altra buona azione. Senza una preventiva, frequente orazione, egli non potrà trovare la via che conduce al Signore, conoscerla verità, crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi desideri, essere illuminato bel cuore dalla luce di Cristo e unito a Dio nella salvezza. Nulla di ciò si ottiene senza una preliminare e costante orazione. Dico ‘costante’ perché la perfezione e la rettitudine dell’orazione non dipendono da noi, come dice anche il santo apostolo Paolo: ‘Noi non sappiamo quel che ci conviene chiedere’ (Rm. 8, 26). Dunque a noi spetta solo di pregare spesso, di pregare sempre, come mezzo per raggiungere la purezza dell’orazione che è la madre di ogni benedizione spirituale. "Acquista la madre ed essa ti darà una discendenza", dice sant’Isacco il Siro, insegnando che per riuscire a mettere in pratica tutte le virtù è necessario prima acquisire l’orazione. Ma su questo argomento hanno conoscenze confuse coloro che non lo conoscono per esperienza pratica secondo l’insegnamento dei santi Padri, e ne trattano raramente".

Così conversando eravamo giunti senza accorgercene quasi fino all’eremo. Per non separarmi da questo saggio ‘starec’ e poter appagare al più presto il mio desiderio, mi affrettai a dire:

"Fatemi la grazia, reverendo padre, di spiegarmi che cos’è la ininterrotta orazione interiore e come la si apprende. Vedo che voi lo sapete per esperienza, in ogni particolare."

Lo ‘starec’ accolse con bontà la mia supplica e mi invitò nella sua cella: "Entra: ti darò un volume dei santi Padri che ti farà capire con chiarezza e precisione il significato dell’orazione e te la insegnerà, con l’aiuto di Dio".

Entrammo nella sua cella e lo ‘starec’ prese a dirmi:

"L’ininterrotta Preghiera di Gesù è l’invocazione continua e ininterrotta del divino Nome di Gesù Cristo con le labbra, con la mente e con il cuore. nella visione mentale della sua presenza costante e nell’invocazione della sua pietà, durante ogni occupazione, in ogni luogo, in ogni tempo, anche nel sonno. La Preghiera si compone di queste parole: SIGNORE GESÙ CRISTO, ABBI PIETÀ DI ME! E chi si abituerà a questa invocazione proverà una tale consolazione e un tal bisogno di pronunciare di continuo la Preghiera, che non potrà più vivere senza di essa, ed essa spontaneamente fluirà dentro di lui. Ora hai capito che cos’è l’orazione ininterrotta?".

"Ho capito, padre mio! Per amor di Dio, ora insegnami come arrivarci!", gridai, pieno di gioia.

"Lo leggeremo in questo libro. Esso è chiamato ‘Filocalia’. Contiene la scienza completa e minuziosa dell’ininterrotta orazione interiore, esposta da venticinque santi Padri; ed è così alto e utile da costituire la prima e fondamentale guida nella vita spirituale contemplativa. Come si esprime il venerabile Niceforo, ‘esso conduce alla salvezza senza dolore e senza sudori’".

Questa è, propriamente parlando, la pratica dell’esicasmo, tramandata nella cristianità orientale fin dai tempi dei Padri del deserto, cioè dal IV secolo, e mantenuta viva dai Padri bizantini lungo tutti i secoli del Medioevo; pratica che era diffusa in un’area geografica vastissima, come risulta anche da ciò che sappiamo e da ciò che si desume dei Racconti di un pellegrino russo, che è la storia di un pellegrino diretto a Gerusalemme, ma che passa per Irkutsk, nella Siberia orientale; storia che era stata messa per iscritto nel monastero del Monte Athos, in Grecia, e poi trascritta dall’abate del monastero di Kazan, presso i tatari del Volga.

In Occidente, l’esicasmo è conosciuto e praticato da un numero ristretto di persone, perché non è mai entrato a far parte della pratica della Chiesa cattolica. Nella tradizione cattolica, caratterizzata da una eredità spirituale diversa da quella bizantina (il famoso ora et labora di san Benedetto da Norcia), la preghiera non è mai stata vista — tranne che da alcuni ordini monastici contemplativi — come un’attività completa in se stessa, ma come parte integrante della vita cristiana e alimento necessario per la dimensione spirituale dell’esistenza, cioè come mezzo per giungere alla pace interiore e per poter agire in maniera conforme alla volontà di Dio. Nonostante questa differente impostazione, anche l’abitudine frequente alla preghiera, e specialmente alla recita dei sacri Misteri e del santo Rosario, era un elemento caratteristico della pietà religiosa, che conferiva alle singole persone, e alla Chiesa nel suo complesso, un tratto di marcata spiritualità, di pace e serenità interiore, che, oggi, sembra essere andato perduto. In compenso, un clero profondamente permeato di idee progressiste e moderniste predica l’attivismo, i diritti civili e politici, l’impegno sociale e sindacale, la rivendicazione di sempre nuove conquiste o sedicenti tali, e perfino la mobilitazione contro supposte "discriminazioni", al punto che preti e vescovi hanno messo a disposizione le loro chiese per "giornate di meditazione" e perfino "veglie di preghiera" contro l’omofobia, laddove il problema, oggi, è ricordare che il vizio impuro contro natura è un peccato che grida vendetta davanti a Dio, e che un cristiano non potrà mai e poi mai, se vuol essere e dirsi tale, accettarlo o proclamarne la liceità, magari legittimandolo nella forma di un sacrilego "matrimonio". E tutto ciò mentre quei tali vescovi e sacerdoti hanno smesso del tutto di parlare dell’aborto, di ricordare la sua natura di peccato mortale e il carattere radicalmente anticristiano delle legislazioni che lo attuano. A tali aberrazioni si giunge, secondo noi, quando si è persa l’abitudine alla preghiera costante, intensa, fervorosa. Pregate sempre, senza stancarvi mai, raccomandava Gesù Cristo ai suoi discepoli. Colui che prega spesso è unito a Dio, ne riceve l’ispirazione, il consiglio, la protezione, il sostegno, il conforto, e anche il dono della saggezza umana e naturale, oltre all’intelligenza delle cose spirituali. Colui che non prega è lontano da Dio e, mentre si crede saggio, finisce per sragionare e impazzire…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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