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11 Luglio 2017Ci sono delle espressioni che siamo soliti adoperare, o che sono familiari alla nostra mente, e sulle quali, tuttavia, non abbiamo mai riflettuto in maniera un po’ approfondita: le usiamo, le sentiamo adoperare, e le troviamo abbastanza "logiche"; e questo è tutto. Fra queste espressioni, ci sono le seguenti: Dio ha creato il mondo per amore; oppure: La vita ci è stata data per amare; oppure ancora: La vocazione è la chiamata di Dio. Alla fine, esse diventano abituali, perché ci sono familiari; ma non le contempliamo, non ne godiamo come dovremmo e come potremmo, proprio come si fa col giardino della casa di fronte, che guardiamo solo distrattamente, proprio perché lo vediamo ogni giorno. Ebbene, proviamo a guardarle un po’ più da vicino, a riflettervi, a contemplarle in tutta la loro profondità e ricchezza.
Dio ha creato il mondo. E perché, poi? Perché, se non lo avesse creato, nulla esisterebbe. Ma, si potrebbe obiettare, forse non lo ha creato; forse ha solo plasmato qualche cosa che esisteva già. Eppure, questo non è possibile: se qualcosa esisteva prima di Dio, o indipendentemente da Dio, allora Dio non è più Dio, ma solo un piccolo dio, uno dei tanti, limitato, circoscritto; un semplice demiurgo. Inoltre, se avesse plasmato qualche cosa che già c’era, questo qualcosa sarebbe Dio: Dio, infatti, è ciò che esiste da sempre, ciò la cui esistenza precede tutte le altre, le quali, a loro volta, la presuppongono, come l’inferiore presuppone ciò che è superiore, e l’imperfetto presuppone ciò che è perfetto, e il temporale presuppone ciò che è eterno, e il finito presuppone ciò che è infinito. Ma se le cose fossero Dio, se il mondo fosse Dio e Dio fosse il mondo, ed esistesse da sempre, ciò vorrebbe dire che Dio diviene: il mondo, infatti, è in perpetuo divenire. I mari, le montagne, i pianeti, le stelle, le nebulose, le galassie, tutto muta, più o meno lentamente, più o meno velocemente: Dio, però, per definizione, non può mutare. Muta e si corrompe ciò che è imperfetto, e, per il principio dell’entropia, cade in preda a un disordine sempre maggiore. Immaginate una cosa qualsiasi, una cosa bella e nuova: una stanza d’albergo; un’automobile appena acquistata; una nave, un aereo, una torre, una cattedrale, un osservatorio astronomico, una stazione spaziale: un po’ alla volta, le ore, i giorni, i mesi e gli anni, introducono in ciascuna di tali cose un crescente disordine; qualcosa si guasta, bisogna ripararla; qualcosa si scrosta, si deve riverniciarla; qualcosa si deteriora, bisogna sostituirla. Nulla si conserva perfetto, di quanto è soggetto alle leggi del mondo materiale; tutto acquista un grado crescente di disordine e d’imperfezione. Non parliamo degli esseri viventi, che invecchiano, si ammalano e muoiono, e nulla e nessuno li può sostituire. Certo, noi pensiamo che la loro esistenza prosegua, ma in forma puramente spirituale; fisicamente, tuttavia, dobbiamo prendere atto della loro morte, della loro corruzione e della loro dissoluzione. Ma potremmo mai immaginare una cosa simile di Dio?
Dunque, Dio crea il mondo. E se, invece di crearlo, lo generasse, vale a dire lo traesse dal suo medesimo essere? Non è possibile, perché "generare" significa produrre qualcosa di simile a sé: ma Dio è Persona puramente spirituale, e abbiamo appena visto perché: se fosse materiale, o parzialmente materiale, subirebbe le leggi del mutamento e della corruzione. Dunque, così come Dio non può "ricevere" l’esistenza del mondo come distinta e anteriore a Se stesso, perché, in tal caso, non Lui sarebbe dio, ma il mondo, allo stesso modo Dio non può generarlo, perché, se lo generasse, vorrebbe dire che in Lui vi è, appunto, qualcosa di materiale e di diveniente: può solo crearlo. Ma ecco subito un’altra domanda impertinente: perché Dio crea il mondo? Per amore, diciamo, o abbiamo sentito dire; ma che significa, esattamente? Significa che avrebbe potuto non crearlo: Dio, per definizione, è assolutamente libero. Non lo ha creato né perché ne avesse bisogno, dato che, in tal caso, sarebbe stato imperfetto, né perché fosse obbligato a farlo, perché, in tal caso, non sarebbe stato libero, e avrebbe dovuto inchinarsi ad una volontà più forte della sua, il che è assurdo, oppure ci rimanda a un dio minore, a un demiurgo, ma non all’unico e vero Dio. Inoltre, se Dio avesse creato le cose perché ne sentiva la mancanza, avrebbe agito in base a un calcolo di convenienza, il che avviene nel mondo delle creature, ma non è pensabile per l’Autore stesso della creazione. L’Autore della creazione deve essere disinteressato, perché, diversamente, nella creazione si coglierebbero gli indizi del suo desiderio e del suo calcolo, così come, osservando bene un’opera umana, anche la più "disinteressata", come l’opera d’arte, si arriva sempre a capire che in essa vi è un elemento di calcolo, di aspettativa, di desiderio di ricevere qualcosa: la gloria, o il successo, o, comunque, un certo grado di riconoscimento; oppure ancora, come nelle vite dei santi, un bisogno di pace e di armonia interiore. Ma Dio ha già la pace, perché Egli è la pace e l’armonia: opinare diversamente, equivale a pensare non Dio, ma, di nuovo, una piccola divinità di secondo o terzo grado, come gli dei dell’Iliade, che partecipano alle stesse passioni, imperfezioni e limitazioni umane (perfino Zeus arriva a commuoversi sul destino di morte che grava sopra suo figlio Sarpedonte, ma nulla può fare per opporsi al volere del Fato).
Ora, se Dio crea il mondo senza costrizione, senza necessità alcuna, né lo crea perché gli manchi qualcosa, resta una sola possibilità: che Egli lo crei per amore, ma un amore totalmente, assolutamente disinteressato, quale nessun essere umano ha mai conosciuto e mai conoscerà. E ha spinto questo amore fino al punto di farsi uomo Egli stesso, per poter amare gli uomini sino in fondo: insegnando loro la sua volontà, che è il comandamento dell’amore, e sacrificandosi per amor loro, in modo del tutto gratuito, perché avrebbe potuto anche scegliere, per Se stesso, un altro destino. Nulla lo costringeva a incarnarsi e nulla lo obbligava a morire sulla croce: lo ha fatto per liberissima scelta, solo e unicamente per amor nostro. Siete stati riscattati a caro prezzo, dice san Paolo, nella Prima lettera ai Corinzi. Sì: riscattati dal sangue di Cristo.
Riassumendo la posizione classica di San Tommaso d’Aquino, Giacomo Samek Lodovici, figlio e degno continuatore di suo padre, il grande filosofo cattolico Emanuele Samek Lodovici (1942-1981), così scrive (sulla rivista Il Timone, Milano, febbraio 2012, pp. 41-42):
[…] mi soffermo brevemente solo sugli ultimi due attributi di Dio appena menzionati: Trascendente e Creatore. Così facendo, veniamo ad un’altra delle nostre domande iniziali: "perché ci sono le cose invece che nulla?". Ci sono perché Dio le crea.
Infatti, Dio dev’essere Trascendente (distinto) rispetto al mondo e parimenti immateriale, perché se Dio fosse coincidente col mondo sarebbe coinvolto nel divenire del mondo e della materia, in lui ci sarebbero cose che succedono nel mondo come il deterioramento, l’infezione, la putrefazione ecc. ed egli inoltre sarebbe malvagio, perché nel mondo ci sono atti malvagi. Il che implica insostenibilità del panteismo, che afferma che Dio coincide col mondo (o, almeno, che dice che in ogni cosa c’è una parte di Dio). Se Dio è Trascendente-Distinto dalle cose, ne segue che le cose esistono o perché lui le genera, o perché lui le crea. Ora, la generazione è la produzione di una cosa che scaturisce da un generante ed ogni generante genera qualcosa di simile a sé: ogni generato-figlio èsimile al generante-padre. Ma Dio è puro spirito, dunque da lui non può scaturire per generazione la materia; ora, il mondo è fatto anche di materia, dunque non può derivare da Dio per generazione.
Pertanto, resta solo la possibilità che il mondo sia creato da Dio. E la creazione non è la trasformazione di qualcosa di preesistente (come era, per esempio, la plasmazione realizzata dal Demiurgo di cui parlava Platone), bensì la produzione totale di una cosa che non esisteva per nulla (quando diciamo che un artista crea la sua opera, usiamo la nozione di creazione in un senso un po’ depotenziato, perché in realtà l’artista presuppone qualcosa: per esempio il marmo per fare la statua), la produzione di una cosa che non ha nessun presupposto.
E, allora, possiamo fare un’ulteriore domanda: perché Dio crea il mondo e l’uomo?
Visto che Dio è da sempre sommamente perfetto ne segue che crea il mondo e l’uomo senza guadagnare nulla; visto che è Onnipotente, ne segue che è totalmente libero (altrimenti non sarebbe davvero Onnipotente né perfetto); visto che è assolutamente libero, ne segue che crea il mondo e l’uomo senza la minima costrizione.
Ma, allora, se Dio non crea per guadagnare qualcosa, né per costrizione bensì liberamente, resta solo questa possibilità (compresa solo dopo l’avvento del cristianesimo e già intravista nel mondo greco da Platone, che però parlava di plasmazione, non di creazione: Dio crea per amore e si interessa premurosamente all’uomo.
Ora, ribadiamolo, la creazione non è una trasformazione di qualcosa di preesistente, non è una mutazione di qualcosa di già dato ("creatio non est mutatio", dice Tommaso), bensì fa essere una cosa che prima non esisteva per nulla. E la parola "nulla" non designa il vuoto, bensì il ni-ente, il non essere, che ha un’esistenza solo mentale (nel senso che c’è un concetto mentale che lo definisce) ma non reale: il nulla lo nominiamo, ma non esiste. Dio con la creazione realizza delle cose di cui egli ha il concetto nella sua mente, ma queste sue idee mentali sono distinte dalle cose che ci sono nel modo (come la scultura di un atleta realizzata dallo scultore è distinta dall’idea di atleta che lo scultore ha nella sua mente), le quali prima dell’atto creativo non hanno nessuna esistenza fuori dalla mente di Dio: la creazione fa essere.
Più precisamente ancora, per Tommaso la creazione è una relazione tra il Creatore e la creatura, non è un atto che inizia e finisce, bensì un rapporto tra Dio e il mondo in forza di cui il mondo inizia ad esistere ed inoltre perdura, permane nell’essere. In altri termini, la creazione è anche conservazione: per usare un’immagine, Dio tiene ogni cosa ed ogni uomo sul palmo della sua mano, e sotto la sua mano c’è l’abisso del nulla. Noi scompariremmo in questo abisso se Dio non ci facesse perdurare. E Dio ci tiene sul palmo della sua mano anche quando, invece che cor-rispondere all’amore con cui lui ci crea e ci fa perdurare, piuttosto lo snobbiamo con indifferenza o (peggio ancora) quando lo vilipendiamo bestemmiando oppure devastando, oppure uccidendo le sue creature. Sì, ci tiene lo stesso sul palmo della sua mano: la cosa ci dovrebbe far riflettere a lungo ed agire di conseguenza…
Sì: davvero la cosa ci dovrebbe far riflettere molto seriamente.
Proviamo infatti a spostare le nostre domande da Dio all’uomo, e chiediamoci, per prima cosa: perché l’uomo, creatura intelligente, è stato creato? È stato creato per farsi questa domanda e per trovare la risposta. E la risposta è: per trovare, amare e adorare Dio, il suo Creatore, la fonte del suo essere. Ora, guardiamoci dentro, poi guardiamoci attorno: che cosa vediamo? Noi stessi, e gli altri uomini, che viviamo in maniera disordinata, inseguendo le nostre passioni; non vediamo ciò che dovremmo vedere, non sentiamo ciò che dovremmo sentire: l’amore immenso di Dio per noi, e il nostro impulso a corrispondervi.
Subito i materialisti insorgeranno: Voi avete sempre in bocca il dover essere, ci diranno; ma non vedete che, così facendo, rendete l’uomo infelice, perché lo vorreste diversamente da come egli è, lo trovate sempre in difetto, gli rimproverate sempre qualcosa? Questo dicono, infatti, i campioni della "liberazione". La loro diagnosi è giusta: l’uomo è infelice, caricato di pesi eccessivi; ma è sbagliata l’analisi: non è infelice perché posto in obbligo da Dio, al contrario, è infelice perché se ne sta lontano da Dio. Se stesse vicino a Dio, se corrispondesse all’amore di Dio, troverebbe quel che gli manca — nella misura in cui è possibile trovarlo in questa vita -: qualche cosa di assai vicino alla perfetta felicità. La prova di quello che stiamo affermando? Basta osservare la realtà: dappertutto vediamo che l’uomo rivendica a se stesso spazi sempre più grandi di libertà, intesa come libertà assoluta, cioè anche come libertà negativa, come trasgressione, come abuso di ciò che gli è dato; eppure, non sembra più felice, né vi sono indizi che facciano presagire che lo sarà in futuro. Tutto il contrario: lo vediamo tanto più infelice, quanto più abusa della sua libertà. Ergo, è proprio il cattivo uso della sua libertà a renderlo infelice: e, procedendo su questa strada, come sembra intenzionato a fare, con passo sempre più spedito, non manca ancor molto che precipiterà nell’abisso. Ora, che cosa vuol dire che Dio ha, nella sua mente, l’idea di come dovremmo essere, se non che Egli desidera per ciascuno di noi la piena felicità? Egli sa che solo con Lui, cioè nell’amore totale e disinteressato, possiamo trovare quel che cerchiamo, la felicità. Tuttavia, ci ama così tanto da rispettarci; e tollera che noi, sciocchi e ingrati, gli voltiamo le spalle, ci ribelliamo, lo accusiamo della nostra infelicità (dov’è Dio?, diciamo, quando siamo provati): non ci costringe a essere felici…
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