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4 Luglio 2017Dal Concilio Vaticano II, specialmente con la Gaudium et Spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, e la Nostra Aetate, sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, una parola è venuta di gran moda fra i cattolici progressisti: "dialogo"; una parola passe-partout, che dovrebbe essere auto-evidente e far cadere tutti i muri, tutte le incomprensioni, aprire tutte le serrature, sciogliere tutti i cuori, anche i più induriti; una parola che, fino a quel momento, la Chiesa non aveva mai adoperato, o, se lo aveva fatto, l’aveva fatto in un senso completamente diverso, molto più generale, ma anche molto più spirituale: non un dialogo umano, fra soggetti umani, ma il dialogo fra l’uomo e Dio e dell’uomo con il suo prossimo, sempre nella luce e sotto lo sguardo di Dio. Adesso, invece "dialogo" era diventata la parola magica, la parola-totem, la parola che ammutolisce tutte le altre parole, che fa tacere tutte le altre voci, che impone silenzio a ogni altro discorso; e ciò, ancor più, dopo l’accentuazione impressa da Giovanni Paolo II ai rapporti con le altre confessioni cristiane e con le religioni non cristiane, specialmente dopo l’inizio degli incontri di preghiera interreligiosi di Assisi, inaugurati nel 1986. Tuttavia, sorge legittima la domanda: ma dialogare con chi, dialogare perché? E, di conseguenza: si può davvero dialogare con tutti, anche con coloro i quali ignorano il dialogo, non sanno cosa sia, perché intendono solo l’affermazione della propria verità, ad esclusione di ogni altra? E, d’altra parte: se il cattolico si sente, come deve sentirsi, il portatore della Verità, che senso ha dialogare con chi non crede in essa, con chi la rifiuta, con chi la osteggia: è una cosa sensata, è una cosa compatibile con il Vangelo stesso? È questo, che Gesù ha chiesto di fare ai suoi discepoli: dialogare con tutti, anche con chi non voleva saperne né di Lui, né del suo Vangelo? Non ci sembra. Bisogna sfatare la leggenda di un Gesù che "dialoga" con tutti. Gesù non dialoga affatto: Gesù insegna. È diverso. Si prenda il famoso colloquio con la samaritana, seguace di una religione diversa dal giudaismo, che questo considera idolatrica, mentre essa, a sua volta, rifiuta il giudaismo. Ebbene: Gesù non dialoga con quella donna, se non sul piano meramente umano; ma poi subito porta il discorso sul piano divino, sul piano della Verità: e, a quel punto, non dialogo affatto, insegna. Dice alla donna ciò in cui si deve credere per avere la vita eterna; le dice di essere Lui, proprio Lui, quella fonte di acqua perenne, che spegne per sempre la seta dell’anima. Gesù si è rivolto alla seguace di un’altra religione, ma non si è messo a discutere con lei della sua fede, né ha discusso le caratteristiche delle due fedi: le ha detto in cosa consista la vera fede, e ha annunciato che presto sarebbe venuto il tempo in cui né a Gerusalemme, come per gli ebrei, né sul Monte Garizim, come per i samaritani, si adorerà Dio, ma solo in spirito e verità.
Ecco cosa ha detto Gesù ai suoi dodici apostoli, nel momento in cui li mandò a predicare il Vangelo in suo nome (Mt, 10, 11-15):
In qualunque città o villaggio entrate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa op da quella città e scuotete la povere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sodoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città.
Dunque, non è vero che Gesù ordina ai suoi apostoli d’insistere e supplicare coloro i quali non li vogliono ascoltare; al contrario: comanda loro di andarsene da quanti non sono degni di ricevere il Vangelo, e annuncia che essi, nel giorno del Giudizio, riceveranno un trattamento durissimo, peggiore di quello di Sodoma e Gomorra, distrutte da Dio col fuoco e lo zolfo per la perversità dei loro abitanti (con buona pace di monsignor Galantino, che non ci crede).
Il dialogo è una forma di relazione umana che ha una storia e che presuppone un certo contesto culturale e certe acquisizioni intellettuali e morali: non è sempre esistito e non esistere, tuttora, presso tutte le civiltà e tutti i popoli. D’altra parte, esso non è indicato per trasmettere qualsiasi contenuto di pensiero: come abbiamo appena visto, Gesù non lo prende in considerazione come strumento per annunciare il Vangelo. Non ordina ai suoi apostoli di andare a "dialogare" con le persone, ma di andare ad annunciare la Buona Novella. Dunque, i fautori del "dialogo" interreligiosi, ammesso e non concesso che siano animati dalle migliori ritenzioni di questo mondo, rischiano d’incorrere in due errori clamorosi: primo, di voler dialogare con chi non sa cosa sia il dialogo; secondo, di volersi servire del dialogo per annunciare il Vangelo, mentre quello non è lo strumento adatto e non è in linea con l’insegnamento di Gesù stesso.
Monsignor Pietro Rossano (1923-1991), che fu biblista, conoscitore dell’arabo e dell’aramaico, già docente di Teologia delle religioni al Gregoriano di Roma, poi rettore dell’Università lateranense e vescovo ausiliare di Roma per la cultura, nonché uomo di punta del dialogo interreligioso, è stato, di quest’ultimo, uno dei massimi esperti, oltre che convinto assertore. Ebbene, ecco in quali termini egli parlava del dialogo fra il cattolicesimo e le altre religioni – che egli perseguì instancabilmente e con le cui difficoltà si confrontò, sulla sua pelle, giorno per giorno – in una corrispondenza privata con padre Tablino, risalente al dicembre 1990, a meno di un anno dalla morte, in quello che si può perciò considerare come il suo testamento spirituale (cit. nell’articolo Pietro Rossano, biblista e uomo del dialogo. A vent’anni dalla morte del vescovo rettore della Pontificia università lateranense, su L’Osservatore Romano del 15 giugno 2011):
Con l’islam le cose sono difficili. Bisogna evitare a ogni costo un nuovo scontro cristiano-islamico, né si può congelare il buon rapporto creatosi dopo il Concilio. […] Gli interlocutori non cristiani reagiscono all’offerta cristiana del dialogo secondo le proprie categorie non dialogiche: quindi mentre per noi dialogo significa anzitutto accettazione dell’altro e dei suoi diritti, per l’islam non è così; mentre dialogo per noi implica riconoscimento d’alterità, l’induismo-buddismo reagiscono con l’affermazione dell’armonia e dell’eguaglianza delle religioni; ciò fa sì che l’offerta del dialogo si risolva apparentemente in perdita per noi che diamo spazio all’altro senza ricevere nulla in contraccambio; da qui la suggestione che viene da più parti di chiedere una reciprocità: masi sarebbe ancora sulla linea del Vangelo?
E Pietro Rossano era tutt’altro che uno scettico o un conservatore; era, come abbiamo detto, un convinto assertore della linea del dialogo, e, anche se oggi piuttosto dimenticato, a suo tempo era molto apprezzato dai cattolici progressisti, come il vaticanista Antonio Zizola, che ne parlò in termini entusiastici. Che cosa dice, in buona sostanza, Rossano, dopo decenni di sforzi dialogici? Che il cosiddetto dialogo interreligioso si risolve in una apertura a senso unico, perché nessuna delle altre religioni (e qui si tace prudentemente su quella che costituisce il nodo più delicato di tutti, il giudaismo) è capace di un dialogo, così come lo intendiamo noi occidentali: o per indisponibilità ad accettare l’altro con i suoi diritti, primo dei quali il diritto di esistere (e sappiamo come vanno le cose, oggi, all’atto pratico, in molti Paesi islamici, per le minoranze cristiane), o per incapacità di accettare una dialettica dei distinti. E tuttavia, la conclusione è sorprendente: bisogna continuare a dialogare in pura perdita, perché agire diversamente "non sarebbe in linea col Vangelo". Ma questo è falso: lo abbiamo visto, citando le precise parole di Gesù. È vero che Gesù ha detto di dare anche il mantello a colui che pretende la nostra tunica, e di fare due miglia di strada con colui che vuole essere accompagnato per uno; però ha anche detto di non perdere tempo con chi non vuole ascoltare il Vangelo, e di scuotere la polvere dei sandali contro di lui.
E poi, che significa dire che con l’islam si è instaurato "un buon rapporto" dopo il Concilio, se poi si ammette che, per gli islamici, il dialogo è un concetto privo di senso? E dove li si vede, questi buoni rapporti: in Pakistan, in Siria, in Iraq, in Egitto, in Nigeria, dove? Non ci risulta; al contrario, ci risulta che ovunque i cristiani sono discriminati, oppressi, perseguitati. In Europa, presunto laboratorio dell’integrazione, i terroristi islamici uccidono a caso, convinti che ogni uomo, donna o bambino uccisi in onore di Allah, siano altrettanti infedeli tolti di mezzo per sempre: e poco importa, per loro, se ormai l’Europa è al novanta per cento scristianizzata, e se quelle persone, probabilmente, avevano, di cristiano, al massimo il nome e, forse, il certificato di battesimo. In compenso, se i fanatici dell’islam sgozzano un prete cattolico durante la santa Messa, al momento della Comunione, come una vittima sacrificata sull’altare, la Chiesa ricambia la cortesia invitando tutti gli islamici a entrare nelle chiese cattoliche, a pregare insieme durante la Messa. A pregare per che cosa? Non si sa, pregano nella loro lingua. E a che scopo, visto che nessuno ha domandato scusa? Non si sa neppure questo. Però, secondo monsignor Rossano, il dialogo è buono, ed è anche doveroso, perché è nella linea del Vangelo. Dobbiamo dedurne che la linea del Vangelo è l’ingenuità più grossolana, per non dire la stoltezza o l’incoscienza? Se qualcuno ci viene contro brandendo un coltello, è nella linea del Vangelo accoglierlo disarmati e sorridenti, perché siamo tutti creature di Dio? Ancora una volta, andiamo a vedere quali sono le precise indicazioni del solo, dell’unico Maestro: Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come serpenti e semplici come le colombe. Ora, sono sempre le parole di Gesù, non c’è servo che sia superiore al padrone; perciò, costoro presumono forse di essere qualcosa di meglio di Gesù, il loro e nostro Signore e padrone, il Re dell’Universo? Presumono di essere più caritatevoli, più buoni, più santi di Gesù Cristo medesimo, che raccomandava di essere prudenti come i serpenti, e di non lasciarsi sbranare dai lupi come pecore stupide e imprudenti?
Da qualunque lato si consideri la cosa, si arriverà sempre alla stessa conclusione: esiste una contraddizione insanabile fra questa volontà di "dialogo" a tutti i costi, anche a costo di farsi ammazzare inutilmente, anche a costo di esporre inutilmente al martirio i propri fratelli, e l’Europa ad essere invasa e sottomessa dai nemici di Cristo e della civiltà cristiana, o ciò che di essa rimane ancora (perché, inutile girarci attorno, è proprio questa la posta in gioco, ormai), e la lettera e lo spirito del Vangelo. Gesù chiede ai suoi discepoli la testimonianza, ma non chiede loro un suicidio da poveri babbei: sono due cose profondamente diverse. E allora, da dove nasce questa idea del dialogo a ogni costo, questi accanimento nel voler portare avanti un dialogo che non è tale, perché una sola delle due parti lo intende come confronto con dei soggetti di pari dignità? Ed è proprio qui che, riflettendo bene, si arriva a formulare una ragionevole risposta: ragionevole, anche se alquanto sgradevole. I fautori del dialogo, almeno ai più alti livelli, non sono affatto degli stupidi, né degli sprovveduti: sono persone intelligenti, pertanto si deve presumere che sappiano molto bene quel che stanno facendo. Se insistono a voler dialogare con chi non è dialogante, qualche buona ragione devono averla. Ed eccola, la buona ragione: con il paravento del dialogo, essi stanno perseguendo, in realtà, un altro obiettivo: vogliono relativizzare il cristianesimo. In altre parole, il dialogo non è rivolto, come sembra e come essi dicono, agli altri, ai non cristiani, ma proprio ai loro confratelli; e ha il preciso scopo di abituarli a non vedere più il cristianesimo come la sola vera religione, ma a familiarizzarsi con l’idea che anche per mezzo delle altre religioni si arriva alla Verità divina. Questa idea porta con sé un’altra idea, sul piano pratico: cioè che bisogna minimizzare, e, alla lunga, far sparire, tutto ciò ch’è di ostacolo al tanto sbandierato "dialogo". Nei confronti del dialogo con i protestanti, ciò significa mettere la sordina, e, un po’ alla volta, sopprimere, ciò che vi è di specificamente cattolico nella liturgia e nella teologia cattoliche, lasciando sussistere solo quegli aspetti che si prestano ad essere riconosciuti e accolti dall’altro. Via il culto mariano e quello dei Santi e degli Angeli, dunque; via il celibato ecclesiastico e sì al sacerdozio femminile; via la Presenza reale nell’Eucarestia; via il libero arbitrio; via la speciale missione del clero; via la giustificazione con la fede e con le opere. Nei confronti del dialogo con le religioni non cristiane, poi, via tutto ciò che è specificamente cristiano: e, prima di ogni altra cosa, via la natura divina di Cristo, senza la quale non vi sono né la sua Resurrezione dai morti, né la nostra Redenzione dal peccato. Qualcuno obietterà che questo scenario è esagerato ed eccessivamente pessimista; gli rispondiamo di guardarsi bene attorno e di vedere se la Chiesa, oggi, non sia incamminata, nel complesso e per opera dei suoi più alti esponenti, in tale direzione. Resta da capire cosa resterà in essa di cristiano e di cattolico, alla fine di tutto ciò. Ben poco, anzi, nulla: come volevasi dimostrare.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash