
Cosa dovrebbe fare l’Italia, se fosse un vero Stato, di fronte all’invasione programmata
8 Maggio 2017
Monsignor Perego non solo predice, ma prescrive il meticciato quale futuro dell’Italia
9 Maggio 2017L’ultimo che ha fatto parlare di sé è il neovescovo di Ferrara, Gian Carlo Perego, che anche il Direttore generale della Fondazione Migrantes, organo della C.E.I. che si occupa dei cosiddetti profughi: ha dichiarato che il solo futuro possibile, per l’Italia è il meticciato; che il popolo italiano sta morendo, e che forse non basteranno neppure gl’immigrati a salvarlo dall’estinzione: dunque, a quanto si deduce secondo la logica, e stando al suo ragionamento, bisognerebbe accelerare gli ingressi, favorire in ogni modo le partenze, potenziare le flottiglie delle O.N.G. che vanno fin davanti ai porti della Libia per prenderli a bordo e trasportarli da lì in Sicilia. E ha detto tutto questo con tono secco e decisi, quasi di sfida; ha precisato che questa sarebbe la sola linea intelligente da seguire. Dunque, chi la pensa in altro modo è uno stupido; oltre, naturalmente, a essere un razzista e, per soprammercato, un cattolico indegno, un cristiano di seconda scelta, meritevole d’una solenne ammonizione, se non proprio della scomunica. È lo stile di papa Francesco: secco, imperioso, intransigente, sprezzante verso le critiche, insofferente delle possibili obiezioni, pronto a lanciare anatemi contro i cristiani egoisti, rigidi, tradizionalisti, chiusi, poco accoglienti, all’insegna del motto: indietro non si torna. Vogliono cambiare la Chiesa, vogliono cambiare il mondo. Detestano il clericalismo, lo considerano la peggiore pestilenza che abbia mai infestato il cattolicesimo (mentre vanno più che d’accordo con massoni, radicali, abortisti, omosessualisti, atei, post-marxisti, luterani, giudei e islamici, che, anzi, considerano tutti assai migliori e più "puliti"), e intanto osano ciò che i clericali non avevano mai osato, neppure ai tempi d’oro di quella tendenza: entrano a gamba tesa nella politica interna delle nazioni sovrane, lanciano solenni scomuniche nei confronti di candidati alla presidenza e capi di governo, incitano i popoli a fare questo oppure quello, sfruttando il pulpito delle chiese e il balcone di Piazza san Pietro, nonché la cassa di risonanza della stampa cattolica e, ancor più, quella della stampa non cattolica, ma anticattolica, massonica e radicale, che però, chi lo sa come mai, parteggia compatta per loro, fa il tipo per loro, inneggia al papa Francesco e alle sue riforme, lo esalta, lo glorifica, specialmente quando dice: Voglio cambiare la Chiesa, in modo tale che non si possa più tornare indietro, come se ciò fosse un suo diritto legittimo, come se questa fosse la funzione di un sommo pontefice: cambiare la Chiesa che gli è stata affiata da Gesù Cristo, invece allo scopo di rafforzarla, custodirla, ampliarla.
Ma ogni giorno, si può dire, ce n’è uno nuovo, di codesti pastori del gregge che, invece di custodire le pecorelle, le confondono e le spingono lontano, a disperdersi fa mille pericoli, dove i lupi sono in agguato per divorarle; sempre sull’esempio del papa, il quale praticamente ogni giorno deve dire la sua, con quel tono di sicumera e di sfida; che ogni giorno deve trovare il modo di confondere, turbare, scandalizzare i buoni cattolici; che ogni giorno deve insinuare un dubbio, mettere in crisi una certezza, incrinare una verità, far vacillare un dogma, stravolgere una forma liturgica, rivoluzionare la pastorale (anche esaltando e glorificando i rivoluzionari della pastorale, come don Lorenzo Milani: quello stesso che Giovanni XXIII aveva definito: un povero pazzerello scappato dal manicomio), sostituire al sacro Magistero di sempre, e alla vera dottrina, un nuovo magistero, tutto ispirato alla dimensione mondana, e una nuova dottrina: immanente, naturalista, sincretista, relativista. Monsignor Galantino, monsignor Paglia, padre Sosa Abascal, padre Martin, il cardinale Kasper, il falso prete e pseudo teologo Enzo Bianchi: si considerano il nuovo che avanza, hanno un’altissima opinione di se stessi e una bassissima opinione di quanti non li applaudiscono; e hanno tutti uno stile inconfondibile, un modo di parlare e di muoversi, di dire le cose e anche di tacerle certe altre. È uno stile falsamente popolare, molto demagogico, molto umorale, almeno all’apparenza, molto schietto e spontaneo, molto "verace", perfino sgrammaticato per la smania di mescolarsi alla folla, di odorare, o meglio puzzare, di pecora, per la fregola di apparire illetterati, ma, in compenso, vicini alla gente comune, di essere uomini fra gi uomini, uomini come gli altri, cin le stesse speranze, le stesse attese, gli stessi timori, lo stesso orizzonte quotidiano. Ma tutto ciò è falso, è doppiamente falso. Prima di tutto, non sono cos’ì rozzi e ignoranti, e soprattutto non sono così spontanei e "veraci", come vorrebbero far credere: parlano così per dare una simile impressione, e poter far passare più facilmente i loro progetti, studiati a lungo a tavolini, con freddezza, con precisione quasi scientifica, alo scopo di programmare una mutazione genetica della Chiesa cattolica, e di sostituirne le cellule, una per una, parrocchia per parrocchia, diocesi per diocesi, sino a trasformarla in qualcosa di completamente diverso, d’irriconoscibile, ma senza che i fedeli se ne accorgano, secondo la tecnica della "finestra di Overton", o, se si preferisce, della "rana bollita". Si tratta di alzare la temperatura dell’acqua a poco a poco, in modo che la vittima non se ne accorga, e poi, quando se ne accorgerà, perché l’acqua prenderà a bollire, sarò troppo tardi, e non ci sarà più nulla da fare.
In breve, anche se sono monsignori e cardinali, ostentano quasi tutti dei modi da prete di strada, e come tali amano definirsi: preti di strada, per dire che loro stanno sulle strade, mica nei palazzi, anche se poi non è affatto vero, anche se vivono proprio nei palazzi, però in strada, effettivamente, ci vanno, ci vanno spesso che possono, per far vedere che loro sono dalla parte del popolo, dei poveri, degli ultimi. Guarda caso, codesti poveri e codesti ultimi sono, in proporzione, dieci volte più spesso dei "migranti" stranieri, dei falsi profughi provenienti da zone dell’Africa ove non vi è alcuna guerra in corso, e molti, troppi di loro vengono qui a spacciare, a rubare, a stuprare, a mendicare, insomma tutto, tranne che cercare e accettare un lavoro nesto, tranne che a tenare d’inserirsi, rispettando le leggi e le consuetudini di casa nostra. Però, in quella espressione, preti di strada, c’è anche una segreta, perversa civetteria della trasgressione, e sia pure giocando con le parole: preti di strada come ci sono le ragazze di strada e i ragazzi di vita, insomma un qualcosa che ricorda Anna Magnani e Pier Paolo Pasolini, il neorealismo e la pornografia di Alberto Moravia. Sì, anche la pornografia: perché le loro aperture, a volte entusiastiche, alla liberalizzazione della morale, e specialmente della morale sessuale, comprese la sodomia, la pederastia e l’utero in affitto, sanno più di Boccaccio che di Vangelo, e bisogna anche dire che, se lo si fa loro notare, se ne compiacciono, come se trovassero la cosa molto divertente, forse paradossale, ma, in fin dei conti, sin troppo vera. Forse che monsignor Paglia si è offeso o risentito, quando gli si è fatto notare che l’affresco da lui commissionato per il duomo di Terni è sconcertante, non solo dal punto di vista iconografico, ma proprio per l’impostazione teologica di fondo, con tutti quegli omosessuali, quei transessuali, quelle prostitute e quegli spacciatori che Gesù Cristo si porta in cielo così come sono, senza redenzione, senza pentimento, senza confessione della colpa? E forse che monsignor Galantino se l’è presa, quando gli è stato fatto notare che, sulla Bibbia, a differenza di quel che pensa e dice lui, sta scritto che Dio distrusse Sodoma per la gravità del peccato dei suoi abitanti, e non la risparmiò affatto, benché Abramo gli avesse strappato la promessa di farlo, se vi avesse trovato anche solo dieci giusti? E forse che monsignor Cipolla, il vescovo di Padova, nella cui città, sotto il suo naso, un prete indegno e dissoluto, don Andrea Contin, trasformava la canonica in un antro di orge perverse, e la parrocchia in una riserva di caccia sessuale, forse che ha fatto una piega quando abbiamo chiesto le sue dimissioni, dato che, per sua stessa ammissione, sapeva tutto questo da sette mesi, e non ha fatto assolutamente nulla per porvi rimedio, neppure chiamare quel prete, o andarlo a trovare, e parlargli faccia a faccia, come un padre dovrebbe fare con il suo figlio scapestrato, prima che diventi un vero e proprio criminale? No: nessuno di costoro si è offeso, nessuno ha protestato. E perché avrebbero dovuto farlo, poi, visto che nella neochiesa bergogliana nessuno parla mai del peccato, tanto meno del giudizio e dell’inferno, e visto che, anzi, gesuiti in vista, come padre James Martin, auspicano apertamente un sollecito riconoscimento dei cosiddetti matrimoni omosessuali anche in sede religiosa? Costoro, anzi, si sentono investiti d’una nobile missione: rinnovare una chiesa vecchia e stanca, metterla al passo con i tempi, gettare ponti e abbattere muri? E poco importa se stanno gettando dei ponti verso una sponda popolata di belve feroci: l’importante, si sa, è dialogare. Oh, dialogo, dialogo: quante sciocchezze sono state dette in tuo nome; quanti veri e propri delitti sono stati perpetrati! Tutti gl’incoscienti e tutti gl’imbecilli si riempiono la bocca con questa espressione, con questo slogan: Bisogna dialogare, con tutti, a qualsiasi costo; e anche i traditori ce l’hanno sempre sulle labbra, perché sembra così innocente, così candido, che a fatica ci si sente la puzza del tradimento. Ma il tradimento c’è: eccome, se c’è. Come altro si dovrebbe chiamare l’auto-demolizione consapevole, ostinata, imperterrita, quotidiana, della dottrina cattolica, della pastorale e della liturgia, da parte di codesti signori del nuovo che avanza, di codesti preti di strada, i quali, diventati vescovi e cardinali, altro non fanno se non criticare, deridere e sminuire quel che sempre il Magistero ha detto e insegnato, quello che sempre i pastori hanno predicato, quello che per generazioni le famiglie cattoliche, i nostri nonni, i nostri bisnonni, hanno fatto, e ciò in cui hanno creduto, e il modo in cui hanno agito e creduto? Come definire, se non tradimento, l’invito ad accogliere sempre più stranieri di dubbia provenienza, sempre più islamici, come se ciò fosse l’unica risposta possibile al calo delle nascite? E, intanto, dichiararsi favorevoli alle unioni omosessuali e ad ogni sorta di relativismo etico e sessuale, come se la diffusione della pratica omosessuale non avesse niente a che fare con le culle vuote e come se gli aborti, dei quali codesti monsignori hanno smesso da un pezzo di parlare, non contribuissero potentemente al suicidio biologico del nostro popolo? Anzi, non solo non parlano più, e da moltissimo tempo, del dramma della interruzione volontaria della gravidanza, mostrano anche un aperto fastidio per quelle famiglie cattoliche le quali, invece, vorrebbero fare qualcosa, se non altro per porre un argine alla penetrazione ufficiale dell’ideologia gender nelle scuole, mediante la quale verrà fatto il lavaggio del cervello ai bambini e verrà insegnato loro che non esistono il genere maschile e quello femminile, ma che ciascuno può sentirsi maschile o femminile, e comportarsi di conseguenza, a seconda del suo umore e del suo stato d’animo, nelle modalità di una sessualità "fluida", decisa volta per volta, non in base a fattori oggettivi, ma al proprio insindacabile desiderio. E non basta ancora. Codesti signori, codesti Paglia, per esempio, non si vergognano d’intonare le più alte lodi di un Marco Pannella, il campione del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia, delle unioni civili, dei matrimoni omosessuali e della droga libera; non arrossiscono a portarlo ad esempio di tensione etica e di profonda spiritualità. In un momento così drammatico per la nostra società e per la nostra Chiesa, questi falsi pastori non rivolgono al gregge parole di consolazione, di fede, di speranza e carità. Si uniscono alle voci del mondo, gridano quasi più forte del mondo, stabiliscono, a maggioranza e a furor di popolo, quello che è giusto e quello che non lo è. Alla Humanae vitae di Paolo VI avevano risposto con il voto a favore del divorzio e dell’aborto; ora, fatti più arditi, modificano la dottrina morale e il Magistero, in modo da accontentare le richieste del pubblico. Il pubblico ha deciso che l’esclusione dai sacramenti è una pena troppo severa per i divorziati che si sono risposati? Benissimo: si cambia la dottrina, si allargano le maglie della "misericordia", si assolvono tutti, pentiti e non pentiti. Non è vero ciò che è vero, ciò che la Chiesa ha insegnato per duemila anni, sulla base della Rivelazione: oggi c’è la nuova teologia, che riparte da zero, perché Sosa Abascal ha detto che non si sa cosa abbia realmente insegnato e fatto Gesù, dunque il Vangelo è lì per essere riempito di contenuti nuovi, secondo i gusti del XXI secolo. Anzi, essi invocano sempre nuovi diritti per il singolo individuo, come se proprio l’individualismo esasperato non fosse all’origine della crisi morale che stiamo vivendo; accusano gli oscurantisti, i passatisti, tutti quelli che si tengono saldi alla tradizione; fanno tutto quel che sta in loro per spezzare gli ormeggi, proprio mentre il mare è in burrasca e solamente un pazzo porterebbe la sua nave verso il mare aperto: poi, non ancora soddisfatti, si mettono a lacerare le vele, a scardinare il timone, a sfasciare, a colpi di scure, le scialuppe di salvataggio. Davanti a un’Italia che si spopola, non predicano il ritorno alla famiglia, ai valori, alla sacralità del matrimonio, alla trasmissione della vita come impegno dell’uomo e come dono di Dio: no, invocano i matrimoni omosessuali, tacciono sull’aborto, propongono un indulto generale per i divorziati risposati, e… prescrivono una sempre maggiore accoglienza d’immigrati africani di religione islamica. Perfetto: non c’è nulla da aggiungere. Se questo non si chiama tradimento della propria Chiesa, dei propri valori, del proprio popolo e della propria civiltà, allora le parole non hanno più un senso logico, e ciascuno può considerarsi libero di dire tutto e il contrario di tutto, felice e contento, e confidare nell’applauso della platea. Sì, questo sono, in fondo, i pastori della neochiesa massonica e progressista: dei commedianti che recitano a soggetto, bramosi di lodi e delle luci della ribalta. Altro che predicare il Vangelo di Gesù Cristo…
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